
Giuseppe Turani ha pubblicato questo articolo anche su Uomini & Business.
Il ceto medio compare vistosamente, ad esempio a Milano, fra gli anni Settanta e Ottana. Poco a poco spariscono le tute blu, che erano state una cifra della città e arriva il nulla. Fine dei grandi cortei operai e delle grandi manifestazioni.
I nuovi abitanti della città sono un’altra cosa e fanno mestieri nuovi: pubblicità, moda, commerci, consulenze, finanza. Non sfilano, non protestano, sentono, un po’ confusamente, di essere il motore di un paese che si muove. E credono di avere già vinto tutta la posta.
In pochi anni la capitale lombarda da grande centro operaio si trasforma in una città, di uffici, di gente che corre trafelata da un posto all’altro, che manda e riceve fax, che sta al telefono per delle ore. In periferia sorgano interi quartieri di uffici.
Se subito dopo la guerra la gente viveva soprattutto nei campi, e poi nelle officine, già agli inizi degli Ottanta la troviamo soprattutto negli uffici. Sono anni di grande crescita economica. Il paese corre e si trasforma. Milano (e l’Italia) seguono in questo quello che è già avvenuto altrove, da New York a Londra.
Ancora oggi, a quaranta anni di distanza, dall’avvio di quella trasformazione, in città ce ne sono tracce evidenti: decine e decine di ex-stabilimenti abbandonati e lasciati a se stessi. La grande area Bicocca-Pirelli ospita un’università e un centro residenziale per migliaia e migliaia di persone.
La produzione delle cose, nel giro di qualche anno, si trasferirà altrove: all’estero o in provincia, lontano dalle grandi storie sindacali. Sotto la Madonnina ci sono quelli che le scambiano le cose, le vendono, le collocano, le pubblicizzano.
Il ceto medio conquista sempre più spazio e a un certo punto immagina di essere addirittura classe dirigente: è quando sulla scena compare Bettino Craxi che proprio a quell’Italia nuova si rivolge cercando di portarla dalla sua parte. Per qualche anno l’ascesa del ceto medio (e di Craxi) sembra inarrestabile. Tutti nuotano dentro fiumi di denaro. Non è ben chiara l’origine di tutto questo benessere. Ma c’è.
Sarà solo nel 1992 che si scoprirà che gran parte di quel movimento era costruito sul niente. O meglio. Sui colossali debiti dello Stato: quell’anno arriva la stangata di Giuliano Amato, presidente del Consiglio. Più di 90 mila miliardi di lire di manovra per mettere una pezza ai conti della finanza pubblica.
Ma si tratta solo dell’antipasto. Un anno dopo esplode Tangentopoli e si scopre così che parte dei soldi che giravano, e che avevano fatto grande il ceto medio, erano anche frutto di operazioni fraudolente ai danni dello Stato e dell’impresa privata.
E’ una botta che manda al tappeto le avanguardie del ceto medio. Poco dopo Craxi deve lasciare e tramontano quasi tutte le illusioni. Senza organizzazioni sindacali o politiche questo strato della società diventa il bersaglio favorito di tutti gli aggiustamenti successivi della finanza pubblica. Il ceto medio, si scopre, è un animale della foresta che non ha amici.
C’è l’illusione che Berlusconi possa prendere il posto di Craxi. Ma anche il Cavaliere deve lasciare il campo. E allora sul ceto medio si scatenano uragani a catena. Tasse sugli immobili, limatura delle pensioni, un fisco sempre più duro. E meno soldi facili, e quindi meno lavoro e meno redditi. E’ il tramonto di chi pensava di avere il Paese in mano.
Le vacanze all’estero cedono il posto alla settimana in casa dei parenti. E si cerca di risparmiare nella speranza di poter mandare i figli all’estero alla ricerca di un futuro che qui non c’è più.
