Marchionne decennio e i piani Fiat per fare soldi e auto

Qual è la chiave del successo dell’amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne? Lo dice lui stesso con un suo aforisma: “Abbiamo investito nel mestiere con una disciplina quasi calvinista“.

E infatti, nonostante la crisi del settore automobilistico, il gruppo Fiat ha chiuso il bilancio 2012 con un utile netto di 1,4 miliardi di euro, superiore alle attese degli analisti. Ma come è arrivato a questo risultato il manager italo-canadese Marchionne? Vediamo.

Il 16 maggio del 2003, Sergio Marchionne entra a far parte del consiglio di amministrazione di Fiat Spa, chiamato a questo primo incarico da Umberto Agnelli. Sono passati quasi dieci anni da allora: il 2013 è il decennale del fondamentale intervento di Marchionne nell’arcipelago Fiat. È tempo di tracciarne la storia, punto per punto, e di fare un sia pur rapido bilancio, basato sui fatti.

Figlio di un maresciallo dei Carabinieri di origine abruzzese, è nato a Chieti il 17 giugno del 1952. È un dirigente d’azienda italiano naturalizzato canadese. Possiede la cittadinanza del Canada dove si è trasferito all’età di quattordici anni. Lì studia, lì va all’Università: una laurea in legge, un Master in Business Administration, poi studia filosofia. E lavora presso varie società tra cui la Deloitte Touche: il ricco curriculum è troppo lungo per poter essere riportato. Fatto sta, che diventa uno dei più stimati manager svizzeri allorché diventa, nel 2002, amministratore delegato del gruppo Sgs di Ginevra, leader mondiale nei servizi di ispezione, verifica e certificazione, un gruppo forte di 55 mila dipendenti in tutto il mondo.

Poco dopo, il salto in Fiat, appunto nel 2003, come consigliere di amministrazione del Lingotto. E da quella tranquilla postazione può studiare tutto il pianeta Fiat: “Un sistema che era ripiegato su se stesso”, dice oggi Marchionne e aggiunge: “Eravamo isolati dal resto del mondo”. Poi, la sua carriera è rapidissima: il 1° giugno 2004 viene nominato amministratore delegato del gruppo Fiat. Nel 2005 assume anche la guida della Fiat Auto, oggi Fiat Group Automobiles. Da aprile 2006 è presidente di Cnh, azienda che opera nel settore delle macchine agricole e per le costruzioni. A giugno 2009 assume la carica di amministratore delegato del gruppo Chrysler. A maggio del 2010 entra a far parte del consiglio di amministrazione di Exor Spa. Ricopre inoltre la carica di presidente di Fiat Industrial Spa a partire dal gennaio del 2011, in seguito alla scissione in due del gruppo Fiat. E, con la Chrysler, acquisita inizialmente per un 20 per cento delle azioni da parte del gruppo Fiat, comincia la parte più rilevante della sua carriera.

Al di là dei freddi acronimi che la Fiat utilizza nei suoi documenti ufficiali (ad esempio Emea: Europe, Middle East, Africa) possiamo man mano individuare le aree note nelle quali si è stratificata, nel decennio di Marchionne, la multinazionale torinese.

Al primo posto c’è naturalmente l’Europa con l’Italia. “Cars 2020” è il progetto della Commissione europea per dar vita, in un momento di sempre più scarse vendite, a un’azione forte, competitiva e sostenibile del settore automobilistico europeo. “Con 12 milioni di posti di lavoro legati al settore”, esordisce lo studio, “l’industria automobilistica è vitale per la prosperità dell’Europa e la creazione di posti di lavoro…Per sostenerla la Commissione europea ha presentato oggi il piano d’azione “Cars 2020” volto a rafforzare la competitività di questa industria e la direzione sostenibile verso il 2020. La Commissione propone una spinta massiccia, innovativa, semplificando la ricerca e l’innovazione nel quadro dell’iniziativa europea “Veicolo verde”. La cooperazione con la Banca europea per gli investimenti, la Bei, sarà rafforzata per finanziare una spinta di innovazione e facilitare l’accesso delle Pmi, le Piccole e medie industrie, al credito. Un’interfaccia standard Ue fornirà la certezza normativa necessaria per facilitare una svolta per la produzione su larga scala di auto elettriche”

“La globalizzazione e le nuove tecnologie offrono opportunità in un settore sempre più competitivo. Ci sarà probabilmente un forte aumento del numero di auto vendute nei paesi emergenti nel prossimo decennio, offrendo opportunità per l’industria automobilistica europea per migliorare la sostenibilità e affrontare la crescente concorrenza globale. Il piano d’azione comprende proposte concrete di iniziative politiche al fine di:

1. Promuovere gli investimenti in tecnologie avanzate e di innovazione per i veicoli ecologici…
2. Migliorare le condizioni di mercato…
3. Sostenere l’industria per l’accesso al mercato globale…
4. Promuovere gli investimenti in competenze e formazione per accompagnare i cambiamenti strutturali e anticipare le esigenze di occupazione e competenze, ad esempio incoraggiando l’utilizzo del Fondo sociale europeo (Fse) per questo scopo”.

Il piano, qui riportato in estrema sintesi, è stato definito “una buona notizia”, da Marchionne, “perché dimostra realismo e una visione complessiva dei problemi. Se adesso l’industria automobilistica rappresenta il 16 per cento del prodotto interno lordo europeo, nel 2020 dovrà essere il 20 per cento”.

