
Ci si chiede: la Fiat di oggi è diversa da quella di ieri? E perché?
Come spesso succede, siamo portati a confrontare le vicende di oggi sullo sfondo di quelle di ieri ed è naturale che questo succeda anche con la Fiat.
La Fiat non è tanto diversa da quella di ieri: le regole del fare automobili e del venderle sono di fondo quelle, le regole delle relazioni industriali anche.
Solo che sono cambiate le condizioni esterne, quelle di mercato si sono fatte più gravi rispetto agli anni ’70, mentre il contesto politico e sociale ha portato a una maggiore consapevolezza e, sotto certi aspetti, anche a una maggiore indìfferenza.
Può sembrare un paradosso, per chi ricorda cosa fossero gli anni di piombo e i postumi del dopo 68, però allora il quadro generale era meno fosco. Oggi è quello, è il contesto internazionale a essere molto, ma molto peggiorato. Oggi è difficile anche capire come essere competitivi.
Oggi Fiat non può più aspettare. C’è una tale aleatorietà nel mercato che i margini dei manager come Marchionne sono strettissimi.Non si può più, come si faceva una volta, innescare un processo da cui si poteva prevedere che negli ultimi anni, se le condizioni maturavano, si arrivasse a più efficacia e produttività. Adesso per tutto questo non c’è tempo.
Marchionne propone investimenti in una situazione internazionale difficilissima, in cui pochi continuano a iniettare risorse nell’auto. È un settore ipercompetitivo e completamente diverso da quello degli anni 70.
Allora c’erano i margini per accettare rischi di scelte anche sbagliate, come la scala mobile e gli investimenti fatti in quegli anni in stabilimenti che poi hanno nettamente deluso le aspettative. All’epoca questo rischio si correva: a volte, raramente, andava bene, molte altre volte meno. Oggi è una strada talmente pericolosa che nessuno la percorrerebbe. E oggi del resto nessuno chiede alla Fiat di percorrerla, sarebbe fuori da ogni logica economica.
Quella di Marchionne è una strategia obbligata. Credo che insistere a dibattere sulle ragioni e le prospettive di questa strategia, come se ce ne potessero essere altre, sia solo un esercizio vano.
Le cose sono cambiate, rispetto agli anni ’70 e il sindacato lo deve capire. C’è anche maggiore razionalità nei comportamenti complessivi. Inutile rievocare momenti come la marcia dei 40 mila, perché non ci sono i presupposti. La marcia fu il risultato di un momento straordinario, dopo 35 giorni di blocco delle fabbriche che equivalse a un’occupazione e paralizzò una città intera, creando una reazione proporzionata all’entità e alla gravità della situazione. In corteo c’erano quadri Fiat, ma per arrivare a 40 mila si aggiunsero tantissimi cittadini. Oggi non è neanche pensabile mobilitare i lavoratorien masse a difesa di Marchionne, come qualcuno ha tentato di fare, mancano totalmente i presupposti.
Ma oggi anche il sindacato delle tute blu è condannato al flop, come dimostra il corteo di metà dicembre a Mirafiori, dal cui fallimento appaiono evidenti i limitati margini in cui si muove la Fiom, a fronte di una realtà che non lascia alternative, al sindacato quanto a Marchionne.
In una situazione di crisi e di incertezza come questa è anche molto più difficile scioperare.La Fiom purtroppo imbocca troppo spesso la scorciatoia dell’antagonismo tout court, perché è molto più facile cavalcare questioni di principio che misurarsi con la realtà, ma stavolta è un gioco molto rischioso, innanzitutto per la stessa Fiom.