Titolo: I Diavoli. Autore: Guido Maria Brera. Sottotitolo: La finanza raccontata dalla sua scatola nera. Rizzoli, pp. 414 17,50 euro.
ROMA – Negli stessi giorni in cui nei cinema si affacciava il Lupo di Wall Street (The Wolf of Wall Street, di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio), in libreria facevano capolino I Diavoli. Romanzo sulla finanza scritto da un finanziere. Che non somiglia per niente a Jordan Belfort.
È Guido Maria Brera, 42 anni, romano. A neanche 30 anni, nel 1999, è stato fra i fondatori di Kairos, fondo d’investimento, la prima società italiana di gestione del risparmio, che manovra sui mercati 5 miliardi di euro di patrimoni.
La vita di Brera è una delle tre che Walter Siti ha assemblato per comporre il personaggio di Tommaso Aricò, protagonista di Resistere non serve a niente, romanzo vincitore del Premio Strega 2013.
Quindi siamo di fronte a un finanziere-romanziere, la cui vita ha ispirato un altro romanzo premiato con lo Strega, che racconta la finanza “dalla sua scatola nera”, ovvero dal punto di vista quel dispositivo che serve a ricostruire cosa è successo dopo un disastro aereo, citando nel titolo Baudelaire (“la plus belle des ruses du Diable est de vous persuader qu’il n’existe pas!“, “Il più grande inganno del Diavolo è quello di avervi convinto che non esiste!”, vedi anche “I Soliti Sospetti”).
TRAMA. Siamo a Londra, in un momento imprecisato dopo lo scoppio della bolla subprime e il crac della Lehman Brothers. Massimo De Ruggero prende il posto del suo capo e mentore Derek Morgan alla gestione del Fixed Income – settore “governativi”, area “Europa” – di una grande banca d’affari. Il fixed income è un fondo d’investimento che specula sulle obbligazioni. I “governativi” sono i bond “sovrani”, ovvero i titoli di Stato. L’area “Europa” è il campo di battaglia in cui sarà sferrato il grande attacco della finanza ai debiti pubblici degli anelli deboli dell’Eurozona.
Massimo è un diavolo in prima linea in questa guerra, ma inizia a combatterla puntando i cannoni sul bersaglio sbagliato: il Treasury, il bond decennale emesso dal Tesoro americano.
I suoi calcoli di cecchino dei mercati non sono errati: gli Stati Uniti sono l’epicentro della crisi finanziaria, hanno un enorme debito pubblico controllato dai cinesi, la middle class impoverita da disoccupazione e crollo dell’industria, il ruolo di guida mondiale compromesso dai miraggi della guerra al terrore e dall’ascesa di nuove superpotenze. Con una moneta, il dollaro, che rischia di essere detronizzata dall’euro.
Il Treasury (il bond decennale) e il dollaro americano sono il meridiano di Greenwich e il metro di Sèvres del sistema monetario internazionale. Dopo Bretton Woods (1944), lo Smithsonian Agreement (1971) e l’abolizione del Glass-Steagall Act (1999) il biglietto verde, a braccetto con un capitalismo sempre più svincolato dall’economia reale, è uscito sempre più forte e più centrale da ogni crisi finanziaria mondiale. Ma questa volta gli Usa non ce la faranno, calcola Massimo. Il quale però non ha fatto i conti con Derek e i vertici della sua stessa banca, che da Manhattan – d’accordo con altri colossi Usa e con la Federal Reserve – stanno pianificando il D-Day dell’euro.
La City non può bombardare oltre Atlantico: il generale Derek ordina al colonnello Massimo di puntare i cannoni del suo fixed income oltre Manica. Sul Portogallo, sulla Spagna, sulla Grecia e sull’Italia.
(Massimo): «Il dollaro non terrà, e non solo quello. Se nei prossimi quattro anni gli interessi sul debito saliranno, ci troveremo a parlare di circa trecento miliardi in più. Il debito federale potrebbe perfino essere declassato».
(Derek): «Tratti il dollaro come se fosse una valuta qualsiasi, e gli Stati Uniti come un Paese tra tanti».
«Non mi piacciono i dogmi».
Derek sospira. «I dogmi sono come i proverbi, Max, aiutano a vivere. E il mercato di cui parli, il mercato in cui credi, è la scena buia d’un teatro». Muove un dito alludendo allo spazio circostante. È il momento. «Sul palco ci sono oggetti e attori, ma si vede solo ciò che viene illuminato dal fascio di luce».
