Audi spot, uno spot dell’Audi: provate a guardarlo, se possibile, senza sapere prima la “notizia” che lo riguarda. Cosa ci vedete? Un’auto di sicuro e una bambina e una banana.
Se avete visto solo questo e non avete visto intollerabile uso del corpo femminile infantile, allusione esplicita alla incontenibile libido, titillio dei bassi istinti dei consumatori maschi e induzione alla velocità pericolosa, come da bambina ad altezza cofano e quindi invisibile al guidatore, allora, se non avete visto tutto questo, siete insensibili, scorrettamente insensibili, forse vittime, forse complici della manipolazione e della subordinazione/sfruttamento di genere.
SPOT RITIRATO
Infatti la notizia è che lo spot è stato ritirato, cancellato, rimosso dalla stessa Audi. Non per sua iniziativa ovviamente. Ma perché quella immagine, l’immagine dello spot, ha fatto pensare. E cosa e a cosa hanno pensato in molti e molte (tanti da indurre pressione indignata e furente sull’Audi) guardando quell’immagine? Hanno pensato, dunque hanno visto quello che è nella loro testa, nei loro occhi, nella loro anima. Qualcuno direbbe anche nel loro inconscio, peraltro non tanto inconscio…
LA BAMBINA E LA BANANA
La bambina e la banana è per molti compresenza impossibile in una sola immagine. Per molti, troppi, bambina e banana insieme può significare una sola cosa. Ma lo scandalo non è nell’immagine, non nello spot è l’allusione marcia. Il link scandaloso è tutto nell’osservatore, nei molti, troppi, ormai in piena e conclamata patologia culturale (talvolta non solo culturale).
PATOLOGIA SESSUOFOBA
La patologia ha forme antiche e note, peraltro dominanti a lungo nei tempi e nei luoghi della storia umana. Il mondo greco classico e quello romano non erano se non marginalmente affetti da questa patologia, da questa paura e damnatio del mostro incontinente che dimorerebbe in ogni umano maschio e della impurità peccaminosa legata alla natura femminile.
Sono state le grandi religioni monoteistiche a giurare e garantire su una divinità attenta, preoccupata, intrigante, regolatrice ed eventualmente offesa dal sesso degli umani e fra umani. Cristiani, ebrei e islamici condividono questa idea di una divinità cui in fondo dà fastidio che gli umani si accoppino “se non per far piacere a dio…”. L’equazione piacere uguale peccato è delle religioni monoteistiche.
E divenne via via principio di ordinamento sociale, per secoli. Anche se con robustissime trasgressioni ed enormi private tolleranze, l’Europa cristiana (e poi le cristianizzate Americhe) il sesso fu pubblica indecenza e attentato alla salute sociale nel costume e nelle leggi, per secoli.
Poi, in due giganteschi scossoni, quel che si è chiamato Occidente si è secolarizzato, cioè sottratto alla totale egemonia culturale dell’ordinatore religioso. Il Settecento dei Lumi che indagavano, domandavano, chiedevano il perché delle cose. E finalmente la parola ultima non ai precetti o agli umori ma alle scienze, all’analisi critica e l’individuo non più pauroso orante di fronte al cosmo incomprensibile e punitivo ma esploratore del reale orgoglioso della sua ragione come guida.
E ancora, nella seconda metà del secolo scorso, quella che fu chiamata l’emancipazione sessuale soprattutto femminile. L’uso degli anti concezionali prima inesistenti separò nella pratica la sessualità dalla procreazione. Cambiarono ruoli e poteri delle donne, per decenni il sesso, almeno in Occidente, divenne nella percezione collettiva cosa buona, addirittura salutare.
ISLAM NON CI STA
Chiese cristiane più o meno riluttanti fecero buon viso a cattivo per loro gioco. Fecero resistenza, posero limiti ed argini (sempre travolti e quindi arretrati su linee più difendibili). Ma in definitiva l’Occidente cristiano accettò di non aver paura del sesso tra umani e di non consideralo come viatico e sinonimo di dannazione, sporcizia, perdizione. Non così l’Islam che anzi ritrovò se stesso nel ribadire che il sesso e la donna vanno coperti, oscurati, negati alla vista. Perché basta vedere per peccare e perdersi, anzi insozzarsi.
E L’OCCIDENTE RIMBALZA
In forme classiche e in modalità per così dire neo classiche, l’Occidente sta rimbalzando come elastico tirato verso una visione malefica e maleficiente del sesso. Non solo i sempre più numerosi gruppi sociali e politici che riabbracciano culture orgogliosamente reazionarie (reazionarie nel senso proprio del termine, cioè reazione avversa e contraria alla Rivoluzione francese). Anche, se non soprattutto, una Inquisizione proterva che si ammanta e si traveste da protezione niente meno che della dignità dell’umano.
Una fobia dell’essere proprio e altrui che fa pensare “pericoloso” ritrarre un umano ad altezza cofano, il messaggio che questa fobia del vivere legge è: può essere investito. Qui siamo al grottesco, grottesco però che diventa canone di comportamento. Infatti l’azienda ritira lo spot ipotizzando numerosi o comunque non bizzarri gli affetti da fobia che fanno indignati e minaccioso rumore mediatico.
Peggio ancora, una fobia del vivere che dal vero e infimo spessore del suo vivere trae al convinzione che una bambina una banana non possa mangiarla se non per…
PAGLIUZZA E TRAVE
C’è stato un signore, qualcuno lo scrive con la maiuscola, che predicò, prima di denunciare con ferocia la pagliuzza negli occhi altrui, di conoscere, aver nozione della trave nei propri occhi. Metafora che torna perfetta per la piccola ma esemplare storia dello spot dell’Audi.