ROMA – Terremoto, al quarto colpo in sei mesi si è ficcato nelle ossa dei milioni che abitano a Roma. Ad agosto aveva sorpreso, stupito, preoccupato. Ma era il sisma, la terra che tremava (un po’ anche sotto e dentro casa) una notizia eccezionale, un fatto grande e grave proprio perché insolito. Ad agosto il terremoto si era sentito eccome a Roma, ma era un terremoto successo altrove, capitato ad altri. Un terremoto vicino di certo, accaduto vicino casa. Vicino, ma non a casa. Ad agosto Roma e i milioni di romani avevano vissuto e tutto sommato digerito, metabolizzato il terremoto appena fuori porta ma fuori porta appunto.
Poi il sisma bussa e ribussa due volte ad ottobre e i milioni che vivono a Roma e tutta la città cominciano ad affrontare la fatica mentale di doverci in qualche modo, se non convivere con il terremoto, al terremoto dovercisi abituare. Ad ottobre durante e dopo le scosse che si avvertono a Roma si registrano molti casi di comportamenti irrazionali, gente che lascia casa e cerca posti sicuri. Irrazionali, perché a Roma non c’è pericolo crolli né tanto meno crolli. Però è un’irrazionalità che contiene una domanda ansiosa e reale: e se continua? La rassicurazione principe, il terremoto viene e poi sparisce, te lo ricordi proprio perché una volta ogni morte di papa, questa rassicurazione con i due terremoti di ottobre se ne va.
Ed ora è gennaio, la quarta volta. E Roma e i romani stavolta il terremoto lo sentono non solo in casa o in ufficio o a scuola o dove sono al momento delle tre scosse della mattina. Stavolta, alla quarta volta, Roma e i romani il terremoto lo sentono nelle ossa. Sentono che è una cosa che li riguarda direttamente. Non più solo le “zone terremotate” ma casa loro, la città loro, le loro strade, il loro territorio. E parte, di massa e condiviso, un ordine che nessuno ha dato ma che tutti trovano sensato, cui tutti obbediscono. L’ordine è: tutti fuori, tutti in strada.
L’ordine non lo dà il Comune che è lento come ogni pubblica burocrazia è lenta. L’amministrazione Raggi non fa eccezione, i suoi tempi sono fuori tempo rispetto alla vita reale. L’ordine non lo dà il Ministero della Pubblica Istruzione, l’ordine non lo dà nessuna autorità. Ma l’ordine è svuotare le classi, portare gli alunni in cortile (dove c’è), chiamare i genitori per riconsegnare i figli. E anche: uscire dagli uffici, dai Ministeri, dalle banche, dai luoghi chiusi, tutti in strada appunto.
Certo è paura, esagerata. Certo è precauzione, comprensibile e non censurabile. Ma è soprattutto la manifestazione evidente che il terremoto da oggetto straniero e foresto per i romani come è stato per decenni anzi secoli (“al massimo ai Castelli”) in cinque mesi è diventato per Roma e i suoi abitanti un nemico in casa. Che spesso bussa e smuove casa, il terremoto è entrato nelle ossa di Roma.