(Massimo): «Qui non siamo in teatro, non vedo nessuna scena, Derek».
(Derek): «Il fatto che tu non la veda non vuol dire che non esista. E quando quella luce si sposterà da qualche altra parte, il dollaro sarà destinato a diventare un bene rifugio». Si protende in avanti. «Intoccabile» scandisce. «Sarà ancora più intoccabile di adesso».
[…] L’americano ha una strana espressione sul viso. «C’è un vecchio mondo da questa parte dell’oceano…»
L’Europa.
Massimo capisce subito cosa intende. Gli si materializza davanti agli occhi lo scenario della catastrofe. […] E ancora più lontano, scorge il cono di luce accendersi sull’Europa. Sarà l’Europa a pagare, è la vittima designata. La gamba inizia a tremare sotto il tavolo. «Gli Stati non sono banche. Non puoi trattare il debito dei Paesi europei come la Lehman».
(Derek): «Sono disposti a mettere in conto pesanti conseguenze».
(Massimo): «Sono? O forse vorresti dire siamo?»
(Derek): «Non è importante. Esistono mani che muovono quel riflettore, mani che hanno scritto il copione. Andrà in scena, contro tutto e tutti. Contro le variabili, le previsioni più lucide e le migliori analisi del tuo strategist».
(Massimo): «Stai descrivendo dei condizionamenti impropri. Anzi, stai parlando di una forza manipolatrice che agisce per proprio conto, al di sopra di tutto».
Derek scrolla le spalle. «Ti sto aiutando».
(Massimo): «Ma tu non hai nessun limite?»
(Derek): «I limiti non sono per noi».
ALTRO CHE ANIMAL SPIRITS. Chi sono i diavoli? Abbiamo appena assistito a un duello fra due di loro: il protagonista, Massimo, e l’antagonista, Derek. Sono i registi che guidano il gioco di luci e scelgono cosa farci vedere: l’occhio di bue punta sul debito pubblico greco. Un’inezia, rispetto all’enorme debito privato e pubblico americano. Ma noi vediamo solo ciò che il regista illumina. Il fascio si allarga, inquadra e accusa i “Pigs” d’Europa di essere una minaccia per il sistema economico occidentale, mette l’Euro sul banco degli inaffidabili. Il dollaro nell’ombra, si rafforza, gli Usa puntellano le loro banche, la Fed stampa moneta.
Chi sono i diavoli? Sono la finanza che è uscita dallo zoo. Non è più l’era degli animal spirits del mercato, dell’orso e del toro, dei falchi e degli avvoltoi, degli sciacalli. Degli stivali pitonati e delle dame leopardate. In questo senso, suona crepuscolare e consolatorio l’ululato del lupo-Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street, trionfo grottesco del broker predatore, belva terragna che ingurgita e vomita dollari, alcool, droghe, donne e amici. Belfort era di un’altra epoca ma soprattutto di un’altra taglia: parliamo di uno che ha bruciato 100 milioni di risparmi a lui affidati. La finanza dei diavoli, manipolatrice non predatrice, incorporea e invisibile quanto potente, fa crollare banche, sbriciola sistemi economici, mette in bolletta gli Stati e in mora il Welfare. Entra insomma nella vita di tutti e non solo in quella del risparmiatore-investitore che voleva correre il rischio di diventare ricco. E non si è fatta neanche un giorno di galera.
Non è più il tempo del fruscio della banconota, dei baccanali da basso Impero, del bestiario chiassoso e psicotico raccontato dai Bret Easton Ellis. In un mondo in cui algoritmi e modelli matematici spostano migliaia di miliardi in un clic, i diavoli si muovono senza far rumore e senza apparire.
Abbiamo conosciuto i diavoli in un romanzo scritto da uno di loro. Ma chi ha apparecchiato l’inferno in cui i diavoli sono onnipotenti? Questa ed altre domande ci portano fuori da un piano strettamente narrativo. Cosa che peraltro ha fatto Brera, che in tutte le interviste in cui ha presentato il libro ha scelto un approccio non-fiction, mettendo a verbale i concetti che ne I Diavoli sono condensati e drammatizzati. Ma non c’è niente di più reale del dramma che middle e working class stanno vivendo in Europa e in America.