Banca Carige, ultimo fulmine su una Genova devastata da temporali autorigeneranti

Banca Carige, ultimo fulmine su una Genova devastata da temporali autorigeneranti

GENOVA – Anche questo potrebbe essere considerato un temporale autorigenerante, di quelli che scaricano fulmini a raffica e restano sempre lì sopra, nel cielo nero di Genova, ex Superba. Ma il fulmine, che una domenica di fine ottobre la Bce pianta nel cuore finanziario della città, sul tetto al quattordicesimo piano della sede Carige, la banca-mamma dei genovesi, l’istituzione-madre di un apparato economico finanziario fondato nei secoli dei secoli, fa più rumore di quelli alluvionali del 7 e 8 ottobre 2014, perchè colpisce una tradizione a prova non di fulmine, ma di bomba atomica.

Genova è ancora velata del fango trascinato dal Bisagno e scossa dalle polemiche che da due settimane divorano le istituzioni, i partiti politici, i leader azzoppati, come il sindaco Marco Doria e il presidente della Regione Claudio Burlando, incerta sui rimborsi, paralizzata sulla ripartenza del suo disastro idrogeologico. Ma la ferita finanziaria con la censura Bce, che la colpisce insieme al Monte dei Paschi, uniche due banche italiane punite, va più a fondo dell’acqua limacciosa delle esondazioni, degli straripamenti, del fango spalmato ovunque.

Addio Cassa di Risparmio, oggi Carige, addio al suo primato, bruciato in un anno solo tra il 2012 e il 2013, di banca non scalabile-blindata dalla sua Fondazione che ne possedeva il 43 per cento e ora andrà a averne in tasca non più del 5%, addio alla sua patrimonializzazione record degli anni 2010 2011, svuotata, dopo,il crak del titolo in Borsa, dal primo aumento di capitale del 2014 di 800 milioni di euro e ora pronta alla trasfusione attraverso Mediobanca per altri 650, anticamera quasi certa di una scalata che non si sa da che punto cardinale arriverà, ma che è sicuramente pronta.

Non basta vendere finalmente le assicurazioni, la vera zavorra da decenni della Carige, che finalmente il nuovo managment sta piazzando al gruppo Apollo, fondo Usa, che si inghiottirà Carige Assicurazioni e Carige Vita, al prezzo di 300 milioni, per un comparto iscritto a bilancio a 270, che andrebbero a incidere a bilancio per un patrimonio di 100 milioni.

Hanno voglia le fonti della banca a tranquilizzare sulla solidità della Carige, che è finita sotto censura solo per gli stress test ipotizzati da Bce. Le attività di bilancio (Aqr) sono state considerate solide, le mosse del nuovo cda avrebbero messo al sicuro il patrimonio “dimagrito”. Ma la botta della domenica ha steso in borsa il titolo fino al meno 37 per cento, fino all’intervento della Consob che ha bloccato il patatrac.

Titolo sospeso e una parte della città con il fiato sospeso. Ieri l’alluvione con la sua scia di fango e purtroppo di morte, ora la conferma della tempesta perfetta della battaglia finanziariaa che da un anno e mezzo ha capovolto il destino della Carige e con esso la certezza granitica di una larga parte del risparmio genovese e ligure. Quella banca, un anno esatto prima che il temporale autorigenerante si piazzasse sul suo grattacielo, si era sdoppiata in Carige Italia per separare la gestione del “fuori Liguria”, un gigante della raccolta e dell’attività bancaria, cresciuto a dismisura sotto la guida funambolica di Giovanni Berneschi, il doge, il presidente amministratore, l’uomo che sembrava il deus ex machina dei destini genovesi e che le ispezioni a ripetizione di Bankitalia, con i rapporti catastrofici prima e poi le inchieste della magistratura, hanno trasformato nel diavolo.

Oggi Berneschi è libero dopo una lunga detenzione agli arresti domiciliari, intervallato dal carcere, ma si è trasformato in un fantasma come ex doge, mentre come imputato deve difendersi da accuse durissime, assolutamente imprevedibili per chi lo ha conosciuto e frequentato, per chi ci ha trattato.

Eccolo il temporale autorigenerante che ha fatto saltare l’ex doge dalla sua poltrona in quell’ufficio al quattordicesimo piano del grattacielo Carige, prima togliendogli il bastone del comando del colosso bancario, poi nella seconda fase della tempesta, facendolo arrestare sotto una valanga di accuse per avere compiuto misfatti inenarrabili attraverso le società assicurative della Carige, manovrate come strumento per comprare e rivendere a prezzi decuplicati immobili e altri beni, trasferendo all’estero decine di milioni di euro, con la complicità di soci, amici, professionisti.

