ROMA – Pace in Colombia. In un articolo su “Repubblica” Roberto Saviano afferma che gli accordi con le Farc siano stati siglati a Cuba perchè “Cuba è da sempre luogo di passaggio della cocaina diretta negli Stati Uniti e in Europa”. Saviano sostiene che la droga ha sempre fatto scalo a Cuba per poi ripartire per Florida, Messico, Canada e che i cubani abbiano fornito per anni logistica a Pablo Escobar in cambio di soldi al regime.
Chissà quali sono le fonti di Saviano, ma se fosse vero sarebbe la notizia del secolo perchè significherebbe che le Farc (che per inciso con Escobar c’entrano fino ad un certo punto) utilizzavano Cuba per inondare di cocaina tutto il centro e Nord America oltre che l’Europa. Significherebbe che le amministrazioni dei governi statunitensi, che vararono il Plan Colombia per gasare le piantagioni di coca, potevano invece limitarsi a piazzare qualche vedetta in più ai limiti delle acque territoriali de l’ Habana, già notoriamente uno dei tratti di mare più pattugliati del mondo.
Che uno si chiede come facessero i narcos ad attraversarlo cosi facilmente se non postulando che tutti i doganieri degli USA e di Europa fossero dei corrotti al soldo dei narcotrafficanti Fidel Castro e Pablo Escobar.
In realtà a Saviano, solito ad analizzare qualsiasi realtà solo attraverso le dinamiche criminali, sfugge il ruolo culturalmente egemone che ha sempre avuto Cuba nel panorama politico latino americano. Per tutti i leader di quel continente, anche quelli di destra, l’esperienza cubana ha rappresentato una concreta possibilità di elaborazione di politiche e modelli di sviluppo che prescindessero da quelle imposte dai detestati “gringos”.
Sfugge a Saviano che gli accordi di pace cominciarono a Oslo sotto l’egida ONU e proseguirono a Cuba (garanti Venezuela e Cile) su iniziativa della Norvegia e di Fidel Castro, già contrariato dalla deriva criminale delle Farc e comunque indotto da Chavez a favorire un accordo di pace fondamentale per l’area. Ed è questo il punto cruciale della questione.
Chavez voleva normalizzare i rapporti con la Colombia perché aveva centinaia di migliaia di profughi colombiani al suo interno e soprattutto perché aveva bisogno dei porti colombiani per esportare il suo petrolio in Cina. Convinceva dunque Fidel Castro a farsi da garante di un accordo con le Farc che ponendo fine ad un conflitto che durava dal 1964, normalizzasse la regione. Un accordo che avrebbe visto un vantaggio per le esportazioni del Venezuela con ricadute economiche per la Colombia e prestigio per Fidel Castro, riconosciuto leader risolutore del conflitto in atto da anni.
L’imminente accordo in chiave Castro-Chavez, come ebbi a scrivere l’estate scorsa da Bogotà aveva spaventato la nascente classe media colombiana – che infatti si è espressa in modo contrario nella consultazione referendaria – in quanto questa temeva una deriva “bolivariana” della politica interna che avrebbe messo in pericolo gli agi nati da una economia in forte crescita.
Santos, con l’aiuto dei Castro, è stato più lungimirante ed approfittando della debolezza della leadership Venezuelana, è assurto a ruolo di pacificatore come lo fu il costaricense Oscar Arias, Nobel per la pace per aver favorito i processi di distensione nell’America Centrale negli anni ’80. Questo è il motivo per cui gli accordi con le Farc sono stati conclusi a l’Habana.
Questa è la lettura che è lecito trarre dalle fonti storiche e diplomatiche a disposizione. Che ovviamente sono meno autorevoli di quelle delle Questure di mezzo mondo, troppo spesso utilizzate da Saviano.