ROMA – Comunali Roma 26 e 27 maggio: ritratto e probabilità di vittoria dei principali candidati sindaco.
Vanno a votare 2.119.000 elettori, che dovranno scegliere fra 19 candidati appoggiati da 40 liste.
Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Alfio Marchini, Marcello De Vito, Sandro Medici e altri 14: in una scheda elettorale lunga un metro c’è il nome del prossimo sindaco di Roma, che governerà la capitale fino al 2018. Conosciamoli, a partire dal primo cittadino in carica.
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Gianni Alemanno. Il suo mandato sembrava ormai un esperienza conclusa sotto una meno di mezzo metro di neve, quella che ha paralizzato Roma nel febbraio del 2012. Qualche mese prima, il 20 ottobre 2011, la Capitale era andata in tilt per un temporale. Un po’ di sfortuna e tante mosse sbagliate avevano fatto di “Calamity Gianni” lo zimbello dei romani. Ma lui è ancora lì e se la gioca, dopo un quinquiennio suo malgrado “memorabile”.
Ripercorriamolo. Il 2009 è l’anno delle crociate contro lavavetri, prostitute e movida e della gestione “distratta” dei Mondiali di nuoto. Il 2010 è l’anno della bocciatura di una grande idea alemanniana: il Gran Premio di F1 all’Eur. Si chiuderà in autunno con lo scoppio di Parentopoli: pioggia di assunzioni per chiamata diretta all’Atac e all’Ama. Nel 2011 a Roma si spara: 33 omicidi. Alemanno se la prende con le fiction “violente” come Romanzo Criminale o Il Capo dei Capi. E mentre la questione rifiuti non sembra risolvibile con la semplice proroga di Malagrotta, lo sgretolamento – crollo dopo crollo – del Colosseo è il simbolo dello stato di salute della città. Il 2012 si apre con il no del governo Monti alla candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020, poi la neve, il fallimento della differenziata che ingigantisce la questione monnezza, l’inaugurazione a singhiozzo della metro B1 e gli interminabili lavori – conditi da inchieste – alla metro C. L’anno si chiude con l’implosione della giunta Polverini che sconquassa tutto il Pdl Lazio e un commissariamento evitato per il rotto della cuffia, dopo che il bilancio 2012 è stato approvato con 11 mesi di ritardo. Il 2013 saluta con l’arresto di Riccardo Mancini, braccio destro di Alemanno, indagato per appalti e corruzione.
Pochi sono i punti a favore di Alemanno sul risanamento del bilancio comunale, rifiuti, trasporto pubblico, gestione delle municipalizzate, sicurezza, risposta alle emergenze. Ma questo non conta niente. Non bisogna commettere un’altra volta l’errore di darlo per spacciato. È la terza volta che si candida alle Comunali e non è per niente detto che la sua storia politica finisca qui.
Quando si presentò nel 2008 non erano in molti a scommettere su di lui: era quello che aveva straperso contro Veltroni nel 2006. Insediatosi in Campidoglio risulta impopolare sin da subito. Se ne accorge anche il suo partito, il Pdl, che dà Roma per spacciata. Oppure, nei momenti di ottimismo, pensa di candidare Giorgia Meloni al posto dell’ex segretario del Fronte della Gioventù.
Nel 2011 Alemanno – con il governo di centrodestra prima diviso, poi in crisi, quindi in rotta – dà l’estrema unzione al Pdl e a Berlusconi, nel 2012 sembra sul punto di intrupparsi con Monti. Poi annusa l’aria che tira, riscopre l’imprescindibilità del risorto Berlusconi e cerca di imitarlo su scala romana, ponendosi come unico baluardo del centrodestra nelle macerie del Pdl laziale. Anche perché nessuno vuole mettersi a combattere una battaglia data per persa.
Invece Alemanno riprende quota, anche grazie ai mille crediti che può riscuotere “sul territorio” dopo cinque anni prodighi di assunzioni, consulenze e assegnazioni di appalti.
È quello che ha speso più di tutti per la campagna elettorale finora: 700.000 euro. Raccolti grazie ai maggiorenti del Pdl locale che si sono compattati al suo fianco e grazie al potentissimo e trasversale partito del cemento, che guardava con molto interesse al piano casa che – per fortuna dell’Agro romano – non è riuscito a portare a termine.
Su Youtube imperversa un suo spot in cui spiega, in puro berlusconese, come la sinistra che “aveva governato la città per 30 anni”, lasciandola “in ginocchio”, con “un ostruzionismo scellerato ha tentato di impedire la nostra azione di risanamento”. Sui manifesti 6×3 parla di un -14% di reati in cinque anni. Un dato smentito dai numeri forniti da Sistar Lazio ed Eurispes.
