
LONDRA – Anche prima che il cosiddetto effetto farfalla venisse teorizzato, e quando la globalizzazione altro non era che una parola priva di senso, quel che accadeva da un lato del pianeta aveva ripercussioni e faceva sentire il suo effetto anche all’altro lato del globo terracqueo. E un ottimo esempio di come questo accadesse, è l’esplosione del vulcano indonesiano Tambora. Una delle esplosioni vulcaniche più violente di sempre. Un’eruzione in grado di cambiare il clima del pianeta, causare la riconversione delle coltivazioni cinesi cambiando così gli equilibri geopolitici dell’Estremo Oriente, favorire l’esplosione di una pandemia paragonabile alle pesti medievali e contribuire alla disfatta di Napoleone a Waterloo.
Correva l’anno 1815 quando, in un giorno di metà aprile, la montagna Tambora, nell’isola indonesiana di Sumbawa, letteralmente esplose: 1300 metri di montagna svanirono dal paesaggio mentre nell’atmosfera si dispersero 150 miliardi di metri cubi di roccia, ceneri e polveri. Nell’esplosione della montagna-vulcano morirono 60mila persone. Ma la catena di eventi che l’esplosione scatenò fu ben più devastante per il mondo di allora.
Le temperature del pianeta crollarono fino ad un paio di gradi, il cambiamento climatico si tradusse in una serie di siccità ed inondazioni nel sud-est asiatico che diede linfa ad un epidemia di colera che dal golfo del Bengala diventò una piaga planetaria. La perdita dei raccolti nella provincia dello Yunnan fece poi sì che l’agricoltura della zona fosse riconvertita ad oppio, con conseguenze che avrebbero cambiato gli equilibri geopolitici tra Asia ed Occidente. E ancora, la crisi dell’agricoltura americana a cui seguì la prima depressione degli Usa, nota come il panico del 1819; e poi lo scioglimento eccezionale dei ghiacci artici che convinse generazioni di esploratori a cercare l’inesistente passaggio a nord-ovest; o le piogge eccezionali che colpirono l’Europa nei mesi successivi all’esplosione, quelle piogge non previste che inzupparono nel giugno del 1815 le artiglierie di Napoleone a Waterloo. Per finire, forse, con quello che viene ricordato come “l’anno senza estate”, il 1816. L’anno grigio le cui atmosfere avrebbero ispirato Mary Shelly che, proprio in quei mesi, compose il suo Frankenstein.
“Se una farfalla batte le ali a Pechino, a New York si scatena una tempesta”. Questo è il cosiddetto “effetto farfalla”, che la letteratura, la meteorologia e la matematica hanno cercato di spiegare fin dagli anni cinquanta. Ed è anche la base teorica da cui parte l’analisi di Gillen D’Arcy Wood, autore di “Tambora. The eruption that changed the world”, un testo in cui lo studioso analizza i legami tra l’eruzione in Indonesia e le conseguenze ai quattro angoli del globo. All’epoca dei fatti la globalizzazione in senso cultural-commerciale del termine era ancora lontanissima nel tempo e le scienze come climatologia, geologia e chimica non erano ancora in grado di studiare le interazioni tra fatti apparentemente lontani. Le conoscenze di oggi invece, sfruttate da Wood, consentono di rileggere gli eventi di due secoli fa in modo diverso e meno casuale. Mostrandoci ancora una volta come siano fragili le certezze della nostra società e come queste possano essere mese in crisi da fatti assolutamente per noi imprevedibili e falsamente distanti.
