ALASSIO (SAVONA) – Benvenuti al Nord? Benvenuti al Sud? Quisquiglie e pinzillacchere, risponderebbe il principe Antonio De Curtis per gli amici Totò, se gli ponessero queste domande sulla falsariga del famoso film che ha furoreggiato in Francia e furoreggia in Italia nella versione pro-sudista e dopo che il suo illustre nome è stato coinvolto nella polemica del busto marmoreo con capello napoleonico che il neo sindaco di Alassio Roberto Avogadro ha sfrattato dai giardini pubblici di Alassio, perla della Riviera ligure di Ponente.
Quisquiglie per il principe che, come ha scritto un superpartenopeo di classe quale Raffaele La Capria sul “Corriere della Sera” al furoreggiare della polemica postfratto, arretrerebbe strusciando i piedi e facendosi una ghignata, ma non quisquiglie per i supporters di Totò e per tutti i sudisti e non affezionati alla sua memoria che stanno incendiando la polemica.
Sarà pure Ferragosto, sarà pure che i tempi sono tanto grami che simili non ce ne ricordiamo tra crolli di Borsa, decreti governativi su nuove stangate, crisi economica planetaria, ma questa storia del Totò di bronzo, oramai conteso da mezza Italia, difeso da intellettuali, storici, grandi chansonnier come Renzo Arbore, il primo a schierarsi per salvare la statua e la sua dignità, è veramente paradossale.
Tutto nasce non a caso a Alassio, la città del Muretto della miss e delle targhe incise come a Hollywood con le firme in calce e in maiolica dei personaggi più famosi, proprio nei giorni in cui muore, il pittore, l’inventore del Muretto Giacomo Berrino, un muro dove negli anni Sessanta del boom rivierasco andavano a sedersi le più belle della jeuness doree di mezza Europa, magari candidate a diventare appunto miss e dove poi molti arcinoti sono approdati, in testa a tutti Ernst Hemingway con il suo pappagallo giallo.
Tutto nasce in questa città balneare, quella che ha più letti turistici della Liguria turistica e che il boom turistico ha in parte sconciato urbanisticamente e in parte lanciato dopo che gli inglesi l’avevano scoperta tra le due guerre insediandovi le prime colonie di villeggiatura ultrasnob.
Tutto nasce ad Alassio che politicamente è un po’ terremotata. Dove fino a due mesi fa regnava uno dei proconsoli dell’ex ministro Claudio Scajola, il sindaco architetto Marco Melgrati, un burbanzone alto un metro e novanta spesso con il look del boss, spadroneggiante sul territorio con la sua voce tonante, il sigaro in bocca, autocandidatosi all’Isola dei Famosi, ma sopratutto mano pesante sul delicato territorio da architetto-sindaco tra la unica spiaggia di sabbia bianca e fine, una vegetazione e una collina già da Cote Azzurra e gli sconci del cemento anni Sessanta-Settanta che il new look della giunta Melgrati ha assaltato a monte e a valle, suscitando anche reazioni dure come quelle di Italia Nostra, erede delle battaglie mitiche di un padre nobile quale Mario Fazio, alassino doc, ex grande giornalista de La Stampa, primo giornalista ecologista e inventore dell’informazione ambientale, scomparso qualche anno fa e come quella sottile e furibonda di Antonio Ricci, il papà di Striscia la notizia, Drive in e di mezza tv dell’era moderna, un cittadino alassino doc.
Ma nelle ultime elezioni il regno di Melgrati è finito. L’hanno promosso in Regione, dove fa il consigliere con grande baldanza e Alassio ha perso non solo lui, ma anche il candidato della sua parte e, un po’ inopinatamente il nuovo sindaco è stato espresso da un centro sinistra che ha scelto per quel ruolo un “rieccolo”, Roberto Avogadro, già primo cittadino di Alassio per dieci anni a cavallo degli Anni Novanta, ma nelle fila della Lega che poi, per un mandato lo portò anche in Senato.
Avogadro è il sindaco che ha sfrattato Totò e il suo bronzo, un busto di non più di un metro e mezzo che raffigura il mito napoletano nelle vesti del “pazzariello” con tanto di cappello napoleonico, decorazioni e mezzo frac. La tesi del sindaco revenant dopo dieci anni sul luogo del delitto è che quel Totò è proprio brutto e non ha niente a che fare con il contesto urbano della sua città rivierasca.
E così l’ha preso e l’ha sbattuto in un magazzino comunale tra vecchi quadri, sedie e poltrone in disuso, panchine rotte. Summa iniuria: lo sfregio al Principe De Curtis ha incominciato a fare il giro del mondo, non solo d’Italia e di Napoli, dove se avessero un esercito, o meglio una flotta e non solo montagne di spazzatura, avrebbero già armato una spedizione per venire su al Nord a cancellare l’offesa sanguinosa, altro che Benvenuti.
