A metà inoltrata di dicembre solo il sei per cento di coloro che ne avrebbero bisogno e utilità si è vaccinato contro il Covid. O meglio: solo il sei per cento di coloro che hanno più di 65 anni e risiedono nel Lazio hanno fatto il richiamo vaccinale relativo al Covid. Più o meno la stessa popolazione ha invece fatto al settanta per cento, ha scelto e ha potuto fare il richiamo vaccinale per l’influenza 2023/2024. Settanta per cento degli adulti-anziani si è vaccinato contro l’influenza, sei per cento contro il Covid. Da questi dati emerge che nel pubblico sentire e privato agire l’influenza esiste e il Covid non più. Ma non è solo pubblico sentire e privato agire, è pubblico boicottaggio verso la vaccinazione.
Vaccinarsi a Roma e nel Lazio (nel resto d’Italia è appena un po’ meno peggio al Nord. al Sud è anche peggio che nel Lazio) è improba partita tra chi vuol vaccinarsi e le autorità sanitarie e politiche. I Centri vaccinali non sono più, sono stati smantellati. Ci si può prenotare su piattaforma ma si riceve appuntamento spesso in ospedali fuori o ai margini della città. Appuntamenti scomodi e non immediati. La Regione Lazio cui spetta e a cui sono in carico la sanità e il servizio pubblico sanitario e quindi le campagne vaccinali di fatto si disinteressa della vaccinazione anti Covid, non la facilita, non la promuove, non la organizza.
Di fatto la Regione Lazio si limita in materia al minimo sindacale. E questo accade anche perché il “cuore” politico e culturale della maggioranza in Regione non batte per i vaccini. A vaccinare, soprattutto per il Cvid, la Regione Lazio non ci tiene. Infatti il vaccino antinfluenzale si trova e i somministra con dovuta facilità, invece il vaccino anti covid il cittadino se lo deve ansare faticosamente a cercare. Vaccinarsi contro il Covid si è fatto in modo divenisse una fatica burocratica, di quelle insolenti verso il cittadino, come avere una carta di identità elettronica o un passaporto.
La gran parte dei medici di famiglia hanno comunicato e comunicano ai loro assistiti che nei rispettivi ambulatori la vaccinazione anti Covid anche no. No, non la fanno: troppo complicato, troppo fastidio organizzativo. Fuori si chiamano. Ed è i qualche modo scandaloso che lo facciano e possano farlo. Medici di famiglia, sarebbe per definizione loro competenza e mansione partecipare alla campagna vaccinale. I medici di famiglia o di base che dir si voglia sono la sanità per così dire di prossimità, sono, per essere prosaici, legati alla sanità pubblica da contratti retribuiti, non sono ambulatori privati. Stupisce, stona e stride che possano dire per vaccinare non contate su di noi.
E vaccinarsi in farmacia? Solo se la farmacia ha aderito alla campagna e a farlo non è stata la maggioranza delle farmacie. Tutt’altro. Prenotare una vaccinazione anti Covid in farmacia è l’esito di una lunga ricerca della farmacia disponibile che peraltro spesso è disponibile una volta a settimana e quindi la catena delle vaccinazioni è lenta e cigolante. Nella loro grande maggioranza medici di famiglia e farmacie della vaccinazione anti Covi se ne sono lavate le mani. La Regione non ci tiene e loro hanno applicato il più comodo dei “nn mi compete” e quindi fuori mi chiamo.
Regione, politica, farmacie, medici di base non pagano nessun dazio d’opinione per la loro inadempienza e non boicottaggio di fatto rispetto alla vaccinazione anti Covid. All’interno della più generale scelta di massa di negare se non l’esistenza stessa di certo lo specifico “danno Covid”, c’è una cultura anti scienza che oggi è anche metodo, pratica e cultura di governo. L’umore, il pensiero e le parole che durante la pandemia sono venuti da Fratelli d’Italia e Lega sono sempre stati freddi, se non gelidi e diffidenti, verso le vaccinazioni. E non solo per calcolo elettorale difesa del supremo valore dell’ognuno fa come gli pare.
Freddezza, gelo e diffidenza verso le vaccinazioni di massa perché non da ieri ma da qualche secolo la Destra politica e culturale della scienza diffida trovandola eversiva, ereticamente eversiva della tradizione e dell’ordine costituito. Che Salvini e la Meloni lo sappiano o no, i grandi filoni della cultura della Destra hanno fin dal suo sorgere contrastato il pensiero scientifico, spesso accusandolo di svilire a assoggettare l’irriducibile individualità. Un esempio per tutti: l’orgoglio esibito e incontenibile per aver, primo paese al mondo, vietato la commercializzazione della carne coltivata. Anche il premier l’ha chiamata “carene sintetica”. Mentendo perché sintetica non è. Ma mentendo in buona fede.
Perché la cultura di Destra (e ora anche quella della nuova sinistra) si nutre della contrapposizione tra il Salvifico e il Malefico. Il ministro dell’Agricoltura non sa e non vuol sapere che da millenni gli umani ibridano animali e piante e creano alimenti tecnicamente “non naturali” (altrimenti l’umanità sarebbe morta di fame). E quindi fiero mette al bando la carne del “diavolo”, diabolica perché battezzata in scientific laboratori, là dove, è noto e ovvio, si fanno solo cose con brand Frankenstein. Un ceto politico con questa cultura a vaccinare non ci tiene, non è cosa sua. E si compiace del diventare il vaccinarsi anti Covid una pratica fuori moda, da sfigati lagnosi o residuali e residuati radical chic, insomma una cosa vecchia e di sinistra.