Il boom del carbone in Polonia risale agli anni 70, proprio quando venne costruita ed entrò in funzione la centrale di Belchatow. In quegli anni il Paese, ancora satellite dell’Unione sovietica, diventò il primo produttore di carbone in Europa e fino al 1979 fu secondo solo agli Stati Uniti come esportatore mondiale di carbone.
Negli anni 90, durante la complicata transizione fra comunismo ed economia di mercato, il congelamento del prezzo del carbone servì alla Polonia per calmierare il costo della vita e tenere sotto controllo l’inflazione. Varsavia conobbe subito la ripresa economica, a differenza di altri Paesi del blocco sovietico: fu una ripresa alimentata a carbone.
In un Paese dove molto si è liberalizzato e privatizzato, l’industria del carbone è rimasta sotto il controllo diretto o indiretto dello Stato, che ha tutte le sue ragioni per ritenerlo un settore di primaria importanza. Quelle centrali danno lavoro a 100.000 polacchi e, secondo il dipartimento per le Politiche strategiche dell’Energia del governo di Varsavia, il carbone resterà fino al 2030 la chiave per la sicurezza energetica della nazione.
Con queste premesse, Polonia e Ue non possono che scontrarsi. L’Europa, che è nata nel 1951 come “Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio” (Ceca), ha da tempo deciso di de-carbonizzarsi. Per il 2020 il pacchetto Clima ed Energia prevede un obiettivo del 20-20-20: 20% di emissioni di gas serra rispetto al 1990, 20% di energia presa da fonti rinnovabili, 20% di aumento dell’efficienza energetica.
Per incentivare chi punta sulla green economy e scoraggiare gli Stati che inquinano, Bruxelles ha brevettato l’Ets (Emissions Trading System), un meccanismo che fissa un tetto alle emissioni di anidride carbonica e allo stesso tempo permette ai Paesi virtuosi di vendere le quote di CO2 – all’asta – a chi sfora il tetto: chi non rispetta i limiti paga, chi li rispetta incassa.
Ma il prezzo di quelle che potremmo chiamare “quote-carbone” è crollato (troppa l’offerta, scarsa la domanda) dai 30 euro per tonnellata di CO2 del 2005 ai 4,1 euro di adesso. Così è più conveniente inquinare che investire in energia pulita.
Ma su questo punto si è consumata l’unica sconfitta dei polacchi e della “lobby del carbone”: il parlamento Europeo a luglio ha approvato per pochi voti, dopo averla bocciato in aprile, il blocco delle aste 2013-15 per l’emissione di 900 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Congelando il mercato e riducendo l’offerta, l’obiettivo del commissario all’Ambiente Connie Hedegaard è di riuscire a far salire il prezzo delle quote di CO2 fino a 6-7 euro.
Come hanno reagito a Varsavia? Provando a convincere l’Europa a mischiare le carte. Gli argomenti sono “il carbone pulito”, “il carbone conveniente” e “il carbone amico del Pil”.
Ecco come il vicepremier Janusz Piechocinski, con la Conferenza sul clima in corso a Varsavia, ha portato la battaglia pro-carbone nel cuore del “campo nemico”, all’Europarlamento di Bruxelles:
“L’87% dell’energia prodotta in Polonia arriva dal carbone, ma rispettiamo i nostri impegni internazionali sul fronte delle emissioni di CO2. Ora lavoriamo su ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie del ‘carbone pulito'”. Il ministro dell’economia polacco preme perché Bruxelles punti su efficienza energetica e innovazione tecnologica, di cui il carbone faccia parte. La Polonia conferma la sua posizione nell’Ue a difesa della principale fonte di energia del Paese e gioca la carta della competitività e della necessità di impiegare le fonti energetiche disponibili più convenienti.
Il costo dell’energia in Germania, con gli incentivi alle rinnovabili “è cinque volte quello dell’energia in Polonia“, ha spiegato il vicepremier, che in sostanza non vede il carbone come incompatibile “con la tutela dell’ambiente e del clima” e propone nuovi target per il 2020, oltre quelli di taglio della CO2, più efficienza energetica e rinnovabili. “Dobbiamo ampliare i target introducendo la riduzione del 20% dei prezzi dell’energia e puntando al 20% di Pil dall’industria” ha detto Piechocinski, che ha confermato l’impegno di tagliare la produzione di energia da carbone del 40% al 2050. Ma questo non significa abbandonarne l’uso e Varsavia esplora nuove tecniche, come “la gassificazione sotterranea del carbone”. “L’Unione europea dovrebbe aprirsi a questa nuova tecnologia” ha affermato il vicepremier polacco.
Ma un altro piccolo colpo alla coal-holic Polonia è arrivato dalla Banca Mondiale e dalla Banca Europea di Investimenti (Bei), che hanno deciso di non finanziare più le centrali a carbone.
Però l’economia polacca è in netta ripresa, cosa che rende Varsavia in grado di pagarsi la costruzione delle sue Opole in orgogliosa autarchia.