Il neo assessore alla Cultura di De Magistris ha già trovato l’area dove piazzare il busto respinto da “quelli del Nord”. D’accordo con la figlia del Grande Principe Liliana, ha pensato ai giardini pubblici vicino al teatro Totò.
Ma che c’è da stupirsi? Avogadro non era nuovo a queste imprese un po’ spettacolari da sindaco: fu lui a proibire di passeggiare nel mitico “budello” di Alassio in bikini e più generalmente in costume da bagno (il budello è il vicolo che corre parallelo alla spiaggia di Alassio, in mezzo alle case del borgo storico), fu lui, sindaco leghista succeduto a generazioni di primi cittadini democristiani e anche in qualche ca caso vicini al Pci, a sfoderare il pugno duro padano in riva al Mar Ligure, inibendo anche di circolare per strada con il cono gelato in mano. Una sorta di estrema provocazione per “dare ordine” alla cittadina che doveva recuperare il suo aplomb.
Va detto che nel regno precedente di Avogadro il recupero di Alassio, a parte i diktat di stampo nordista, ivi compresi quelli contro gli immigrati dilaganti sulle spiagge, avvenne perchè la sua politica urbanistica e di riordino della rete turistica e commerciale era stata proficua.
Ma il gusto del gesto clamoroso questo sindaco anti Totò non lo ha perso nella sua lontananza dal potere e dopo avere vinto elezioni in cui nessuno scommetteva un euro su di lui, uscito dalla Lega e schierato da indipendente con il centro sinistra, non ci ha messo un attimo a fare il colpo che ha riportato Alassio in prima pagina, magari ispirato da qualche consigliere-stratega in fregola di revanche sul regime spadroneggiante di Melgrati, il suo predecessore.
Ma toccare Totò non è come vietare il passeggio con cono gelato in mano e ora la guerra del busto è diventata nell’estate dei nostri molti dolori, un tema che infiamma. Cuneo e Napoli sono state le prime città a chiedere di avere quel busto di bronzo. Napoli si capisce, Cuneo anche perchè è la città dove Totò si vantava di avere fatto tre anni di militare con quella battuta, mentre altercava sul treno con l’onorevole Trombetta, che è stata una delle sue carte d’identità, una supergag, quasi come la lettera dettata a Peppino De Filippo: punto e virgola, anzi due punti, esageriamo che è meglio abbondare.
Siamo arrivati al punto che qualcuno ha chiesto di lanciare una asta pubblica per decidere a chi toccherà inalberare il pazzariello sfrattato da Alassio. Il gesto più clamoroso lo ha compito il vero defensor fidei di Totò, almeno in senso musicale, Renzo Arbore, ambasciatore nel mondo della canzone napoletana e, più in generale, dell’arte napoletana, il quale ha promesso un concerto gratis della sua mitica band con clarinetto,a condizione che la statua torni al suo posto. Nei giardini di Alassio, ovviamente. Hanno scritto in molti anche al presidente Giorgio Napolitano, napoletano doc e deus ex machina di questi tempi travagliati.
Raffaele La Capria, grande cultore della difesa partenopea, nel suo articolo ha anche spiegato che è difficile fermare la geniale mimica di Totò in un gesto bronzeo e che forse quello stop negli algidi giardini di Alassio può avere suscitato la sconnessa reazione del sindaco e dei suoi ispiratori, magari a caccia di pubblicità un po’ gratuita, dopo un’elezione un po’ inattesa. Tutti erano sicuri che la Destra si sarebbe tenuta Alassio e in particolare il ministro a sua insaputa Claudio Scajola e invece……..
La Capria racconta bene l’emozione che si prova andando a scoprire la targa che nei vicolo napoletani identifica con parole commoventi il luogo dove nacque Totò, figlio veramente di un principe, che poi lo abbandonò con la madre, probabilmente una donna di servizio. Lì veramente nacque il genio di Totò, in quella casa diroccata e lì ci si deve commuovere. Questo non toglie che sbattere il bronzo in un maleodorante magazzino nel pieno della ruggente estate di Riviera è un gesto che va lavato.
Come faranno i nostri eroi di Alassio a cancellarlo? Se facessero veramente l’asta non smentirebbero la fama sparagnina dei liguri che vogliono lucrare perfino sul genio di quelli del Sud. Forse dovrebbero trovare una grande ambasciatrice partenopea, magari la leggendaria Sofia Loren, capace di mettere le cose a posto, reincoronando Totò a Alassio, magari sul Muretto che ne rimane il simbolo e che, con i consueti alti e bassi è rimasta la passerella della bellezza femminile senza tempo. Come quella di Sofia.