Il decreto sul federalismo municipale è stato approvato dalla Camera con una maggioranza di soli 314 voti, in seguito alla posizione della questione di fiducia da parte del Governo, nonostante le assemblee rappresentative avessero definito, solo qualche mese prima e con largo consenso, i principi e criteri direttivi della delega legislativa.
L’ampia discussione sullo schema di decreto nella Commissione bicamerale per il federalismo fiscale aveva mostrato numerosi problemi di sostanza, accentuati dalle significative obiezioni dell’ANCI. Tutto ciò, in una materia dagli accentuati profili tecnici, avrebbe richiesto una pausa di riflessione, ulteriori approfondimenti. Ma l’agenda del Governo, fissata dalla Lega, e l’inasprimento della situazione politica generale, hanno determinato un percorso diverso.
Si è giunti alla votazione nella Commissione bicamerale che, spaccandosi a metà, non è riuscita ad esprimere il parere sul testo al suo esame, sensibilmente diverso rispetto a quello originario. E’ seguita una approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, convocato in modo irrituale lo stesso giorno in cui il Parlamento si era espresso in modo opposto. Il testo, trasmesso al Presidente della Repubblica, è stato ritenuto irricevibile e respinto al mittente, per l’omesso passaggio parlamentare reso necessario dalla bocciatura della Commissione bicamerale. Il prescritto esame parlamentare si è alfine svolto, con l’impiego, alla Camera, della fiducia, l’arma più potente a disposizione del Governo per blindare la propria maggioranza. E’ evidente che, nella vita istituzionale italiana, qualcosa non funziona.
Nel merito il decreto suscita molte perplessità. E’ “modesto” nei contenuti (si limita a sistematizzare alcuni tributi esistenti) ed è “monco” (non affronta il nodo della perequazione), come hanno scritto Cecilia Guerra e Zanardi (sulla voce.info).
Viene meno il principio fondamentale del federalismo fiscale, che dovrebbe determinare la responsabilizzazione degli amministratori nei confronti dei cittadini, attraverso la correlazione tra imposizione fiscale e utilizzo del gettito. Con la compartecipazione ai tributi erariali e al fondo perequativo, che costituiscono la parte preponderante delle entrate locali, questo legame resta indeterminato e il cittadino non potrà addebitare con chiarezza al proprio amministratore il cattivo funzionamento dei servizi.
Inoltre l’IMU, la principale tassa comunale dal 2014, non colpirà i residenti ma, oltre ai proprietari di seconde abitazioni (già soggetti all’ICI), le imprese e i lavoratori autonomi (i nuovi soggetti inseriti nella base imponibile), che possono avere in molti casi uno scarso legame con il territorio in cui viene applicata l’imposta.
Il livello istituzionale resta completamente inalterato, mentre è proprio da qui che sarebbe dovuta partire la trasformazione, accorpando i Comuni, individuando ambiti ottimali per gestire le varie funzioni, riducendo i livelli di governo. Viene elusa la realtà delle recenti manovre finanziarie che ha penalizzato fortemente il sistema delle autonomie territoriali.
L’addizionale Irpef, le tasse di soggiorno e di scopo, previste dal decreto, serviranno per coprire il fabbisogno ordinario, per limitare la compressione dei servizi essenziali, che costringe i Comuni a espandere in ogni direzione l’imposizione extratributaria. Il risultato sarà, al di là delle clausole di stile contenute nel testo approvato, l’aumento della pressione fiscale.
Si aumentano i poteri di spesa degli enti territoriali, consentendo ai Comuni di imporre nuovi tributi. Solo quelli più ricchi potranno ridurre le aliquote. Per gli altri si avrà aumento del carico fiscale e contrazione dei servizi essenziali. La possibilità di reperire le risorse necessarie per la chiusura dei bilanci spiega il consenso dato dall’ANCI al testo emendato del decreto. Una adesione congiunturale, non strategica, completamente slegata dalla strutturazione del federalismo municipale. Il meccanismo della cedolare secca desta perplessità per il modo in cui è stato congegnato.
Non appare molto utile alla emersione degli affitti non dichiarati, ma solo a chi già dichiara, che pagherà meno, con un vantaggio netto dei proprietari rispetto agli inquilini. Si aumentano le tasse su famiglie ed imprese e si riducono quelle sulle rendite, senza scalfire la distorsione tra elettori ed eletti e senza miglioramenti dell’efficienza del sistema istituzionale.
Il decreto prevede un periodo transitorio, dal 2011 al 2013, cui seguirà, a decorrere dal 2014, la fase a regime, con l’introduzione, in sostituzione dei tributi vigenti della nuova imposta municipale IMU.
In particolare, per quanto concerne la fiscalità immobiliare, dal 2011 vengono attribuiti ai Comuni: l’intero gettito dell’Irpef sui redditi fondiari (escluso il reddito agrario) e quello relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare; una quota, pari al 30%, del gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sugli atti di trasferimento immobiliare ed una quota, pari al 21,7% nel 2011 ed al 21,6% dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti. Questi gettiti affluiscono ad un Fondo sperimentale di riequilibrio, di durata triennale, finalizzato a realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione dei gettiti medesimi ai Comuni.
Il Fondo verrà ripartito sulla base di un accordo in sede di Conferenza Stato-città, sulla base di due criteri: una quota del 30% in base al numero dei residenti e, per la parte rimanente, una ulteriore percentuale del 20% ai piccoli comuni. Viene inoltre istituito un Fondo perequativo per il finanziamento delle spese dei Comuni e delle Province successivo alla determinazione dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali, articolato in due componenti relative alle funzioni fondamentali e non fondamentali.
