Argentina lacrime e sangue: tasse più tasse. Ma può smettere di piangere

Cristina Kirchner (foto Lapresse)

BUENOS AIRES – Il mondo alla fine del mondo, dove i cardinali hanno trovato il papa Francesco nel cuore di Buenos Aires, Argentina, vive al 35 per cento di inflazione, vai a fare la spesa con la carriola piena di pesos come era già successo dieci anni fa o come si racconta nei manuali di storia della Repubblica di Weimar.

Il governo di Cristina, come la chiamano confidenzialmente amici e nemici, dai confini lussureggianti del Norte, dove scorre il Paranà, fino ai ghiacci del Sud ed oltre, ben oltre la terra del Fuego e il Petito Moreno, ghiacciaio da turisti, verso la fine del Continente e, appunto del mondo, o lassù nel Chaco, il deserto sotto le Ande, regno di serpenti e ragni velenosi, impone tasse bestiali sulla soia e taglia le pensioni.

Questo governo, travolto dall’ultima tempesta finanziaria, “stanga” la soia, che sarebbe diventato il “sale” della nuova agricoltura non solo qua, ma ovunque sul pianeta agricolo.

Cristina Kirckner, la vedova di Nestor, morto da ex presidente e indicato già successore della moglie, in una catena dinastica che nel “mondo alla fine del mondo” si perpetua dai tempi di Peron, fronteggia un’altra crisi catastrofica di un paese che potrebbe essere uno dei più ricchi del mondo e invece sbatte ogni dieci anni contro una crisi devastante, che ne minaccia perfino l’integrità.

Eppure l’Argentina potrebbe smettere di piangere, come canta la famosa canzone, una volta per tutte e non solo perchè ha mandato a Roma sul soglio di Pietro il papa, il primo papa latino americano in assoluto, il primo che viene da un altro Continente e che si è chiamato Francesco e che continua a essere sempre in prima pagina e che quando era laggiù, nel “mondo alla fine del mondo” veniva considerato un avversario dal potere costituito dei Kirchner, ma anche prima dei Menem, dei radicali pre peronisti o dei generali o dai desarollisti e lo detestavano e non lo amavano certo quell’arcivescovo gesuita, prima teologo, prima semplice prete, che da sempre viaggiava per le periferie de la Ciudad Federal.

Rompeva le scatole, padre Jorge Bergoglio al padrone de la Casa Rosada, il palazzo del Governo, in mezzo alle Avenidas trionfali di Baires, dove una cosa la capisci subito: che questo paese ha uno spazio tale che può comprendere tutto, le più grandi possibilità e le sciagure più catastrofiche.

Ha una delle terre più fertili e ricche del mondo, il petrolio, le montagne, fiumi che sembrano mari, il clima dolce al posto giusto, il bestiame migliore che esista, ma anche una capacità sovrumana di scatenare dentro se stesso la più sconvolgente forza di autodustruzione. Sta a galla tra la prosperità ridondante e lussurreggiante della sua terra ricca, del suo incanto atmosferico e il disastro della sua conduzione politica.

Balla non il tango o forse proprio quello con i passi lenti, gli aggrovigliamenti e poi gli strappi sensuali, avvinghiandosi alla passione per la propria terra e poi strappando sanguinosamente con i propri consimili.

Fa la guerra agli inglesi per le Falkland-Malvinas e la perde, seppellendo qualche migliaia di marinai e soldati per quattro scogli al largo del Cono sud dell’America Latina negli anni Ottanta, sfidando niente meno che Margaret Tachter. Altro che Crisina, Evita, Isabelita, le donne del potere argentino dal 1950 ad oggi, più mitologia, affarismo e incapacità di governo che altro.

Commette il governo militare di questo paese, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, il più grande eccidio di civili dell’era moderna per domare la guerriglia e il terrorismo che sono montanti con i gruppi rivoluzionari contro un regime militare iniziato in modo soft ,ma diventato una iena assetata di sangue, mano a mano che era attaccata dai montoneros guerilleros.

Desaparesiscono in quegli anni decine e decine di migliaia di “nemici”, per lo più ragazzi o giovani o complici di una opposizione ai generali. Li portano via ovunque, le squadre della morte, e poi li giustiziano in qualche caserma della immensa periferia bonarense e poi li caricano sugli aerei e li buttano in mare, con un blocco di cemento ai piedi, in fondo al paese in fondo al mondo, sotto le Malvinas, in quelle onde grigie e cupe, la tomba, la lapide che solo anni dopo sarà sollevata e porterà uno a uno, ma non tutti, generali e colonnelli davanti a una giustizia che continua a non metabolizzare quegli anni cupi.

E tutto perchè? Perche le risorse umane, della classe dirigente argentina non sono mai state all’altezza della risorse naturali e il paese dal 1946 è nelle mani di una malattia senza rimedio se la possiamo chiamare maladia: il peronismo.