Quel temporale ha svelato che l’uomo-banca, quello che, salito ai vertici dal grado di fattorino, era diventato l’interlocutore principale per ogni operazione economico-politico-sociale-culturale della città, era, invece una specie di Paperon dei Paperoni segreto, capace di accumulare illecitamente un patrimonio nel quale non tuffarsi, come faceva l’eroe di Walt Disney, ma costruire una fortuna destinata a cosa?

I più vicini a lui, i più sorpresi, sostengono che la mira fosse quella di comprarsi la banca intera di cui era socio minoritario al 6%, che lui aveva sviluppato, trasformandola nella sesta per patrimonializzazione in italia, facendola passare da settanta a settecento sportelli, acquisendo altre banche, come quel goiellino milanese della banca d’affari Ponti (che ora servirà alla ricapitalizzazione), portando i dipendenti del Gruppo a 3500, il più potente datore di lavoro della Regione.

Illazioni di sabbia e accuse che, per quanto gli è stato possibile, Berneschi ha respinto come schizzi di fango, ma della sua difesa, che si immagina monumentale e molto prescrittiva, non si ha ancora traccia precisa perchè fin’ora l’ex doge si è dovuto proteggere dai temporali autorigenerati che lo hanno schiantato e solo da un mese è fisicamente un uomo libero. Libero processualmente, ma inchiodato da un destino micidiale: la sua agibilità nella città è praticamente impossibile tanto grande è stata ed è la pubblicità negativa che lo ha circondato e lo sta circondando.

Era il più potente ed ora è un uomo solo, che neppure la famiglia può aalleviare molto perchè la vicenda giudiziaria ha anche svelato la difficoltà dei rapporti con il figlio, uno dei suoi accusatori più virulenti, ancorchè da lui beneficiato e con la nuora coimputata e che, sempre secondo quelle accuse, lui usava nelle operazioni proibite che gli sono contestate con montagne di documenti dalla Procura della Repubblica di Genova.

Ma il temporale Berneschi è solo quello iniziale di una vicenda che ha steso al suolo anche la Fondazione Carige, la principale azionista della fu banca-mamma e da quello si generò l’altro temporale con fulmini e saette, che costrinse il presidente Flavio Repetto, il notissimo imprenditore dolciario, Elah, Dufour, Novi, Baratti &Co a lasciare la poltrona dalla quale pensava di governare i destini della banca di cui deteneva, appunto, il 43%, garantendone, durante la grande crisi incominciata nel 2008, l’autonomia e la base ligure.

Altro che autonomia! Di temporale in temporale, di fulmine in fulmine tutto si è disintegrato. I nuovi vertici di Fondazione e banca sono ora nelle mani di cirenei in mezzo alla tempesta, l’avvocato Paolo Momigliano e il presidente Cesare Castelbarco Albani e l’amministratore Giampiero Montani che hanno cercato di raggiungere due obbiettivi: il primo, ridurre la percentuale azionaria di Carige da quel 43 all’attuale 19, prossimo a scendere violentemente, arrivare a un primo aumento di capitale di 800 milioni, sottoscritto all’inizio dell’estate 2014 e perseguito anche dismettendo e vendendo asset cruciali. Tra questi quelle venefiche società di assicurazioni che erano nelle mani di un vecchio socio di Berneschi, l’imprenditore Ferdinando Menconi e che sono forse all’origine di tutta la catastrofe della Cassa di Risparmio. Altri obiettivi dei “salvatori”: riportare a galla l’assetto di una banca depauperata del suo valore in modo esponenziale, con il titolo crollato nello spazio di due anni a un livello infinitesimale, distruggendo una ricchezza enorme e asfaltando migliaia di risparmiatori genovesi e liguri, tranquilli fino a ieri.

Il fulmine dell’ultimo temporale autorigenarato dai primi di un anno e mezzo fa era atteso, ma al riparo di qualche protezione purtroppo giudicata erroneamente sicura.

La botta è peggiore del previsto, ma non tremano le fondamenta della banca, non devono strapparsi i capelli i risparmiatori, ma è la storia Carige e Cassa di Risparmio che si esaurisce, perchè i nuovi soci che entreranno per garantire il nuovo martellante aumento di capitale snatureranno – a meno di colpi di scena imprevedibili – la identità ligure genovese dell’istituto, priverannola città e la regione di quella banca-madre e mamma che ha svolto funzioni chiave nella storia recente dello sviluppo genovese, legando il territorio, le imprese, gli imprenditori, seminando con cognizione di causa benefici effetti nella cultura, nella solidarietà, nell’assistenza.

Chi è candidato a mettere le mani su Carige? Tra un fulmine e l’altro, tra un temporale e l’altro, è da tempo che circolano i nomi del Credit Agricol e di altri tra i quali – lo recita “La Repubblica” – il notissimo finanziere Andrea Bonomi, che già provò qualche mese fa a prendersi Carige. Senza successo. Ci si chiede se il suo carisma è sufficiente.

