Berlusconi attacca da Praga i giornali e fa tremare: prove di 1925?

Silvio Berlusconi, fino a oggi, aveva osservato, rispetto ai territori dove non poteva mettere le mani, un dignitoso silenzio. Qualche dubbio che, al di là delle parole, Berlusconi fosse un liberale, lo aveva provocato il suo proclama bulgaro” (non per offesa verso gli ex compagni paradigma di votazione acriticamente unanime, ma perché pronunciato durante una visita in Bulgaria), l’anatema lanciato contro Enzo Biagi e Michele Santoro che portò poi al loro licenziamento dalla Rai. Si poteva ancora pensare a uno scatto di nervi, mentre quello che ne seguiì si poteva attribuire all’eccesso di zelo di chi italianamente si precipitava in soccorso del vincitore.

Quel che Berlusconi fa nelle sue proprietà non conta, perché ciascuno a casa sua fa quello che vuole, e non c’è giornale o editore che tolleri una disomogeneità culturale e ideologica. La cosa è riconosciuta dal contratto giornalistico e dalla giurisprudenza (giornale come prodotto di tendenza).

Si può anche dire che a casa sua, in alcune aree, Berlusconi mostra una tolleranza verso il non allineato che inganna. Infatti è liberale con quei prodotti, programmi, testate che, se non li avesse lui li farebbe qualcun altro; e che comunque hanno successo, portano fatturati e come sottoprodotto anche un’aura di liberalità.

Le torve minacce pronunciate da Berlusconi a Praga si discostano dal profilo finora conosciuto del Cavaliere. Sono le minacce che un politico potente o un ricco imprenditore pronunciano contro i giornali che danno fastidio, una versione del “lei non sa chi sono io” con la pistola puntata.

Forse l’opinione diffusa di Berlusconi è che dietro il sorriso stereotipato, un po’ da Jack Nicholson nel ruolo del Joker, si nasconda una mente superiore e sopraffina, una macchina cerebrale che raramente sbaglia. Conseguenza di ciò la convinzione che quando Berlusconi dice o fa qualcosa non lo faccia per errore ma sempre per calcolo.

Ad esempio, quando si comporta in modo tale da coprire di ridicolo se stesso e tutti gli italiani, chi ammira Berlusconi non può pensare a “defaillance” dell’Uomo Superiore, ma a fatti che sono frutto di un calcolo preciso, naturalmente innestato sul quasi sempre oinfallibile istinto di un venditore supremo.

Berlusconi in Italia è un grigio politico, serio e spiccio, come ci si aspetta sia un brianzolo grande imprenditore di successo, diventato anche, all’età in cui tutti vanno in pensione, un uomo politico di successo.

Quando va all’estero si trasforma e fa il matto. Fa cucù da dietro un monumento alla cancelliera tedesca Angela Merkel, fa lo spiritoso con Sarkozy, si comporta da carrettiere a Buckingham palace. Tutti pensano che lo faccia per calcolo, perché godendo di una platea internazionale senza limiti e senza conseguenze, può esibirsi per la gioia dei suoi tanti elettori che opoi commentano, in piazza o al bar, le sue esibizioni con ammirazione e divertimento. In Italia non se lo può permettere: cosa succederebbe se facesse cucù a Bossi o lo spiritoso con D’Alema? A parte il fatto che in patria Berlusconi ai vari Fini e Veltroni cucù glielo fa sul serio, non da dietro i monumenti, ma sul terreno della gestione politica.

Le esibizioni di Berlusconi sul palcoscenico internazionale sono sotto gli occhi di tutti, non solo dei giornali italiani. Cronache e video sono lanciati e rilanciati sui siti e sulle pagine delle maggiori testate del mondo. Se uno guarda la Merkel e il suo sguardo materno prima tollerante poi spazientito, nel video da Strasburgo, capisce che la Merkel non lo disprezza, anzi manifesta verso di lui una certa tenerezza indulgente, materna, appunto.

Allora perché prendersela con i giornali, con “certi” giornali? Berlusconi, direbbe la regina, “is not a fool” e sa perfettamente le ragioni, la portata e le conseguenze di quel che fa.

Per questo che l’attacco ai giornali fatto in modo quasi casuale, come un amico che si sfoga con un amico, con un gruppetto di giornalisti, passeggiando per Praga, scegliendo, sarà un caso, un’altra capitale dell’ex Europa dell’est che nella recente storia è abbinata a nefandezze in metria di libertà, è un fatto preoccupante.

Non è che gli altri politici o industriali o finanzieri siano meglio di lui. Per stare nella politica, pensiamo al presidente americano Barack Obama, più volto criticato in America per il suo atteggiamento che tende a discriminare i giornalisti che non sono abbastanza in ginocchio davanti a lui (il predecessore Gorge Bush non è nemmeno da nominare, perché è oltre ogni limite di decenza). Per non parlare del presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha fatto licenziare il direttore di una rivista, Paris match, che aveva messo in copertina la foto della prima moglie,Cecilia, insieme con l’amante con cui era fuggita in America.

E se veniamo agli italiani e di sinistra,quindi la parte da cui ci si aspetterebbe una maggiore tutela verso la libera informazione, pensiamo a Massimo D’Alema quando esortò gli italiani a non leggere i giornali ma a guardare solo la tv, più affidabile per la divulgazione del suo pensiero; e pensiamo a Piero Fassino, che parlò di “emergenza informazione” quando i giorali pubblicaro minimi stralci di intercettazioni in cui l’ex segretario dei Ds diceva cose di cui pentirsi.

Berlusconi dovrebbe ringraziarli i giornali, perché, in tema di intercettazioni, si sono astenuti dal pubblicare quelle che, secondo le voci più accreditate, mettevano in luce i suoi criteri di scelta dei ministri; forse, in un paese in cui i giornali hanno fatto scempio della dignità dei malcapitati finiti del registratore dei pm, le uniche intercettazioni politicamente rilevanti e quindi da pubblicare erano proprio quelle. L’ingrato Berlusconi ora attacca. Fosse uno dei tanti, ci sarebbe da fare spallucce: è la dinamica della politica. Che venga da uno che è capo del governo, capo del partito di maggioranza relativo, leader indiscusso della cosiddetta destra, uno che ha dichiarato apertamente che il prossimo obiettivo è il 51 per cento, cioè il controllo assoluto dell’Italia, è questo che fa paura. Viene il timore, e che timore, che siamo ormai a un ritorno del 1925: che nella storia d’Italia pesa più dell’immaginario 1984.

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