Ai Comuni viene inoltre attribuita una compartecipazione al gettito IVA, da determinare con apposito DPCM, pari alla compartecipazione del 2% al gettito dell’IRPEF. I criteri di attribuzione del gettito ai singoli comuni dovranno assumere a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al versamento dell’imposta (in prima applicazione, l’assegnazione ai Comuni avverrà sulla base del gettito IVA per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun ente locale). Questa misura dovrebbe svolgere una funzione perequativa per la diversa concentrazione delle due basi imponibili.
Il decreto si propone di potenziare l’attività di contrasto all’evasione con l’inasprimento delle sanzioni amministrative per l’inadempimento degli obblighi di dichiarazione concernenti gli immobili, comprese quelle in materia di canone di locazione nell’ambito della nuova disciplina sulla cedolare secca, nonché con l’ampliamento dell’interscambio informativo sui dati catastali. Come incentivo viene disposta l’assegnazione ai comuni di una quota pari al 50% del gettito derivante dalla propria attività di accertamento, con riferimento anche alle quote assegnate anche in via provvisoria, relative alle somme riscosse a titolo non definitivo.
Una novità di cui si è molto discusso è la cedolare secca sugli affitti, che consente ai proprietari di immobili concessi in locazione di optare dal 2011, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi dalla locazione, per un regime sostitutivo, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti, le cui aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato.
Sono previste severe sanzioni per i casi di omessa o irregolare registrazione (si prevede automaticamente una durata del contratto pari a quattro anni e l’applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale). Nel caso di canone concordato non possono essere richiesti, se si opta per la cedolare secca, aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto. Le aliquote di tassazione delle transazioni immobiliari scendono al 2% nel caso di prima casa di abitazione e al 9% nelle restanti ipotesi (attualmente sono rispettivamente al 3 ed al 10%).
Viene conferita ai Comuni capoluogo di provincia e alle città turistiche e d’arte la possibilità di istituire un’imposta di soggiorno fino a 5 euro per notte a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, con destinazione del relativo gettito ad alcune specifiche finalità, tra cui quelle a favore del turismo. Si prevede inoltre una nuova disciplina, dell’imposta di scopo, prevedendo la possibilità di aumentarne la durata fino a dieci anni e eliminare la destinazione del gettito. E’ evidente in questi casi la carenza del legame con il territorio e l’allargamento generalizzato della potestà fiscale locale per fronteggiare la contrazione delle entrate ordinarie attivate con le recenti manovre finanziarie.
Le nuove aliquote dell’imposta di registro, che entreranno in vigore dal 2014, sostituiranno l’imposta di bollo e le imposte ipocatastali, nonché i tributi speciali e le tasse ipotecarie. Si introduce la possibilità di aumentare l’addizionale IRPEF da parte dei comuni nei quali non risulti finora stabilita oltre la percentuale dello 0,4 per cento, che resta il limite massimo.
Anche l’IMU entra in gioco nella fase a regime (dal 2014), in sostituzione, per la componente immobiliare, dell’Irpef (e relative addizionali) dovuta per i redditi fondiari relativi ai beni non locati, nonché dell’ICI, ed ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale, da cui è esclusa. Nell’abolizione dell’ICI sulla prima casa va ricercato il vulnus principale del fisco municipale in quanto i proprietari delle altre abitazioni in molti casi non risiedono nel comune che colpisce l’immobile.
Ancor più efficace sarebbe, per rendere i sindaci responsabili di fronte ai loro cittadini, una imposta basata sul possesso, sul modello della “pool tax” inglese. L’aliquota dell’IMU sarà pari allo 0,76% e viene ridotta alla metà per gli immobili locati. I comuni possono estendere in tutto o in parte tale riduzione anche agli immobili posseduti da contribuenti IRES, nonché modificare la aliquota di 0,3 punti percentuali, in aumento o in riduzione (0,2 punti nel caso degli immobili locati). Sono esenti dall’IMU gli immobili posseduti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alcune categorie di immobili già esentati ai sensi della normativa dell’ICI (fabbricati destinati ad usi culturali, all’esercizio del culto, utilizzati dalle società non profit ecc..).
Il decreto prevede infine, a regime, l’imposta municipale secondaria, da introdursi con deliberazione del consiglio comunale (che potrà anche prevederne esenzioni ed agevolazioni) in sostituzione degli attuali tributi sull’ occupazione di aree pubbliche, sulle affissioni e sull’installazione dei mezzi pubblicitari. La nuova imposta sarà disciplinata con un regolamento, sulla base di alcuni criteri tra cui la previsione che il soggetto del tributo sia chi effettua l’occupazione di spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni.
Dal punto di vista quantitativo la massa finanziaria correlata alla attuazione del decreto ammonta a 11,2 miliardi di trasferimenti che dovranno essere sostituiti dal gettito dei tributi devoluti. Dalle prime simulazioni effettuate dalla CGIA di Mestre emerge una sperequazione a favore dei comuni settentrionali rispetto a quelli meridionali. In euro pro-capite si registrano: Milano (211), Monza (201), Parma (144), Imperia (141) e Siena (132) a fronte di Foggia (-192), l’Aquila (-208), Taranto (-215), Cosenza (-269) e Napoli (-327). Una previsione che non promette bene, anche se attraverso il fondo di riequilibrio tali differenze dovrebbero essere compensate.