A un grande inviato speciale di un giornale americano che piombava in Argentina qualche anno fa per capire come mai il paese era divorato da una inflazione come quella di oggi, un acuto osservatore aveva fatto questa descrizione politica: “Qui trovi i socialisti, i radicali, i comunisti, i conservatori, i rivoluzionari, insomma trovi tutti gli schieramenti……”

E dove sono i peronisti? Aveva sollecitato il giornalista al suo interlocutore? “Che domanda? Sono “tutti” peronisti!”
Come uscire dal peronismo latente, diffuso, contaminante, creato dal general Juan Alberto Peron, quel pezzo d’uomo che aveva studiato in Italia, nelle caserme e nelle scuole ufficiali del nostro Paese e poi era tornato a casa, mentre l’Europa era divorata dalla seconda guerra mondiale e, conquistando il potere, aveva gettato un seme politico di populismo in um mix ideologico destra sinistra, di nazional popolarismo, di formalismo descamisado, che nessuno, dal 1946 della sua ascesa al potere in guanti banche, sciabola, alamari d’oro, non è mai riuscito a sradicare?

Intanto il pianeta cambiava, mentre tutta l’America cambiava, anche quella Latina e l’Argentina, tra uno scossone e l’altro, una tragedia, una riscossa e una catastrofe economica o bellica, restava sempre la stessa, con lo sfondo peronista e mutavano solo le “femmes fatales” non il modello di quello che non può neppure chiamarsi regime, che si succedeva nei saloni Belle Epoque de la Casa Rosada.

Lo schema restava uguale con l’eterea e immortale Evita, treccia d’oro, morta giovane di leucemia, adorata da viva, da morta, da santa, vera icona della mitologia argentina, con Isabelita, la seconda moglie del general, esile ma di fil di ferro, che lo seppellì e governò il paese accanto a un ex dentista senza scrupoli, l’incredibile Hestor Campora, preparando il terreno alla giunta sanguinaria dei generali, dei Videla e alla fine, dopo il superguappo Menem, anche lui peronista anni Ottanta e dopo la parentesi della resurrezione dalla svenduta del paese con il quasi rigore radical desarollista di Alfonsin, ecco di nuovo los Kirckner, la nuova genia che viene dalla profondità Argentina di Calafate, la città in fondo, in fondo, quasi quattromila chilometri da Buenos Aires, il cui governatore Nestor Kirchner conquista la casa Rosada e rispolvera il verbo peronista con una salsa da anno Duemila, studiando già di perpetuare la sua dinastia con la giovane moglie Cristina, ecco un’altra femme fatale anno Duemila, una mora de fuego, all’inizio una apparente pin up, che si svelerà una politica saettante, tanto erano bionde Evita e Isabelita, successora del consorte e dopo sua predecessora, se non fosse stato per quella morte improvvisa e un po’ misteriosa in ospedale a Calafate, alla viglia dell’elezione che avrebbe riportato lui, questo ennesimo demagogo criollo alla Casa Rosada, con le sue ricette nazional populiste, dopo la sbornia mondiale dei bond argentini. Il marito, poi la moglie, poi di nuovo il marito, in una sequenza che solo quell’Argentina può creare….. e che solo il solito dramma ha troncato.

E ora questa Argentina da cui è partito il padre Bergoglio e dove Cristina sta terminando il suo mandato senza più delfini e successori, solo il velo nero per andare a ossequiare in Vaticano papa Francesco, passato da avversario a salvagente dell’intero Continente, sta di nuovo affondando. Solo il Venezuela del dopo Chavez ha una inflazione più alta e, scandalo degli scandali, il paese ora è settimo nell’esportazione di carne che era il suo vanto, il suo primato, la “firma” di quella primogenitura di agricoltura, di fertilità che il Dio di Francesco le ha concesso per sempre.

Si fa la spesa con la sporta piena di pesos e si beccano decreti del governo che saccheggiano le pensioni per creare fondi di salvaguardia dei ceti sociali ridotti alla fame.

E allora perchè in questa situazione ciclica, ma permanente di recessione spaventosa l’Argentina dovrebbe smettere di piangere?
Alberto Preve, un imprenditore che ha diviso la sua vita tra l’Argentina e l’Italia, a capo prima con suo padre il mitico Riccardo Preve, con i suoi fratelli, di una grande azienda di famiglia, che produceva il riso sia in Italia che in Sud America e che ha attraversato tutte le fasi del paese in fondo alla fine del mondo, osservandolo dall’interno e dalla sponda italiana dei suoi affari e dei suoi interessi politici e intellettuali, ha scritto un pamphlet che fotografa questa immensa contraddizione tra l’Argentina “ baciata” dai “recursos” naturali., le sue immense risorse e dalle capacità umane, che alla fine, malgrado grandi tradizioni professionali, non le consentono di svilupparsi, di far decollare il suo sviluppo, la sua immensa forza di materie prime e di fertilità.
Chi meglio di un imprenditore che ha partecipato da una parte all’altra dell’Atlantico ai corsi e ai ricorsi di una economia, così facilmente intuibile in Italia, per affinità genetiche e migratorie, tanto diversa, invece, per le sue radici geografico-storico-culturali?

