
Domenica delle palme al coronavirus, Pasqua al Covid, stadi chiusi e vuoti (Foto d'archivio Ansa)
ROMA – Coronavirus. Percorro a fatica la strada deserta, carico di ogni bendiddio per i prossimi tre giorni. Incontro soltanto un’auto dei vigili urbani che, convinti dalle buste della spesa, mi salutano con un cenno garbato.
Pescara è migliorata nella sventura. Può accadere. Non vedo in giro sportivi sudati, anche i cani mi sembrano diminuiti. Boh, sarà quest’altra minaccia che coinvolge le bestie nei virus per soli uomini.
Il mondo sembra sparito, mi assale la giusta dose di ansia, ho l’impressione di essere finito nel romanzo di Guido Morselli, che negli anni Settanta del secolo scorso, previde una specie di Coronavirus. Restava solo il protagonista che non era riuscito a suicidarsi.
Non condivido l’idea. A me interessa di più vivere. Ho le mie ragioni.
Guardo i giornali per abitudine e per capirci qualcosa. Osservo le foto degli assembramenti dei napoletani, che si fidano più di san Gennaro che degli scienziati.
Non ci posso credere, e infatti non ci credo. Concludo che sia il solito complotto per sputtanare i devoti di san Gennaro e del suo sangue. Roba inventata dai miei amici milanesi, o forse da qualche burlone autoctono: a Napoli non mancano.
E’ arrivata la Domenica delle Palme, la festa cristiana che inaugura l’arrivo della primavera, la potatura degli olivi, il ritrovarsi all’aperto nel sole. Comincia la Settimana santa. Papa Francesco tutte le mattine alle sette ci regala un po’ di fiducia e la regala a quelli che stanno peggio.
Un’altra domenica di stadi deserti, mentre le società di calcio cercano di limitare i danni milionari che la quarantena porta. In questo vuoto, chissà perché, mi viene un’antica nostalgia, un salto indietro di mezzo secolo. Sandro Ciotti, Enrico Ameri, Tonino Carino, e Oronzo Pugliese, Helenio Herrera, Rivera e Mazzola e Suarez…Tutto il calcio minuto per minuto. Quasi quasi accendo la radio…