L’ultimo Papa italiano risale al 1978 e fu Albino Luciani, il patriarca di Venezia che, eletto a sorpresa, non resse che un mese. Era cardiopatico, morì serenamente nel suo letto, ma i dietrologi non accettarono mai l’idea che un Papa possa morire dopo un solo mese di “regno”.
Luciani era succeduto a Paolo VI, il grande pontefice che pregò in ginocchio le Brigate rosse perché liberassero il suo amico Aldo Moro. L’elezione di Karol Wojtyla, cardinale polacco di Cracovia, che all’epoca aveva 58 anni, anche lui eletto a sorpresa, aveva interrotto una tradizione secolare, interruzione confermata poi da Joseph Ratzinger, il cardinale bavarese, che non fu eletto a sorpresa, ma che ha sorpreso tutti scegliendo di andarsene in pensione. In questo periodo di Papi stranieri, il mondo è completamente cambiato. Quando fu eletto Wojtyla non esistevano neanche i telefonini e la televisione era diventata a colori da qualche anno.
Eppure, c’è come un riflesso condizionato nell’immaginario cattolico. Prevale l’idea che il Conclave sia una sorta di piccolo campionato del mondo, un torneo a squadre di cardinali che rimanda direttamente all’ “Habemus papam” di Nanni Moretti. Anche nei giornali, naturalmente, scatta questo riflesso condizionato. Lunghe sedute spiritiche trovano spazio alla ricerca dei “papabili italiani”.
Scola? Bagnasco? Betori? Piacenza? Prevarrà la lobby di Bertone o quella di Ruini? Sembra lo spazio dovuto al pre-partita, che più si allunga e peggio è. Quello italiano è una specie di “tifo provinciale” che si scorda colpevolmente di alcune circostanze: i cardinali italiani una volta erano maggioranza, ma adesso non lo sono più: i cardinali delle Americhe sono cresciuti in numero ed autorevolezza, e si faranno sentire; gli europei non hanno nessuna voglia di lasciare ancora il comando ai curiali italiani: Ratzinger, nell’ultimo concistoro, non ha dato la berretta rossa a nessun italiano.
Certo, la presenza del Vaticano sul suolo italiano rimane un fatto che non si può ignorare, ma he conta quasi nulla ormai. Una volta i cardinali americani, cinesi o indiani erano “lontani”. Adesso distano 24 ore di aeroplano, un click sul telefonino, una mail in tempo reale. A Roma, non ci si arriva più con la transiberiana con cambio a Vienna, o con la nave a vapore. La globalizzazione tecnologica ha reso la Chiesa più universale, anche più esposta alle follie del mondo, ma certo più universale. E poi un’ultima considerazione: l’Italia è forse uno dei Paesi che vive meno cristianamente. Il popolo di Dio è abbastanza ripiegato sulle sue cose quotidiane, non chiede miracoli e non se li aspetta. I Paesi dove la fede prospera sono quelli del Terzo e del Quarto mondo. Gli italiani sono curiosi: in Chiesa non ci vanno più, ma vogliono il papa italiano. Misteri della fede.