Alessandro Camilli

Selfie: 259 morti di vanità. Più vittime tra 20 e 29 anni che tra gli adolescenti

Selfie: 259 morti di vanità. Più vittime nella fascia 20-29 anni che tra gli adolescenti (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Sfortuna, casualità, errore di valutazione ma anche un po’ di deficienza pura e semplice. Deficienza di materia grigia e di capacità di valutare il pericolo, i pro e i contro delle proprie azioni. Sono questi gli ingredienti e la causa della morte di quasi 300 persone negli ultimi 6 anni. Sono le vittime dei selfie, caduti nei dirupi, investiti, schiantati o sbranati per un autoscatto più ‘figo’.

In 6 anni, dall’ottobre del 2011 al novembre del 2017, come riportato nel Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes che cita uno studio dell’India Intitute of Medical Sciences di New Delhi, nel mondo 259 persone sono morte a causa di autoscatti fatali. In India quasi la metà dei casi e solo 2, fortunatamente, in Italia nel periodo preso in considerazione.

La fascia d’età con la più alta incidenza è quella compresa tra i 20 e i 29 anni con 106 vittime, seguita dai più giovani, 10-19 anni, con 76 vittime. Queste due fasce d’età rappresentano il 70,3% del totale dei morti a causa di un selfie. Altre 20 vittime si contano nella fascia tra i 30 e i 39 anni, 2 tra i 50 e i 59 anni e 3 persone tra i 60 e i 69 anni. Più gli uomini, 153, delle donne, 106. Di questi 70, vale a dire i più, sono morti per annegamento, 51 in incidenti legati a mezzi di trasporto e tra questi il mezzo più gettonato è il treno (28), mentre 48 sono caduti da grandi altezze e altrettanti sono finiti divorati dalle fiamme.

E poi 16 sono stati fulminati da scariche elettriche, 11 colpiti da arma da fuoco e 8 uccisi da animali selvatici. Perché? Per uno scatto in più, per un selfie che quando diventa causa di morte ha persino un nome tutto suo: killfie. Per la voglia di mettersi in mostra e di misurarsi o per la ricerca dell’adrenalina nel tentativo di apparire audaci. Fenomeni e istinti che sono sempre esistiti a cui si è aggiunta la necessità di apparire della nostra società che non a caso è definita anche dell’immagine.

Il tutto condito e declinato dalle e con le nuove tecnologie che danno libero sfogo alla stupidità umana non solo nell’espressione delle idee, come aveva intuito e anticipato Umberto Eco, ma anche alle azioni concrete. Che in qualche caso si traducono in uno scatto sul ciglio di un burrone durante una bufera con i tacchi a spillo…

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Alberto Francavilla