Non sono forse stati italiani i nomi tra i più importanti che hanno influito nello sviluppo dell’economia argentina, a partire da Paolo Rocca, che andò laggiù e poi con la sua faniglia fondò Tekint e continuando anche con Riccardo Preve, il padre di Alberto, che impianto il Riso Gallo, partendo da Genova e dalla ditta Frugone Preve?

Il rimbalzo Italia-Liguria-Argentina non è stata solo una rotta di emigrazione per gli italiani, di braccia forza-lavoro, un flusso nel quale viaggiò all’inizio del Novecento anche la famiglia Bergoglio, dalla provincia di Asti e dalle vicinanze della città ligure di Lavagna, ma è qualcosa di più profondo, di più viscerale che lega le origini genetiche, il modo di vivere, perfino lo sport di massa, il calcio e i suoi campioni, passeggeri di una rotta contraria a quella degli emigranti.

Lo scrive Preve nel suo “messaggio”, intitolato “Algunas consideraciones sobre aspectos de la Argentina e inversiones en el pais”,( Considerazioni sull’Argentina e possibili cambiamenti del paese).

La riflessione parte da un punto fermo: come l’immagine dell’Argentina e anche del confinante Uruguay sono per gli italiani più attrattive degli altri paesi del sub continente sudamericano. Più dell’esplosivo Brasile, del drammatico Cile, del lontano Perù, della rivoluzionaria Venezuela, della andine Colombia e Bolivia, per non dire del mistero Paraguay, dove al governo si alternano dittatori e ex vescovi.

E allora eccole contrapposte le risorse naturali e quelle umane. Non esiste forse al mondo una estensione di terra fertile con riserve di gas, petrolio tanto ricche da consentire ancora negli anni Novanta esportazione al 20 per cento del totale export.

La classe dirigente argentina è formata anche da dirigenti, professionisti imprenditori, intellettuali, uomini di cultura, tanto forte che si impone facilmente in ogni angolo del mondo per profondità di formazione, scuola, cresciuta in patria grazie alle tradizioni di insegnamenti portati dall’Europa sull’onda di potenti ondate migratorie, un po’ per necessità, come quelle italiane dalla fine dell’Ottocento, alle altre pre belliche, post belliche o comunque dettate da sconvolgimenti che portarono sul Rio de La Plata gli ebrei in fuga dalle leggi razziali e poi, per contrappasso micidiale, i nazisti e i fascisti post 1945, in un mix che poteva coesistere solo in un posto come l’Argentina.

Preve ha la memoria veramente piena di storie di personaggi piovuti più o meno drammaticamente a Buenos Aires, dopo la guerra mondiale e sorride ora che si può farlo, a ricostruire le incredibili convivenze tra ex perseguitati e persecutori. Al Circolo Italiano di Buenos Aires, vero luogo ombelicale, dove si riunoivano gli importanti italiani di Argentina, non era infrequente incontrare Vittorio Mussolini, il figlio del Duce, assolutamente affabile e a suo agio, come era possibile ospitare illustri personaggi di stirpe ebraica, magari affermati nelle professioni, nella scienza, nell’imprenditoria e nel commercio, seduti nella stessa stanza di ex ufficiali del Terzo Reich.

Storie che magari finiscono nel ritratto molto più attuale di Guillermo Moreno, l’attuale addetto commerciale presso l’Ambasciata Argentina a Roma, un personaggio che ama le divise e i simboli nazisti, che li ostenta, li indossa come se niente fosse e ha sempre posato sulla sua scrivania un revolver carico.
Come dire: certe tradizioni, usi e costumi si sono tramandati e resistono nel terzo Millennio dopo essere germogliati nel grande ventre argentino, una terra accogliente e fertile anche nel senso negativo.

E allora perchè può smettere di piangere l’Argentina di oggi, smazzata dalla sua ciclica crisi abissale, con la maggior parte delle sue finanze prudentemente esportate al sicuro in prevalenza nei paesi anglosassoni.

La ragione sta nella opzione che Buenos Aires ha di poter sviluppare oggi la sua agricoltura molto meglio che altrove e sopratutto meglio che in Italia e in Europa e non solo per ragione del suo clima, dei suoi benefici naturali, ma perchè oggi ci sono in quel Paese almeno 400 mila proprietari agricoli, che lavorano la propria terra con le proprie forze e competenze, sfruttando conoscenze e esperienze avanzate.

