ROMA – Padova, 11 giugno 1984: la morte di Enrico Berlinguer è un giallo nella “Storia segreta del Pci”, titolo del libro del sociologo Rocco Turi, edito da Rubbettino.
Questa è la versione ufficiale dei fatti: il 7 giugno, sul palco di Piazza dell Frutta a Padova, Berlinguer sta tenendo un comizio a dieci giorni dalle elezioni europee del 1984. Sta pronunciando la frase “Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda”, ma viene colpito da un malore. Si accascia in diretta televisiva, volto terreo e provato: quel malore è un ictus. Ma comunque continua il discorso fino alla fine, nonostante la folla gli urli, preoccupata, “basta!”. Sceso dal palco non viene portato in ospedale ma nella sua stanza d’albergo, dove si addormenta sul letto, entrando subito in coma. Solo allora viene trasportato all’ospedale Giustinianeo e ricoverato in condizioni disperate. Muore quattro giorni dopo, l’11 giugno alle 12.45, per un’emorragia cerebrale.
Secondo il sociologo Turi quella versione dei fatti non è convincente e la morte del segretario del Pci è avvenuta per delle colpe e non esclusivamente per cause naturali. Alcuni dettagli inducono Turi a ricostruire le ultime ore di Berlinguer come dominate dalla regia di un inquietante complotto. Il primo fattore evidenziato è l’inspiegabile ritardo nei soccorsi, non per colpa dell’ambulanza ma di chi decise di non chiamarla se non dopo due ore:
”Troppe bugie ci sono state raccontate. – scrive Turi – Da un riscontro severo e minuzioso dei tempi che scandirono la morte di uno dei leader comunisti più amati d’Europa siamo oggi in grado di smentire le tesi di quegli anni. Si aspettò troppo tempo per portare Berlinguer in ospedale; dopo i primi malori Berlinguer venne infatti trasportato lentamente prima in albergo, e poi dopo oltre due ore fu chiamata finalmente un’ambulanza. Una scelta del tutto folle”.
”Non è vero che Berlinguer venne operato appena arrivato in ospedale, ma è vero invece che venne portato in sala operatoria solo all’una di notte, dopo circa due ore trascorse in albergo, dunque due ore e mezzo più tardi dal suo malore in Piazza della Frutta”.
Secondo Turi il ritardo nei soccorsi è strano, vista la presenza accanto a Berlinguer di un medico:
“un medico comunista che aveva partecipato alla guerra di liberazione, iscritto alla Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, il prof. Giuliano Lenci, nonché primario all’ospedale Busonera di Padova; fu lui a soccorrerlo e a ordinare di portarlo subito in albergo, nella sua stanza già occupata al quarto piano dell’hotel Plaza”.
L’altro dettaglio che Turi evidenzia è quello del bicchiere d’acqua:
Enrico Berlinguer incominciò a sentirsi male esattamente alle 22.30 di quella sera, ”dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua, e allora si disse che era servito a reprimere dei conati di vomito, ma chi ha del vomito non ha mai voglia di bere”.
Nel libro si legge che subito dopo la sua morte si disse che Berlinguer aveva incominciato ad avvertire i sintomi della congestione per via della cattiva cena della sera precedente a Genova, ma nessuno – fa notare Turi – si è mai preoccupato di analizzare l’acqua bevuta dal leader comunista durante il comizio.
Il bicchiere d’acqua e la fretta del partito di acquistare dalla Rai il video con l’ultimo comizio di Berlinguer. Scrive Turi:
”Quella sera tutti si preoccuparono di intercettare la registrazione video con le immagini del comizio e del bicchiere d’acqua. Ci furono telefonate tempestose: Alle due della notte, quando Berlinguer era in sala operatoria, Folena era riuscito a contattare a Roma il Responsabile Comunicazione del Pci, Walter Veltroni, il quale riuscì a fare intervenire la Rai. E la Rai contrattò, con l’avvocato, l’operatore e acquistò la cassetta video. Il contratto fu steso dentro un furgone, nel piazzale dell’Ospedale. Una fretta inadeguata. Un mistero anche questo”.