Ma sono dettagli. Se, come è probabile, Alemanno arriverà al ballottaggio, la probabilità di un bis non è poi così remota, soprattutto se riuscirà ad apparentarsi con Alfio Marchini.
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Ignazio Marino: ha stravinto le primarie del centrosinistra con 50 mila preferenze su 100 mila votanti. Poi, un po’ come è successo a Bersani, si è seduto. Fino a qualche mese fa si pensava che qualunque candidato espresso dalla coalizione guidata dal Pd avrebbe sbaragliato a mani basse la concorrenza. Ma i problemi nazionali hanno enfatizzato quelli locali, dove si è faticato molto a trovare un nome forte e si è finiti per andare alla conta interna con sei candidati. È arrivato primo il nome più pesante a livello nazionale, quello di Marino. Ma il chirurgo, già candidato alle primarie pd del 2009 contro Bersani e Franceschini, è partito ad handicap per tre fattori.
Il primo è la sua non romanità. Marino, mamma svizzera e papà siciliano, infanzia a Genova, università a Roma, carriera in America, è praticamente un apolide. Roma è città complessa e peculiare, non ama “importare” da oltre il Gra la sua classe dirigente. Ha sempre guardato con sospetto Alemanno, cresciuto a Bari da padre salentino.
Il secondo è il momento difficilissimo del Pd, iniziato subito dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio e continuato fino ad oggi. Quello che fino a pochi mesi fa era traino adesso è zavorra. Per questo Pd è stata una parola tabù in tutta la campagna elettorale di Marino. Si trovano in giro per Roma manifesti con slogan che strizzano l’occhio al grillismo come “Non è politica. È Roma“. Ma stiamo sempre parlando del primo partito della Capitale, radicatissimo sul territorio: non si può vincere senza o addirittura contro il Pd. La base discute, i maggiorenti mugugnano, chi stava con David Sassoli o Paolo Gentiloni osserva con malcelata soddisfazione le sue gaffe, come quando si incarta sulla durata di un suo eventuale mandato: “Cinque anni e poi basta, mi stufo”… Anzi no: “Se i romani vorranno resto 10 anni”.
L’ultimo handicap è il trovarsi in mezzo nella tenaglia fra le due anime della sinistra. Quelle che si sono divise sulla votazione per il presidente della repubblica, sul governo col Pdl, sulla manifestazione della Fiom e sul referendum a Bologna sui soldi agli asili privati. Marino, big del Pd, rappresenta molto di più quello che si muove fuori dal Pd: Sel, Rivoluzione Civile, pezzi di M5S, Fiom, ambientalisti… Una sua vittoria non verrebbe vista come una vittoria del Partito democratico (come successe nel maggio-giugno 2011 con i sindaci “arancioni” e il referendum su nucleare e acqua pubblica). Una sua sconfitta verrebbe interpretata come un altro sintomo delle difficoltà del centrosinistra.
Il punto a favore di Marino è che il suo profilo da “cittadino” vampirizza il voto grillino e dovrebbe neutralizzare il candidato M5S, Marcello De Vito. Sul fianco sinistro forse non basteranno Sel e candidature dai movimenti come “Tarzan” Andrea Alzetta per arginare la fuga di voti, al primo turno, in direzione di Sandro Medici.
Marino, ieri favorito, oggi è a testa a testa con Alemanno. Quasi impossibile che vinca al primo turno, non impossibile che perda al ballottaggio.
MARCELLO DE VITO. Sessanta giorni fa sembrava che per diventare sindaco a De Vito sarebbero bastati i 533 voti con i quali ha vinto nettamente le primarie del Movimento 5 Stelle, “sbaragliando” gli altri 11 candidati. Tutti pensavano che il grillino doveva arrivare al ballottaggio, poi era fatta: se la sfida sarebbe stata con Marino, gli elettori di Alemanno avrebbero votato per lui e contro il candidato del Pd; se avesse dovuto vedersela con Alemanno, gli elettori di centrosinistra avrebbero dirottato il loro voto sull’aspirante sindaco a 5 stelle.
Ma difficilmente De Vito, avvocato di 38 anni “romano de’ Roma” autodefinitosi “esperto nel settore degli appalti pubblici”, regalerà sorprese. Vuoi per l’inconsistenza della sua candidatura ad amministrare una caotica metropoli di tre milioni di abitanti, vuoi per la debolezza dei grillini nelle elezioni amministrative (le ultime regionali in Friuli la conferma, Parma l’eccezione), vuoi per Marino e Marchini, due figure molto “attraenti” per il potenziale elettorato M5S.
Difficile sperare nel miracolo, quindi, al termine di una campagna condotta sottotono, con un Grillo distante e un Movimento preso dalla diaria, dall’isolamento, dal calo nei sondaggi.