Nel mezzo del secolo breve la prosperosa terra argentina era di non più di 80 famiglie straricche, potenti, abituate a vivere tra Baires e Parigi, sfruttando quell’epoca d’oro che non è tornata più. Ma questa nuova classe di propietari grandi e piccoli di terra, capaci di sfruttare anche gli Ogm senza avere i vincoli che “frenano”, nel giudizio di Preve, le agricolture europee e non solo, ha un freno forte nella società argentina.

Perchè la classe professionale, imprenditoriale, commerciale aveva così prosperato nel Novecento? Perchè la società argentina era “innervata “ da una massiccia immigrazione europea, prevalentemente italiana, che a partire dalla fine dell’Ottocento fino al boom italiano degli Anni Sessanta, ne aveva “foraggiato” la crescita anche intellettuale, culturale, professionale.

Da quando si è fermato quel treno in corsa è incominciata un’altra immigrazione verso il Rio de La Plata e dentro ai confini della Repubblica Federal: quella interna sudamericana, dagli altri paesi del Sub Continente.

Insomma a una immigrazione dal “primer mundo” _ come scrive Alberto Preve _ se ne è sostituita un’altra, in arrivo dal “tercero mundo”. Non è stato solo un calo “tecnico” di capacità culturali e professionali, ma anche un grande cambio di valori _ si osserva nel pampleth _ assoluti.

“Perdita progressiva del senso della famiglia, del culto religioso caro agli antenati, dell’amore per la piccola propietà privata, distacco dal lavoro, da un comune sentire del dovere civico “ _ scrive Preve dal suo angolo visuale di imprenditore, con gli occhi puntati sul complesso della società, sui suoi valori base, magari pesati con l’ottica nord europea e capitalistica.

La discriminante ideologica, che è cambiata nella rivoluzione dei valori in Argentina _ secondo questa analisi che potrà fare molto discutere_ è che mentre nella cultura anglosassone, importata anche laggiù “al mondo alla fine del mondo”, non si parla mai di “redistribuzione della ricchezza” e piuttosto di “creazione della ricchezza”, in Argentina oggi il solo verbo è proprio quello di redistribuire. Cosa e come con la svalutazione galoppante?

Non certo solo in Argentina, ma in molti altri paesi del continente Sudamericano e del pianeta, ma questo discorso porterebbe molto lontano in questo mondo globalizzato. Restando in Argentina, alle sue emergenze, più galoppanti dei gauchos nella pampa sempre meno redditizia e alle analisi intelligenti come quella di Alberto Preve, l’allarfme che suona quasi alla vigilia delle prossime elezioni proiettate nel buio del dopo dinastia Kirkner è uno dei più forti.

E si ripete per la seconda volta in questo terzo Millennio appena cominciato. I suggerimenti di un imprenditore agricolo che ne ha viste di tutti i colori dal primo avvento di Peron a tutte le traduzioni del suo giustizialismo, ai pugni dei ferro dei generali, alle carneficine e al terrore per la sicurezza pubblica, sono orientati a stare lontani dagli accordi commerciali con i governi nazionali e locali, a mantenere una autonomia finanziaria che protegga dai cambi di politica del Banco Central, a temere la politica dei prezzi del governo , a mettersi al riparo dai terremoti finanziari provocati da svalutazioni innescate da improvvisi capovolgimenti politici del multiforme giustizialismo.

Sullo sfondo c’è la corruzione endemica che corrode non solo i governanti, ma tutti i corpi dello Stato, dalla burocrazia, alla polizia stessa: la conseguenza è il distacco tra il mondo del lavoro e quello politico. Per questo la classe politica tende a scaricare fuori da se stessa le conseguenze delle disfatte economiche.

Fino a quando non si arriva alle estreme conseguenze, quella classe politica, che magari si è arricchita personalmente, capitalizza il crak e non ne porta responsabilità.

Insomma, un quadro simile può far pensare che è impossibile che l’Argentina smetta di piangere. Ma laggiù “in fondo al mondo” o, meglio, dove “il mondo finisce” e dove si trovano oggi le ossa dei Dinosauri giganti delle nostre misteriose origini, sono ancora tutti convinti che Dio è argentino”.

Lo stesso Dio che aiutò la mano di Maradona a battere gli odiati inglesi nel Mundial di calcio e vendicare la sconfitta delle Malvinas.
Lo stesso Dio che ha scelto come papa di Roma un argentino, l’arcivescovo dei diseredati. E magari pensano, con una impossibile ed anche miscredente traduzione, che quel papa sia un segnale di speranza, che tutto si capovolga.

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Alberto Francavilla