Due indizi fanno una prova, per Turi. La sua ricostruzione non appare inverosimile, quando afferma che ”attraverso corretti e tempestivi passaggi metodologici, forse, Berlinguer avrebbe potuto avere salva la vita anche nel caso di un malessere provocato da cause diverse da quelle ufficiali”.
È più azzardata invece l’ipotesi di un complotto, avanzata da Turi. E di un legame fra la morte di Berlinguer e quella, avvenuta sei anni prima, di Aldo Moro: “Entrambi lavoravano per realizzare in Italia il primo Compromesso Storico della Storia repubblicana, e probabilmente i servizi segreti dei Paesi dell’Est, e non soltanto loro, non riuscivano ad accettare che questo potesse accadere”.
Una tesi che mostra molti punti deboli. La fretta di intercettare il video della Rai, per esempio, non ha nulla di sospetto: più verosimile che si volesse evitare di mostrare la morte di un leader in diretta. Questione di privacy più che di prove di un complotto da nascondere. Anche perché poi, dieci anni dopo, l’Unità allora diretta da Walter Veltroni andò in edicola con una videocassetta, “Ciao, Enrico”, in cui si ricordava l’anniversario della morte del leader mostrando il video integrale del suo ultimo comizio a Padova, malore compreso. Filmato facilmente reperibile su Youtube:
Molto fragile è la teoria di Turi a proposito di un complotto internazionale. In quel momento il compromesso storico era una prospettiva svanita da almeno sei anni, morta nel bagagliaio della Renault 4 parcheggiata in via Caetani la mattina del 1978. Il Pci era stato tagliato fuori dal Psi di Craxi, che si era posto come un più affidabile – anche da un punto di vista “atlantico” – interlocutore della Dc. Mentre i comunisti si erano dissanguati, dal punto di vista elettorale, nel sofferto appoggio ai governi di solidarietà nazionale. Gli anni 80 si erano svegliati in un’alba “craxiana”, e nel 1983 Craxi – primo premier socialista – era stato nominato presidente del più stabile governo della Prima repubblica. Mentre Berlinguer, per non perdere altri voti, aveva isolato il partito nel fortino della “questione morale”.
Dieci anni prima Berlinguer dava molto più fastidio agli equilibri internazionali consolidati dalla Guerra Fredda. E mentre Moro ha confidato a familiari e amici di esser rimasto turbato dopo un incontro con Kissinger nel 1974 in cui il segretario di Stato Usa lo avrebbe esplicitamente minacciato, un episodio poco noto della vita di Berlinguer autorizzerebbe, molto di più del bicchier d’acqua di Padova, a parlare di intrigo internazionale. Lo ricostruirono Giovanni Fasanella e Corrado Incerti nel libro “Sofia 1973: Berlinguer deve morire”:
Il 3 ottobre 1973, al termine di una visita ufficiale a Sofia, la limousine su cui viaggia Berlinguer, una GAZ-13 Čaika, è investita da un camion militare. Berlinguer si salva miracolosamente, l’interprete ufficiale muore e gli altri due passeggeri (esponenti della dissidenza nel Partito Comunista Bulgaro) rimangono gravemente feriti. All’epoca dei fatti né Berlinguer né alcun altro dirigente comunista disse pubblicamente di sospettare che l’incidente fosse in realtà un attentato. Nel 1991 Emanuele Macaluso, senatore del Partito Democratico della Sinistra ed ex dirigente comunista, rilascia un’intervista al settimanale Panorama dichiarando che il segretario del PCI, appena rientrato a Botteghe Oscure, gli avrebbe rivelato il sospetto che si fosse trattato in realtà di un “falso incidente”, orchestrato ad arte dal KGB e dai servizi segreti bulgari per porre fine allo scomodo alleato italiano. Dopo la convalescenza seguita alle ferite riportate, Berlinguer scrisse per Rinascita tre famosi articoli intitolati “Riflessioni sull’Italia”, “Dopo i fatti del Cile” e “Dopo il golpe del Cile”, in cui sviluppava alcuni temi che abbozzavano la proposta del “compromesso storico” come possibile soluzione preventiva dinanzi alla deriva istituzionale che lasciava paventare possibili soluzioni di stile sud-americano.