Sotto il 10% sarà flop, sopra il 20% sarà un successo. Poi la vera sorpresa potrebbe venire dalle due settimane precedenti il ballottaggio, quando De Vito potrebbe decidere di rompere l’isolamento e apparentarsi con Marino.
Continua con: Alfio Marchini e Sandro Medici
ALFIO MARCHINI. Ingegnere, 48 anni, rampollo belloccio di una dinastia di costruttori vicini al Pci, è uno che ha fatto del concetto di “splendido quarantenne” un ideale di vita. Un Ridge versione pizza e fichi che vorrebbe una Roma più “beautiful”.
Ha iniziato la sua dispendiosa campagna elettorale nel giorno di San Valentino con dei manifesti giganti che raffiguravano un cuore. Simbolo del suo amore per Roma. Un cuore che in alcuni manifesti è spezzato, metafora di una città che non è più amata da chi la vive e da chi la amministra.
Marchini si pone come uno fuori dai partiti ma molto “addentro” alle faccende capitoline. Rivendica, rimarcando la sua differenza col pugliese Alemanno e col genovese-siculo-svizzero Marino, la sua romanità.
Su Facebook spopola la sua parodia “Arfio Marchini”, che posta promesse come “eliminerò la doppia fila, le doppie punte, il doppio petto, il doppio mento. Roma diventerà una città singolare. Roma ti amo”. Su Twitter va forte l’hashtag #seArfiodiventasindaco: “Tor Pagnotta diventa Tor Baguette”, “er benzinaro ce dirà «volete il pieno al tavolo o al bancone?»”, “verrà istituita la figura del maggiordomo di quartiere” o “mette le #Hogan alle rotaie daa metro?”
Nonno partigiano, fratello del nonno presidente della Roma, zia l’attrice Simona Marchini, la biografia di “Arfio” non si esaurisce nell’albero genealogico.
Capitano della nazionale italiana di polo, nel 1994 viene nominato giovanissimo nel cda Rai e poi presidente della Sipra, su indicazione della giovane presidente leghista della Camera Irene Pivetti.
Erede di una tradizione “calce e martello”, ha ottimi rapporti con Massimo D’Alema – è socio fondatore di ItalianiEuropei e di “Italia Decide”, la fondazione di Luciano Violante. Ma vanta buone relazioni anche con l’Opus dei e Comunione e Liberazione. Negli anni 90, vicino a Rocco Buttiglione, è stato editore del “Sabato”.
Quando Rutelli immagina una “cura del ferro” per il trasporto pubblico a Roma, Marchini è Amministratore Delegato della società delle Fs che se ne occupa, Roma Duemila spa.
Nel cda della Banca di Roma, poi di Capitalia e quindi di Unicredit. È stato molto in America ed è orgoglioso di essere “membro del Non Governmental Peace Strategies Project (insieme a George Bush Senior, Kofi Annan, Javier Solana, Mikhail Gorbachev)”.
Marchini ha abbinato una campagna mirata sul “territorio” (da Corviale alla Luiss, dagli incontri coi comitati per l’acqua pubblica ai blitz nei mercati rionali) a un tour mediatico dove ha sfoggiato una discreta telegenia. Proprio in tv, ai microfoni di “In Mezz’ora” di Lucia Annunziata, ha annunciato ai primi di dicembre di volersi candidare a sindaco.
È la variabile impazzita del primo turno delle Comunali. Può prendere – o non prendere – voti dai delusi da Alemanno e dai non convinti di Marino e di De Vito. Sopra il 10% è già successo.
SANDRO MEDICI. Classe 1951, giornalista per 25 anni al Manifesto, ne è stato direttore dal luglio 1990 al novembre 1991. Eletto nel 1997 consigliere comunale come indipendente per Rifondazione Comunista, dal 2001 è stato eletto presidente del X Municipio e poi riconfermato nelle tornate successive. Sostenuto da Repubblica Romana, Liberare Roma, Sinistra Critica, dal Partito Pirata, da Rifondazione Comunista e dai Comunisti Italiani. Sta facendo una campagna ovviamente low cost ma molto presente sul territorio.
È il candidato dei movimenti della lotta per la casa, delle realtà occupate, delle radio libere, ma anche di intellettuali e artisti come Valerio Mastandrea. I suoi slogan giocano sul romanesco e sul suo cognome: “Me dici Roma? Te dico Sandro” – “Me dici cemento? Te dico basta” – “Me dici Alemanno? Te dico impicci”.
Potrebbe portare alle urne tutta quella parte di sinistra extraparlamentare che di solito non vota e anche rosicchiare qualche punto percentuale a Marino. Oltre il 5% è un buon risultato.