ALESSANDRIA – Emozionato lo è eccome, il neo ministro alla Salute del governo Monti, nei giorni in cui la Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sulla legge elettorale con il testo da lui, professore di Diritto Costituzionale alla Università Cattolica, scritto e difeso. Emozionato lo è, uno dei professori di Monti, nella sera in cui torna a casa nella sua Alessandria a parlare in pubblico della Sanità difficile da gestire al tempo della “spending rewiu” del suo “capo” il “preside” presidente del Consiglio ed anche della legge elettorale, appena stangata.
Un po’ emozionato sì, come confessa subito, perchè ha davanti il suo pubblico, invitato dalla Associazione Acsal, l’ombelico socio culturale economico di Alessandria, fondata dai fratelli Guala, grande gruppo industriale filantropico che ha trasformato la sua sede, nel cuore della provincia un po’ mandrogna, in un fulcro di incontri, confronti sulla cresta dell’attualità più ficcante. Ma anche tanto determinato da parlare chiaro e forte sullo stile del governo e dei ministri che galleggiano in questa emergenza economica spaventosa tra un Parlamento che li guata e un’opinione pubblica che ha perso la fiducia nella politica e il Paese che bolle di rivolte sulle liberalizzazioni, compresa la sua sulle farmacie.
“La bellezza di questa situazione – dice Balduzzi sciolto il groppo di emozione – è la transitorietà, la temporaneità. Sappiamo che finirà e fino ad allora lavoriamo senza sosta: giornate infinite inseguendo le emergenze e con l’obiettivo di organizzare le proprie decisioni in un disegno strategico”. In quel disegno il riordino delle drammatiche emergenze della Sanità pubblica, al di là delle farmacie, appare già cadenzato: Balduzzi conferma i tiket per i ricoveri, ma li subordina a “trasparenza” ed “ equità”, dichiara che il sistema italiano è “ sostenibile” fino al 2050, ma se il reddito dei singoli e il Pil dello Stato non avranno tracolli e spiega come ci si potrà servire dei fondi integrativi assicurativi.
Anticipa la possibilità di tasse di scopo su alcolici e sigarette per “pagare” la sanità. Smitizza, il neo ministro, quel famoso decreto segreto che nessuno dei suoi predecessori ha mai voluto firmare per chiudere i “piccoli ospedali”, con meno di 120 posti letto e racconta anche qualche aneddoto sul clima che circonda Monti e i suoi: “Abbiamo concluso lunghissime riunioni in consiglio dei ministri a volte in anticipo sui nostri tempi, perché il protrarsi dei vertici allarmava oltremisura gli staff e i partiti politici.
“Se ci mettono tanto vuol dire che litigano”, trasmettevano fuori i commessi di Palazzo Chigi, mentre la verità é che Mario Monti applica rigorosamente su ogni questione il principio sacro della collegialità. E quindi le decisioni, ogni decisione, vengono prese ascoltando tutti i ministri, uno per uno.”
Un governo transitorio, temporaneo, convinto di non doversi guadagnare sempre il consenso, ma proiettato a fare sempre il meglio? Non un governo tecnico, come ha appena scritto su Repubblica Eugenio Scalfari nel suo editoriale dell’ultima domenica.
“Traghettiamo, ma verso dove? – si chiede con un certo sussiego Balduzzi, davanti alla sua platea che lo guarda magari non del tutto complessivamente convinta che nessuno di quei ministri pensi a un “dopo” politico – C’è sicuramente un nesso tra noi e la politica, ma noi guardiamo a quella dei cittadini che non possono continuare a vedere il Parlamento come qualcosa verso il quale non si può avere fiducia. Il rapporto di fiducia tra cittadini, partiti e politica, questo va ricostruito. Non può essere ridotto così. Non è mai successo così a lungo nella nostra storia, forse per brevi momenti, ma mai per tanto tempo. Chiariamo subito che non è vero che in Parlamento non si lavora. Noi abbiamo un grande rispetto per il lavoro delle Assemblee e per le Commissioni, che verifichiamo ogni giorno.”
Il ministro che parla a casa sua non evita il tema del referendum abrogativo sulla legge elettorale che la Corte Costituzionale ha “seccato” quasi due settimane fa . E come potrebbe? Lui è uno dei tre o quattro che scrisse nella scorsa estate i quesiti sotto i quali gli italiani hanno poi messo un milione e duecentomila firme, rendendolo ammissibile e sottoponendolo poi al giudizio dell’Alta Corte.
Balduzzi è un professore di Diritto Costituzionale e un conoscitore dei meccanismi tecnici e della Giurisprudenza della Corte: non si è stupito, anzi se lo aspettava. “Era chiaro che la linea della Corte poteva essere di non farlo passare, perchè si sarebbe dovuto approvare implicitamente un principio di “resurrezione” della vecchia legge elettorale, il famoso Mattarellum, sulle ceneri di quella abrogata dal referendum. E ciò non era mai avvenuto. Abroghi ma non restauri. Ci sono quelle firme, un milione e duecentomila, che non si possono ignorare. Un fortyissimo segnale per la politica.
Si capisce che Balduzzi questo lo dice senza intromettersi nel lavoro del Parlamento, anche se sottolinea: “Sarebbe miope e grave che ci intromettesse. Guai se si andasse a votare nel 2013 con questa legge, romperebbe il circuito tra la politica e la gente…
Ma è la Sanità, il suo futuro in mezzo alla grande crisi mondiale, alle tempeste finanziarie, ai default, che viene curata dal neo ministro, già consulente per dieci anni di Rosy Bindi e sulla quale si possono spendere parole di speranza insieme a bollettini drammatici.
