
Sarajevo 25 anni dopo, la memoria non si cancella (foto Ansa)

Atterra in una deliziosa conca punteggiata dal verde dei Balcani il bimotore ad elica partito poco piรน di mezzโora prima da Belgrado.ย Sarajevo, capitale lunga e stretta della Bosnia, la piรน martoriata delle Repubbliche nate dalla dissoluzione della Jugoslavia.ย
Lโarchitettura istituzionale del generale Tito aveva tenuto bene fino alla sua morte, nel 1980, riunendo austroungarici e levantini, ortodossi e musulmani, balcanici e albanesi. Un capolavoro politico e diplomatico che lo aveva tenuto indenne anche dalle mire espansionistiche della URSS, visto che la Jugoslavia (con lโIndia) era il paese leader tra quelli โnon allineatiโ durante la divisione del mondo in 2 blocchi.
Per 10 anni, le tensioni tra le diverse comunitร etniche, dalla fine della seconda guerra mondiale tenute insieme artificiosamente, prendevano lentamente forma. Sino a quando nel 1992, gli appetiti politici di Serbi e Croati, non divennero parte di un piรน grande progetto volto ad affermare la supremazia etnica di cetnici ed ustascia sugli altri territori e genti dei balcani. Provarono prima ad attaccare la Slovenia, ma la guerra a Lubjana e dintorni durรฒ pochi giorni. Troppo forti le protezioni europee, soprattutto di Germania ed Austria. Toccรฒ dunque alla Bosnia essere teatro dellโultimo sanguinoso conflitto dello scorso secolo.
Le enclave serbe e croate su quel territorio facilitarono il compito dei macellai croati ma soprattutto serbi. Sino ad arrivare allโassedio di Sarajevo, durato 4 anni, dal 92 al 96. Una guerra nel cuore dellโEuropa che la comunitร internazionale non seppe o non volle evitare. Una cittร pacifica, colta, multietnica costretta a subire lโassedio delle forze serbo-bosniache che la cannoneggiavano dalle deliziose alture della cittร . Fiaccata dai cecchini appostati nei palazzi sui viali della cittร (famoso quello di ulica zmaje od bosne), Sarajevo รจ stremata per 1500 giorni. Unica via di fuga un tunnel, oggi detto della speranza, che la collegava allโaeroporto controllato dalle forze dellโOnu. Nei due sensi transitavano uomini, donne, bambini, ma anche armi e munizioni.
Intanto i generali Karadzic e Mladic, agli ordini del presidente serbo Milosevic, si rendevano responsabili di orribili stragi in tutta la Bosnia. Srebrenica , Tuzla, Mostar, cittร il cui martirio veniva annunciato tutti i giorni sui nostri Tg allโora di pranzo. A 200 km in linea dโaria da Ancona, vecchi, donne e bambini venivano sgozzati, mutilati, stuprati dalla follia serbo nazionalista. I bosgnacchi (musulmani di Bosnia) da secoli pacificamente conviventi con ortodossi, cattolici, ebrei, erano umiliati dai loro stessi vicini, dai loro stessi parenti.
A Srebrenica, dalle 20 alle 50 mila donne furono stuprate. Furono stupri etnici, affermรฒ il Tribunale Penale Internazionale. I figli di quella โcolpaโ, oggi quasi trentenni, si sono riuniti in una associazione, Zaboravljena Djeca Rata, letteralmente โfigli dimenticati dalla guerraโ.
Rivendicano riconoscimento, diritti, dignitร . Non รจ facile. Troppo recenti quelle ferite tra le comunitร . Gli accordi di Daytona del โ96, hanno posto fine alla guerra, hanno sterilizzato le colpe della Comunitร Internazionale, ma non hanno cicatrizzato tutte le ferite in questa terra martoriata. Sarajevo รจ tornata ad essere bella, civile, tollerante.ย
La maggioranza bosgnacca musulmana convive pacificamente con le minoranze ebree e cristiane. Chador e minigonne sfilano tra le belle strade dello storico quartiere di Bascarsija. Ma ancora i segni della guerra li vedi nelle โrose di Sarajevoโ, crateri provocati dai mortai serbo croati, che a imperitura memoria i cittadini di Sarajevo hanno segnato di rosso per le strade, o nei fori da mortaio lasciati sui bei palazzi austroungarici di Ulica Marsala Tito. Ma piรน ancora, nei profondi e tristi occhi scuri degli anziani di Sarajevo. ร li che resta iscritto lโorrore di una guerra crudele nel cuore di una distratta Europa.