Un piano indispensabile perché, dice Marchionne nel dicembre del 2012: “L’Europa sta attraversando uno dei periodi più neri dal dopoguerra. Il crollo registrato dal mercato dell’auto è persino più pesante di quello dell’economia reale e ha raggiunto i minimi storici. Quest’anno (il 2012, Ndr ) la domanda di auto in Europa arriverà a circa 3 milioni di auto in meno rispetto al 2007”.

E l’Italia? Lasciamo ancora la parola al protagonista di questa storia decennale: “L’Italia è il paese che ha sofferto di più il calo verticale del mercato”, afferma Marchionne, “perché è passato dai 2,5 milioni di auto nel 2007 agli 1,4 del 2012. Siamo tornati a livelli che non si vedevano dagli anni Settanta”. Inutile compatirsi: questo ci porterebbe all’auto-distruzione. Per il capo del gruppo Fiat la via è una sola, dato il punto di forza da cui opera con la controllata Chrysler : “Abbiamo programmato di portare in produzione negli impianti italiani 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti di prodotto. Quando? Da oggi al 2016”. Modelli che verranno, ovviamente, venduti in tutto il mondo.

È la risposta, con i fatti, di Marchionne ai politici che lo hanno aggredito quando ha deciso di chiedere la Cassa integrazione per due anni per lo stabilimento di Melfi, operazione necessaria per ristrutturarlo e metterlo in grado di produrre nuovi modelli. Già nel 2013 inizierà la costruzione di tre nuovi modelli in Italia. La Maserati Quattroporte e la Maserati Ghibli, nello stabilimento di Grugliasco; e l’Alfa Romeo 4C, nell’impianto di Modena”. A Melfi, inoltre, a partire dal 2014, verranno prodotti due nuovi modelli: un utility vehicle della Jeep e la nuova 500X. Questo è solo l’inizio di un’azione che coinvolgerà anche Cassino e Mirafiori. “L’esecuzione del piano”, spiega il manager italo-canadese , “ci permetterà nel giro di tre-quattro anni: di assicurare il pieno impiego; di risolvere il nostro problema della sovracapacità produttiva in un mercato generalista; di raggiungere finalmente il pareggio di bilancio anche in Europa, continente che finora ha vissuto sulle spalle del benessere creato altrove”.

L’avventura americana è forse la più esaltante tra quelle vissute finora da Marchionne. Nel 2009, quando ha inizio, la Fiat acquisì il 20 per cento del capitale della malmessa Chrysler. “Chrysler è un’azienda che è andata e tornata dall’inferno”, dice tranquillo Marchionne. Perché tranquillo? Perché in soli due anni la ha risanata e rilanciata al punto che ora è in grado di produrre ricchezza. Ora l’obiettivo è salire nel capitale, fare la fusione tra Fiat e Chrysler e realizzare (ma in parte è già in atto) una piena integrazione industriale.

Il capitale dell’industria statunitense in mano a Fiat è del 51,5 per cento, la maggioranza assoluta, mentre il restante 41,5 è in mano alla Veba, la società finanziaria dell’Uaw, il sindacato dei dipendenti della Chrysler. Che tira sul prezzo al punto da aver aperto una vertenza presso un tribunale del Delaware che dovrebbe concludersi a marzo. Poca cosa. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama guarda con simpatia all’attività di Marchionne; l’ambiente industriale e finanziario pure. Ma quando si sarà questa fusione, che farà del gruppo il settimo del mondo nel settore auto? “La si potrebbe fare in nove mesi”, annuncia il top manager, “ma più probabilmente si farà nel 2014”.

C’è poi un terzo pilastro della Fiat, il Mercosur, il mercato comune del Sud America, del quale sono Stati membri l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay e il Venezuela; e Stati associati la Bolivia, il Cile, il Perù, la Colombia e l’Equador. Ma è il Brasile, che sviluppa il 77 per cento del prodotto interno lordo della regione, il cuore della Fiat in Sud America. In Brasile (un mercato da ben 4milioni di veicoli, circa il triplo dell’Italia) non solo la Fiat è leader di mercato (98 mila veicoli venduti nello scorso agosto, record provvisorio) ma nell’impianto di Betim, nella regione di Belo Horizonte, nel 2011 ha prodotto 745 mila veicoli (quasi il 60 per cento in più che in Italia) con 15 mila dipendenti (il 60 per cento in meno che in Italia): questa è produttività, questa è competitività.

Forte sui suoi tre pilastri (l’Europa che si rilancerà in tre o quattro anni, il Nord e il Sud America) la Fiat può cominciare a guardare con sempre maggiore attenzione a Oriente. Prima l’ampliamento dell’accordo tra Fiat e Chrysler, da una parte, e il cinese Gac Group, con sede nello Guangzhou, dall’altra. Finora la joint-venture produce la Fiat Viaggio e distribuisce in Cina modelli importati, come la Fiat 500, la Bravo e il Freemont. La prossima tappa della joint-venture ha come obiettivo quello di produrre Jeep in Cina.

Nel frattempo, un business storicamente importante: un accordo con la giapponese Mazda (che ha come primo azionista la statunitense Ford). Obiettivo: produrre il nuovo spider Alfa Romeo, un ritorno allo spider a due posti dopo la mitica Duetto.

La Fiat di dieci anni fa, che nell’ultimo decennio non ha mai chiesto aiuti (come fa notare il presidente John Elkann) è così radicalmente cambiata. Era ripiegata su se stessa ed era chiusa verso l’estero. Ora è una multinazionale. Dei 197 mila dipendenti (55mila sono Chrysler) il 70 per cento è fuori d’Italia. Oramai, con la fusione con la Chrysler, Fiat-Chrysler sarà la settima industria automobilistica del mondo. Un global player guidato da un global manager. Per fortuna calvinista.

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