ROMA – Che Saipem abbia perso in un giorno circa il 40% del suo valore azionario è oramai una notizia vecchia e soprattutto monca. Perché e come una blu chip dimezza o quasi la sua capitalizzazione in Borsa, questa sarebbe la notizia piena. Ma scoprire per quali vie e per quali motivi si è diffuso il panico o al semplice paura o quella che il Sole 24 Ore chiama “emotività”, insomma sapere perché quando ci sono scosse nella terra dell’economia e della finanza “Palazzo Italia” perde cornicioni e mostra crepe più degli altri è raccontarsi più di quanto non dica quel quasi 40 per cento e molto più di quanto il paese non voglia sentirsi dire in campagna elettorale. Una campagna elettorale in cui tutti dicono e tutti vogliono sentirsi dire che stiamo per tornare “più forti e più belli che pria..”
In più c’è altro: c’è chi su questo clamoroso ribasso ha lucrato, e non poco, e sapere chi e quel chi, chi è stato il “Furbone del listino” è un traguardo ancora lontano. Alla vigilia del crollo in Borsa della controllata Eni sono state infatti vendute quasi 10 milioni di azioni Saipem sul mercato londinese, pari al 2,3% totale dell’azienda. Chi le ha vendute ha guadagnato, o evitato miracolosamente di perdere il che fa lo stesso, circa 100 milioni di euro perché ha venduto a 30,65 euro per azione una merce che il giorno dopo sarebbe valsa appena 20.01. Un bel colpo di fortuna o un fiuto eccezionale, ma anche una manovra che ha attirato l’attenzione della Consob. O forse li ha proprio guadagnato con una “vendita allo scoperto”: vendo oggi a 95 quel che oggi vale 100, vendo quello che oggi non ho in mano e te lo consegnerò domani a te che compri a 95 quel che vale 100. Cioè scommetto allo scoperto sul ribasso. Allo scoperto perché non ha in mano il titolo che ho venduto, lo comprerò domani. Quando, se ho indovinato, comprerò a 90 quel che valeva 100 e ho venduto a 95. Quindi guadagno 5. Oppure, se va male, comprerò a 100 o anche più quel che ho venduto a 95. Giochino molto rischioso se uno non sa come il titolo va domani, ma se invece lo sa diventa giochino facile e redditizio.
Come conseguenza del tracollo Saipem anche la Borsa di Milano è andata giù, perdendo il 3.3%, trascinata nella discesa anche dalle difficoltà del Monte dei Paschi e da altri titoli in calo come Fiat. Le dimensioni del crollo Saipem, e la misura in cui la Borsa l’ha seguita, hanno però anche risentito di un clima di preoccupazione internazionale che accompagna il nostro Paese, clima che prima pesava sullo spread dei titoli pubblici e che ora si è trasferito sulla credibilità e sull’affidabilità dei nostri mercati e dei nostri soggetti finanziari. Scrive Alessandro Plateroti sul Sole 24 Ore:
“Quando il crollo di un titolo trascina al ribasso le aziende concorrenti e poi l’intero listino borsistico c’è sempre una spiegazione che va oltre il fatto in se stesso. Sul mercato le chiamano ‘reazioni emotive’. (…) Il problema è che ‘reazioni emotive’ della portata che abbiamo visto ieri hanno generalmente radici più profonde, che non vanno trascurate: sono lo specchio della fiducia sull’affidabilità del mercato italiano. (…)Insomma, dietro al crollo della Saipem e quello dell’Eni ci sono certamente ragioni industriali e finanziarie, ma la reazione del mercato contiene un messaggio più ampio e chiarissimo: l’Italia, le sue banche e le sue aziende sono oggi sotto la lente degli investitori come ieri lo erano i titoli di Stato. Lo spread dei Btp scende, ma l’emergenza non è finita: trasparenza, controlli, stabilità e riforme è quanto i mercati chiedono ancora all’Italia”.
E i fatti Saipem, come quelli del Monte dei Paschi, non aiutano certo a far crescere affidabilità e fiducia nel nostro mercato. Il crollo in Borsa di uno dei gruppi leader al mondo nell’estrazione e nel trasporto di idrocarburi, è legato sì al profit warning, cioè l’annuncio con il quale una società quotata comunica che i suoi risultati saranno inferiori rispetto alle attese degli analisti. Una comunicazione arrivata a mercati chiusi martedì 29 gennaio e riguardante gli utili 2012 e 2013 di Saipem, utili notevolmente ridimensionati, e fatta dal nuovo amministratore delegato Umberto Vergine: -6% l’utile operativo 2012 (1,5 miliardi) e utile netto in calo del 10% (900 milioni). E previsioni per quest’anno con risultati dimezzati rispetto al 2012: margine a 750 milioni e utile a 450 milioni.
Prima del profit warming un fatto singolare ha infatti coinvolto le azioni Saipem. Esattamente 24 ore prima del crollo, Bank of America Merrill Lynch ha venduto le azioni con una procedura di accelerated book building a controparti non note. Un pacchetto di quasi 10 milioni di titoli venduti a 30.65 euro per azione, azioni scese in 24 ore a 20 euro l’una, e pari al 2,3% di Saipem. Chi sia il venditore, il furbone che ha lasciato la nave un attimo prima del naufragio, non si sa e nemmeno sarà facile scoprirlo, anche se la Consob ha avviato le procedure per risalire all’ignoto venditore.
Ma chiunque sia il sospettato è che possa essere un qualcuno che, probabilmente in possesso delle informazioni rivelate in seguito sui bilanci, abbia messo a frutto le informazioni in suo possesso. Pratica illegale che va sotto il nome di insider trading. Tra le ipotesi circolate c’è anche quella secondo la quale qualche operatore o investitore a conoscenza dell’imminente ‘allarme utili’ abbia chiesto e trovato i titoli Saipem a prestito per venderli prima del crollo e poi ricomprarli e restituirli quando il valore era ormai crollato del 30%. La classica operazione allo scoperto.
Quello che è certo è che vicende come questa e come lo scandalo derivati che ha coinvolto il gruppo Monte dei Paschi non aiutano lo “spread dell’emotività” che rischia di pesare, e molto, sul nostro mercato.
