Educazione e scuola: rigore, non premi, per fare il proprio dovere

Tutte le mattine, chi ha superato gli “anta” (come il sottoscritto) dialoga virtualmente con l’anagrafe. A volte si è ottimisti ed alla terza età non ci si pensa; altre, ti affligge il malumore perché una ruga ti sembra una voragine ed il fisico mostra la corda.

Però, lunedì 5 ottobre, scorrendo i quotidiani, mi sono sentito irrimediabilmente vecchio. Per quale improvvisa ragione? Per colpa di una notizia che qualche giornale ha strillato in prima pagina. In sintesi, era scritto quanto segue: “A Creteil, una cittadina della Francia a pochi chilometri da Parigi, in tre istituti scolastici si era deciso di dare un premio di diecimila euro ai ragazzi che non disertavano le lezioni”.

Il verbo usato era più sofisticato: bigiare. Allora, prima di trasecolare, ho voluto consultare il vocabolario del Devoto e non ho avuto più dubbi. Il significato era preciso: marinare la scuola. Perciò, in definitiva, i dirigenti delle suddette scuole offrivano un benefit in danaro a chi faceva poche assenze. Ecco il motivo per il quale mi sono sentito improvvisamente vecchio. Tra me e i ragazzi di quindici, sedici, diciotto anni non erano passate una o due generazioni; ma cinque, forse dieci.

Ora mi tuffo nel passato e invoco quel poco di memoria che mi è rimasta. Bene, non ho dubbi a proposito. Frequentavo il Convitto Nazionale di Roma, dove la disciplina era ferrea. Se facevi il furbo e mancavi un giorno, quando magari ci si doveva confrontare con il compito di latino o di greco, erano guai. I genitori ricevevano una nota dal rettore, il quale si lamentava per la poca serietà del giovane e li si invitava a scuola, perché le “magagne” non avessero ulteriore seguito.

Non parliamo poi del “marinare la scuola” in senso stretto e cioè senza l’avallo di papà e mamma. Erano veri e propri grattacapi. Motivo per cui chi ci aveva provato una volta non lo ripeteva una seconda, se non voleva essere espulso in maniera definitiva.

Quando racconto queste cose ai miei nipoti cadono dalle nuvole, non si raccapezzano perché oggigiorno la colpa non è mai dell’alunno, ma sempre dell’insegnante che non capisce, non ha tatto, non si fa stimare, non ha quel “feeling” necessario per sedere dietro una cattedra.

Al contrario, anni luce fa (mi riferisco alla mia infanzia e alla mia adolescenza), il professore aveva sempre ragione e scattavano punizioni tremende. Niente più partite a pallone, uscite rarissime e poca confidenza con i familiari fin quando si dimostrava di aver imparato la lezione morale. Ecco perché quando ho letto della decisione dei dirigenti scolastici di Creteil sono rimasto sbalordito.

Premiare chi va a scuola? Dar del danaro ad un gruppo di ragazzi solo perché fanno il loro dovere? E dove sta la ragione di un simile provvedimento? Perché si dovrebbero rimunerare alunni che, in fondo e senza in fondo, vanno tutte le mattine a scuola per apprendere, costruirsi un bagaglio culturale che servirà loro per il resto della vita? Di questo passo, dove si arriverà fra due o tre generazioni?

Per carità: mi pare un provvedimento folle, tanto è vero che in Francia lo hanno stigmatizzato sia a destra che a sinistra. Per una volta, fortunatamente, maggioranza ed opposizione si sono trovate d’accordo. C’è di più: mi auguro (e lo auguro ai ragazzi che ancora vanno a scuola) di fare un passo indietro. Di tornare, insomma, all’educazione di una volta.

Meno rigida, se volete, ma comunque educazione. Qualche volta, camminare come i gamberi non significa retrocedere, ma andare avanti. Parola di un vecchio signore con i capelli bianchi.

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