“Il nostro sistema sanitario pubblico é sostenibile con questa spesa pubblica in crisi – chiedono a Balduzzi – e fino a quando?. Le proiezioni Ocse avevano autorevolmente stabilito che quella sostenibilità c’era fino al 2050, ma anche in queste condizioni?”.
Ci sono tre fattori che vanno considerati per capire se e come il sistema italiano, che Balduzzi giudica complessivamente efficiente anche nei suoi disequilibri territoriali, terrà ancora: il binario reddito e spesa sanitaria che devono crescere insieme; l’invecchiamento vertiginoso della popolazione che deve assorbire più malattie, più spese sopratutto negli ultimi tre anni di vita, le tecnologie nuove, le diagnostiche del futuro, nuovi trattamenti che bisogna assorbire economicamente….
Insomma che fare per garantire un futuro di assistenza sanitaria pubblica a figli e nipoti?
Balduzzi nella lunga chiacchierata ad Alessandria cita illustri economisti che hanno pesato quella difficoltà della sostenibilità, come Gianluca Fiorentini che sostenne: con il Pil in crescita la spesa sanitaria è sostenibile. Ma se il Pil non cresce adeguatamente sulla sanità si profila il fantasma greco . “ Abbiamo margini di inefficienza da estirpare in modo enorme e ovunque: anche nelle regioni virtuose ci sono zone di recupero, di appropiatezza e di guerra allo spreco. Tutti insieme possiamo agire in questa direzione, incominciando, per esempio, a cambiare la logica del quantum di medicinali che abbiamo nello stipetto a carico della spesa sanitaria. Il sistema sanitario è buono – ripete Balduzzi – lo dice il mondo. E non lo si può ridurre ad uno scontro tra Vibo Valenzia e Trento!”
Sarà che basta eliminare le inefficienze e gli sprechi, ma intanto come si fanno a far quadrare i conti? Questa è la domanda chiave, quella che colpisce al cuore il sistema e fa giudicare una politica sanitaria messa in piedi dai ministri- professori con il loro preside-presidente del Consiglio e questa domanda secca a Balduzzi la pongono ad Alessandria gli esperti del pianeta ospedaliero: aumentate la tassazione? E come, con i ticket o puntate su una sanità complementare con i fondi integrativi, o, infine, riducete l’offerta dei servizi, tagliando qua e là?
Balduzzi ragiona sul suo territorio, quello che conosce meglio, che ha studiato di più: “Il fisco pesa già abbastanza – incomincia – e il Governo lo sa benissimo. Restano altre strade: tasse di scopo e ticket. I ticket sono già sul tavolo, ma si possono far partire a condizione che l’operazione avvenga con trasparenza e con equità. Bisogna spiegare bene cosa si paga e si fa pagare, calcolando il reddito, introducendo anche esenzioni per determinati casi e per determinate patologie”.
Sui fondi privati integrativi il ministro non ha preclusioni, perchè il sistema italiano li “vede” da tempo e il loro intervento era già previsto, ma il loro spazio va delimitato: il nostro non è un sistema a due pilastri.
“Abbiamo un pilastro solo – insiste con un certo orgoglio Balduzzi – quello della Sanità pubblica, che può contemplare qualche apertura. Da noi si rovescia il sistema di Obama, dove i fondi integrativi e le assicurazioni svolgono la parte del secondo pilastro. Qual è la ragione per cui abbiamo potuto fare a meno di quel sostegno che un sistema sanitario pubblico, appena installato in un grande Paese come gli Stati Uniti ha dovuto utilizzare?
Balduzzi ha la sua spiegazione perentoria: abbiamo sfruttato due importanti risorse fondamentali: le famiglie che sono intervenute e continuano a intervenire in modo massiccio sopratutto dove ci sono aree di non autosufficienza e crescenti disabilità e la badanti. E qui il ministro sottolinea con forza: “Siamo stati salvati dalle badanti, il sistema sanitario è stato salvato dalle badanti, ma attenzione c’è un limite a questa risorsa, anzi siamo alla fine e se non interverremo per colmare una lacuna che si apre, la sostenibilità del sistema italiano non ci sarà più”.
Tradotto vuol dire che con la grande crisi mondiale e le difficoltà dell’Italia il flusso delle badanti e dei badanti, cioè di quegli assistenti in prevalenza stranieri chiamati a svolgere funzioni paramediche accanto agli anziani malati o fragili o comunque non più totalmente autosufficienti o, via via, sempre meno autosufficienti, già ridotto rischia di esaurirsi progressivamente. E allora?
Il ministro chiarisce anche un altro tema caldo del dibattito sulla sanità, quello dei piccoli ospedali da chiudere drasticamente, in un piano di razionalizzazione, una decisione per ora presa a pioggia e che suscita sempre microrivolte. “ Non firmerò mai quel decreto segreto che si dice sia stato sottoposto a tanti miei predecessori nel quale si prevedeva di chiudere subito tutti gli ospedali che avessero meno di 120 posti letto – dice senza esitazioni – Ci sono regioni che hanno già razionalizzato in questo senso. E poi chi può escludere che in quegli ospedali anche piccoli, anche sotto i 120 posti letto non ci siano reparti di eccellenza. Quel che è certo è che non lasceremo aperti ospedali piccoli con reparti di ginecologia che fanno pochi parti all’anno. Quello è un esempio del piccolo da chiudere. Ma c’è anche il piccolo efficiente che può rimanere.”