In passato si è anche fatto il nome di Vittorio Malacalza, ex socio Pirelli che aveva tentato la scalata alla cassaforte di Tronchetti e che ne era uscito con un bel pacco di soldi, ma non con le chiavi del tesoro. Malacalza, piacentino-genovese, uomo di impresa, nato sulle autostrade, cresciuto con il commercio dell’acciaio e con la sua produzione, maturato, quindi, nel settore della siderurgia, poi della termo conduzione, acquirente di un pezzo di Ansaldo, è, però, un uomo molto prudente, sopratutto se di mezzo c’è Genova, la sua città di elezione, ma che con lui non è mai stata molto dolce, non concedendogli spazi per costruire uno stabilimento sul mare che sarebbe stato utile per la sua attività di trasporto di mega conduttori ( e che poi è stato realizzato a La Spezia) e addirittura non scegliendolo attraverso Confindustria Genova per il ruolo di presidente.

Gli fu preferito il giovane Giovanni Calvini, import export di frutta secca, scelto da una lobby portuale-industriale alla quale meglio si confaceva una soluzione meno “forte” di quella del vecchio leone Malacalza.

In questo clima incerto cosa faranno i soci attuali di Carige, obbligati a aumentare il capitale di 814 milioni per stare fuori dallo stress risk? Il cda della banca riunito di domenica, nel giorno del fulmine, ha deliberato un aumento di 650 milioni. L’advisor sarà Mediobanca che forse ha già in tasca i nuovi soci o il nuovo socio ma intanto…

Intanto la scia delle sofferenze Carige sul territorio dove è caduta l’ultima saetta e lunga e traccia, come in una specie di via crucis, il percorso delle grandi difficoltà genovesi, poche escluse. Ci sono i grandi armatori finanziati dalla Carige di Berneschi e rimasti a galleggiare con lo spettro del crak, c’è l’operazione Erzelli, il villaggio hig tech sulla collina di Sestri Ponente, dove sorgono già i grattacieli Eriksoon e Siemens, che le rispettive direzioni aziendali stanno svuotando sotto i colpi della crisi, mentre l’intero disegno del centro _ impresa più ricerca più Università_ si sta spegnendo come una candela.

E Carige lì ha piazzato oltre duecento milioni di euro. C’è perfino il Genoa di Preziosi, la bandiera calcistica rossobù, retta da finanziamenti Carige oltre i cento milioni di euro. E il rosario potrebbe continuare, tanto per dare il senso dello sfinimento che prende una città in procinto, forse, di perdere anche la sua banca, dopo avere perso quasi tutte le sue industrie, comprese quelle di Stato, dopo avere assistito allo smembramento dell’Ansaldo, dell’Elsag, dell’Esaote e ora perfino della Selex, dopo aver visto volare via anche gli aerei Piaggio e avere vissuto la presa degli stranieri sul più grande quotidiano della città e della regione Il Secolo XIX, della famiglia Perrone, ingoiato al 77 per cento da una società torinese che fa capo alla Stampa degli Agnelli.

Maledetti piemontesi, che i genovesi non si sono mai dimenticati, dal sacco dei bersaglieri di Lamarmora, che commisero qua le peggioori nefandezze, mai dimenticate, scolpite nel dna dei genovei…..

Affondare nella storia non è neppure una cataarsi bancaria, anzi diventa un esercizio più che doloroso per il popolo che tra il Cinque e il Seicento inventò le banche stesse, il tasso di sconto e finanziò i grandi della terra di allora e le loro guerre, tanto era ricco, a incominciare da Carlo V.

Oggi Genova è nel mirino dei temporali autorigeneranti, delle tempeste a ripetizione, delle saette che minano perfino questo dna storico, nato negli scagni. Allora quando la città primeggiuava non ci sarebbe stato veramente nessun fango che tenga (per usare lo slogan della attuale resistenza genovese) perchè Genova era costruita intorno alle sue banchine, ai suoi moli storici, chiusa come un pugno tra la collina scoscesa e il mare profondo, a prova di alluvione ed anche di assalto nemico.

Faceva affidamento sulla capacità marinara, su quella di trafficare nel mondo e di saper navigare contro ogni tempesa, altro che i temporali autorigeneranti.

E sul mare resta l’ultima barricata intorno alla quale resistere, magari con il progetto di allargare il porto, costruendo una diga foranea molto più al largo per sfruttare il traffico delle grandi navi da crociera, delle superportacontainer cinesi alte come grattacieli.

Il futuro dei trasporti, nei quali la Superba gioca la sua vera chance. Costerebbe, quella diga più di cinquecento milioni di euro e un’opera kolossal. Certo oggi non si possono chiedere i soldi a Carige.

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Alessandro Avico