Tangente ineluttabile perché…Perché i lavori pubblici costano una cifra alla gara d’appalto (quando c’è la gara) e costano invece un’altra e diversa cifra durante i lavori. Diversa e maggiore, succede sempre, sempre! In quel ricarico di costi che spesso raddoppiano c’è la quota tangenti e mazzette, è istituzionalizzata.
Tangente ineluttabile perché…Perché in Italia in galera per reati economici e finanziari alla fine ci si va poco, pochissimo. Solo lo 0,4 per cento dei detenuti italiani è dentro per questo reati. La media europea è dieci volte tanto.
Tangente ineluttabile perché…Perché mica solo i politici. No, i politici non sono soli. La tangente è ineluttabile perché raccoglie e conguaglia, chiama e coagula imprenditori, professionisti, pibblici funzionari, magistrati delle acque, generali…L’ultimo scandalo in ordine di tempo, quello del Mose e del giro di corruzione e tangenti nato e proliferato intorno a questo, sancisce quella che può essere definita “l’ineluttabilità della tangente”. Un percorso, un dazio, un modus operandi che sembra essere, almeno nel nostro Paese, imprescindibile. Non esiste, e certamente non si ricorda a memoria d’italiano, una grande opera pensata e avviata nel nostro Paese, ma non necessariamente conclusa, che non abbia finito per ingrassare le tasche di politici, imprenditori e controllori a vario titolo che tutto hanno fatto fuorché tenere le mani pulite.
La vicenda Mose è, in primis per dimensioni e poi per i tempi, una specie di summa della corruzione e del malaffare italiano. Una vicenda in cui si concentrano e ritrovano tutte le caratteristiche tipiche, a cominciare dagli attori che vi si incontrano. Non solo politici, questi fanno rispetto agli altri più notizia ed indignazione ma, sempre e non spesso, sono accompagnati da imprenditori disonesti che solo saltuariamente sono vittime della corruzione mentre, più spesso, ne sono parte e complici. E poi i magistrati e i generali, i pubblici funzionari e i privati professionisti, quelli che a diverso e vario titolo sarebbero chiamati a controllare e che invece sono pagati, con le mazzette, per fare l’esatto opposto e chiudere gli occhi.
Ed ecco qualche nome. Si va dal “doge”, al secolo Giovanni Mazzacurati, l’imprenditore a cui era stata affidata la presidenza del consorzio che il Mose deve, doveva o dovrà realizzare, ai politici: il consigliere regionale Pd Giampiero Marchese, l’assessore regionale forzista Renato Chisso, il sindaco Pd Giorgio Orsoni e l’onorevole Giancarlo Galan (Fi). E poi Marco Milanese, il braccio destro dell’ex ministro Tremonti già coinvolto in altre inchieste. E ancora l’imprenditore edile Franco Morbiolo, il dirigente Giuseppe Fasiol e il commissario allo scavo Giovanni Artico. L’ad di Palladio Finanziaria Roberto Meneguzzo, Vittorio Giuseppone (ex magistrato della Corte dei conti), Lia Sartori (ex europarlamentare Pdl che in realtà si chiama Amalia ma nome che non ama perché spia delle sue origini) e l’ex generale della Finanza Emilio Spaziante. Solo alcuni dei 35 finiti agli arresti e volutamente elencati in ordine sparso perché tutti più ligi al loro compito all’interno della “sistema” che a quello che sarebbe stato il loro lavoro.
Non solo gli attori però caratterizzano la nostrana corruzione e non solo loro compaiono come elementi tipici nella vicenda Mose. Altra caratteristica fondamentale è la procedura d’emergenza, quella procedura che consente di scavalcare ed aggirare i normali controlli e le normali regole (ad onor del vero spesso soffocanti ed eccessive) in nome di una supposta urgenza dei lavori in questione. Il Mose ad esempio era urgente, urgentissimo, così urgente che i lavori sono cominciati appena 31 anni fa e non sono ancora finiti. I romani, tanto per dire, per costruire il Colosseo impiegarono meno, molto meno.
“Opere fatte con deroghe che finiscono quasi sempre con fatti di corruzione. C’è una legge inadeguata a gestire le grandi opere. C’è troppo formalismo per le piccole amministrazioni e un difetto per le grandi. C’è sempre bisogno di deroghe, giustificate per fare le opere, che poi producono corruzione. La legge sugli appalti non è adeguata e va cambiata”, ha detto il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.
E poi, last but not least come dicono gli inglesi, il costante lievitare dei costi delle opere pubbliche. Altro elemento in cui il Mose sembra volersi distinguere. Nel progetto iniziale il sistema di barriere mobili doveva costare un miliardo e mezzo di euro circa, ovviamente a valore attuale. Oggi, dopo 30 anni di lavori e almeno 20 di ritardo, i costi finali, ancora sconosciuti, sono stimati intorno ai 6 miliardi. Ovviamente a carico dei contribuenti.
Eppure, nel Paese di Mani Pulite, dell’Expo e del Mose, a giudicare dalle sentenze e dalle statistiche sembra che la corruzione non esista:
“Nel decennio dopo la stagione di Mani Pulite – scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera -, 1996-2006, secondo l’Alto Commissariato, le condanne per corruzione precipitarono dell’83,9%, quelle per concussione del 90,4%, quelle per abuso d’ufficio del 96,5%. Come mai? Perché l’Italia è più pulita? Magari! L’abbiamo scritto ma vale la pena di ripeterlo: dice il rapporto 2013 dell’Institut de criminologie et de droit pénal curato dall’Universita di Losanna, che nelle nostre carceri solo 156 detenuti, lo 0,4% del totale, sono lì per reati economici e fiscali, tra cui la corruzione e la concussione. Una percentuale ridicola. Dieci volte più bassa rispetto alla media europea del 4,1%. È una coincidenza se la Germania, il Paese di traino del Continente, ha le galere più affollate di ‘colletti bianchi’? Ed è solo una coincidenza se noi, che arranchiamo faticosamente in coda, ne abbiamo 55 volte di meno?”.