Il paradosso Ryanair: guadagna in Italia, paga tasse in Irlanda

Michael O'Leary, capo e fondatore di Ryanair (Lapresse)

ROMA – Quella della Ryanair è senz’altro la storia di un grande successo, in primis commerciale. La compagnia low cost più conosciuta al mondo, e il suo boss Michael O’Leary, hanno senza dubbio costruito un impero enorme e contribuito a rendere più accessibile il mercato dei voli aerei.

Ci sono però anche delle cose che non sono molto gradite alle compagnie concorrenti. Ryanair, ad esempio, sembra che non paghi le tasse e i contribuiti per i suoi dipendenti italiani nel nostro Paese, ma Irlanda, con un notevole risparmio. E contemporaneamente benefica di ricchi contributi pubblici.

La questione e la polemica non sono nuove, ma la posizione di forza che la Ryanair ha ormai raggiunto nel nostro mercato aereo, con tanto di querelle con Alitalia per chi fosse il primo vettore nel nostro Paese, la rende ogni giorno più stridente…

La compagnia irlandese opera in Italia dal 2004 e rappresenta il primo vettore per dieci scali italiani, su 50 rotte low cost interne prevale in 27 casi e complessivamente trasporta 6 milioni di passeggeri italiani sulle tratte nazionali e 16 su quelle internazionali. Fin qui i meriti di O’Leary e della sua compagnia.

Secondo il Corriere della Sera “la compagnia irlandese gode allo status comunitario grazie alla sede legale di Dublino e in Italia è rappresentata fiscalmente da una Srl, la Meridian Vat, con sede a Napoli. I 650 dipendenti italiani della compagnia, che pure hanno residenza e sede di lavoro in Italia, vedono i loro stipendi accreditati su conti irlandesi e sono regolati da un contratto di diritto irlandese. Di conseguenza il loro datore di lavoro non ottempera ai dovuti versamenti all’Inps e all’Inail. La contribuzione in Irlanda è mediamente del 12% contro il 37% in Italia ma i lavoratori Ryanair usufruiscono del nostro servizio sanitario e della nostra previdenza. Se un pilota si sente male non va a farsi visitare a Dublino ma chiama il suo medico di famiglia. Secondo l’Ispettorato del Lavoro di Bergamo si configura un caso di evasione contributiva stimata in 12 milioni di euro. L’ispettorato del lavoro di Bergamo è competente in virtù del fatto che Orio al Serio è la principale base operativa degli irlandesi in Italia. Ma non è tutto. Nel 2010 anche il Fisco aveva contestato a Ryanair il mancato pagamento delle imposte sui ricavi da voli nazionali dal 2005 al 2009. Secondo la Guardia di Finanza servendosi la compagna irlandese di 22 aeroporti, 10 basi, e avendo in offerta 390 rotte da/per il Belpaese è di fatto “una stabile organizzazione” e deve di conseguenza pagare le tasse in Italia. La presunta evasione fiscale è stimata dal 2005 ad oggi in 500 milioni di euro e dopo i blitz della Gdf sono ancora in corso gli accertamenti”.

Questo modo di fare è considerato ingiusto da altre compagnie low cost, non certo organizzazioni di carità, non vi ricorrono. Non lo fa Easyjet che ha sede a Londra ma paga i contributi in Italia e utilizza contratti italiani, come non lo fa la piccola Air Alps con sede a Innsbruck, in Austria.

Ma non è tutto. Perché Ryanair incassa da diverse amministrazioni locali e da singoli scali contributi a fondo perduto. La Sardegna, all’epoca del governatore Soru, stanziò 8,2 milioni per “iniziative di promozione internazionali”, cioè voli, finalizzate a “destagionalizzare i flussi turistici”. O’Leary ha poi anche avviato un contenzioso legale perché voleva altri soldi da Alghero. Ma non solo Sardegna, l’aeroporto veronese di Catullo a sua volta versa a Ryanair 2 milioni di euro l’anno. E poi la Puglia, quella che più ha ingrassato le casse del vettore irlandese, ben 12 milioni di euro stanziati dall’amministrazione Vendola per potenziare i voli da/per Bari e Brindisi. Vero è che secondo le stime della compagnia irlandese l’indotto turistico pugliese ha avuto entrate aggiuntive per quattrocento milioni di euro come ricaduta dell’incremento dei voli, ma è altrettanto vero che anche loro di certo non ci hanno rimesso.

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