Giuseppe Conte ha parlato. L’ha fatto all’Assemblea Congiunta M5S di Camera e Senato. Vuole rifondare il Movimento, senza rinnegare il passato, guardando al futuro.
C’era attesa per questo intervento. Forse ci si aspettava qualcosa in più, magari qualche parola sul vincolo dei due mandati ad esempio.
Tuttavia alcune indicazioni sono arrivate. Dunque, la rifondazione. Conte è consapevole della delicatezza del passaggio politico. Non a caso, introduce il suo intervento, con un richiamo all’orgoglio grillino, cita le battaglie vinte, le riforme approvate, i cambiamenti positivi prodotti.
È come se volesse scaldare i cuori della platea virtuale che l’ascolta, rimotivare le ragioni di una militanza affannata.
Non c’è dubbio che dal 2018 in poi, nelle mura del grillismo, si sono aperte delle spaccature drammatiche.
Conte sa che parte del suo eventuale successo come leader del Movimento, passa anche dalla capacità di guarire queste ferite.
Quindi si mette lì e comincia a ricucire
Parla del passato come di un percorso del quale essere fieri, cogliere le esperienze migliori e da queste ripartire per costruire il Movimento del futuro.
Ovviamente lo scenario è quello di un nuovo modello di sviluppo, fatto di transizione ecologica e digitale.
Ma Conte va oltre. Propone l’elaborazione di una “Carta dei Principi e dei Valori”, cioè lo spazio condiviso di una comunità che deve guardare al futuro con “onestà e coraggio”.
Il Professore elenca alcuni di questi principi e valori. Rispetto della persona, ecologia integrale, giustizia sociale, principio democratico, rispetto della legalità, etica pubblica e cittadinanza attiva.
Non solo, immagina un Movimento capace di elaborare una nuova carta dei diritti dei lavoratori, di scriverne una per i disabili, per i diritti digitali, per i diritti degli imprenditori, dei consumatori, financo una nuova agenda europea.
Indubbiamente un programma ambizioso. Per realizzarlo l’ex Presidente del Consiglio, non lascia spazio a fraintendimenti.
Occorre una nuova organizzazione, dice Conte
E qui lascia intravvedere qualcosa. Sotto voce, ma afferma che ci sarà bisogno di un nuovo Statuto. Nuovi organi interni, dipartimenti tematici e di formazione permanenti, referenti regionali e locali.
Sembrerebbe indicare le forme tradizionali delle organizzazioni partitiche, ma non è così.
È lo stesso Conte a precisare di voler evitare “i limiti della forma partito”. Vuole un Movimento “accogliente ed intransigente”, radicato nei territori, capace di dar vita a forum permanenti di cittadini – le definisce “piazze delle idee” -.
In qualche misura supera il “vaffa” di Grillo
Conte sollecita l’utilizzo di nuove parole, giuste, adatte ad una fase diversa, fatta di “profondità di pensiero”.
Il Conte che disegna i tratti del nuovo progetto è il solito che abbiamo imparato a conoscere in questi anni: pacato, garbato, impeccabile, mai un capello fuori posto, scevro da comizi.
Le formule per una rifondazione non potevano che essere così, almeno in questa fase, poco definite. Dopo Pasqua inizieranno i primi incontri che inaugureranno la discussione interna.
La terza via di Conte
Una cosa è certa: il Movimento non sarà più tale ma non diventerà partito. Conte sembrerebbe attratto da una sorta di terza via. Vuole costruire qualcosa di diverso.
Corpo di movimento con un’anima partitica? Corpo di un partito con un’anima movimentista? Oppure?
Per dirla diversamente, rischia di dare vita ad un essere amorfo, quasi letterario, alla H.P. Lovecraft, che spaventa il popolo.
Però, se invece vincerà la sfida, e riuscirà a passare dalle parole ai fatti, allora potrà giocarsi il primato con la Lega.
Staremo a vedere, ma un dato è sicuro. Seppur ancora indefinito, e sotto certi aspetti prevedibile, il progetto di Conte un prigioniero l’ha già fatto, il PD.
Perché dopo aver ascoltato Conte la domanda da farsi è inevitabile: cosa resta da dire al PD?
Il rapporto fra M5s e Pd
Al Partito Democratico resta poco delle battaglie più importanti dei nostri tempi. Si trova a rincorrere anche questa volta, battuto sul tempo, rallentato da un correntismo interno che pesa sulle gambe di Letta.
L’unico spazio di manovra che lascia Conte, è quello della politica – hai detto niente!
Da questo punto di vista non ha parlato. Certo, ci sarà una “Carta dei Principi e dei Valori”, ma forse sarebbe stato opportuno almeno indicare una via, seppur generica.
Questa scelta la dice lunga sui problemi interni al Movimento.
Conte evita di affrontare le questioni politiche per due motivi.
Il primo è un punto di metodo, perché lascerà alla dialettica interna il compito di dirimerle, nel segno della partecipazione.
Il secondo invece è più pragmatico, ovvero i nodi sono ancora stretti e quindi meglio evitare slanci in avanti che potrebbero irrigidire le varie posizioni.
Chi si aspettava di più dal suo intervento rimane deluso, chi si aspettava di meno constata la generalità dei temi.
Forse l’obiettivo di Conte era più comunicativo che politico, dare qualcosa in pasto al dibattito, alzare la mano per dire “non preoccupatevi, ci sono, sto lavorando”.
Quindi è sospeso il giudizio, perché gli obiettivi che Conte si prefigge di raggiungere hanno bisogno, per essere valutati, di uscire dalla genericità di questa fase, ed entrare nel merito delle questioni.
Conte parla di “Piazze delle idee”, bene: cosa intende di preciso?
Come vuole costituirle? Che compiti avranno? Come funzioneranno? Che regole seguiranno? Quale sarà il rapporto di questi «spazi pubblici» con le Istituzioni? ecc…
Le Piazze che immagina, o sono progetti seri, nei quali investire risorse economiche ed umane, o sono strumenti di propaganda che servono solo a far perdere tempo ai cittadini.
Dunque la rifondazione
A Bertinotti non andò bene, ma quello era comunismo, un’altra cosa.
Trotsky l’aveva scritto: “come qualsiasi storia, la storia di una rivoluzione deve innanzitutto riferire quanto è accaduto e precisare come. Ma ciò non è affatto sufficiente. Dal racconto stesso deve risaltare chiaramente perché le cose siano andate in un certo modo e non altrimenti. Gli avvenimenti non possono essere considerati come un succedersi di avventure né inseriti uno dopo l’altro sul filo di una morale precostituita, ma debbono corrispondere allo loro legge intrinseca”.
Per fortuna che adesso abbiamo la talpa italiana, John le Carré ci avrebbe riso in faccia…