ROMA – Cereti, il prete genovese che ha convinto Francesco ad aprire ai divorziati. Il tema lo ha rilanciato in dicembre Papa Francesco in persona con una grande intervista a La Nacion di Buenos Aires, pubblicata in Italia da Repubblica: “La Chiesa apre le porte ai divorziati”. Ma il tema bolle da quando è incominciato il Sinodo, tutt’ora in corso, che si concluderà nell’ottobre del 2015. Cambierà o no la Chiesa la sua linea dura, seguirà Francesco fino in fondo, discutendo collegialmente?
Giovanni Cereti, prete genovese, rettore a Roma dell’Abbazia dei genovesi nella chiesa di San Giovanni Battista in Trastevere, si batte da quaranta anni per la comunione ai divorziati. Ha scritto un libro nel 1969 che trovava le radici teologiche e storiche del perdono ai divorziati. Quel libro ha contribuito a convincere il papa a combattere questa battalia collegiale. Non è un tema troppo specifico. E’ in ballo la crisi della famiglia, non solo nella Chiesa cattolica, ma in generale nella società del terzo Millennio.
Non è difficile immaginarlo il nostro Papa Francesco, venuto dal mondo alla fine del mondo che passa una notte in bianco per leggere il libro di un sacerdote teologo non celeberrimo, ma ben conosciuto e anche temuto nelle cerchie vaticane per le sue idee avanzate sul peccato, sui peccatori e sopratutto sul tema attualissimo dei sacramenti da impartire ai divorziati.
Non è difficile immaginarlo Jorge Bergoglio, che nella sua stanza sobria e austera del collegio di Santa Marta, riesce a trovare nelle sue giornate e nottate da papa impegnato a riformare la Chiesa a avvicinarla e renderla comprensibile a questo mondo, alla sua società secolarizzata che da tempo fa così fatica a farsi ascoltare, chino su quel libro, scritto la prima volta nel 1969, ristampato, oggi diventato una specie di best seller nella rivoluzione vaticana.
Il libro che ha tolto il sonno a Francesco è intitolato “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva” e lo ha scritto quel sacerdote riservato, ma determinato che da trent’anni si batte per dare la comunione ai divorziati e spiegare perché la dottrina cattolica consente di farlo. E ha scoperto, quel sacerdote, che nella Chiesa Primitiva, quella che i teologi raffinati chiamano la Grande Chiesa, quella dei primi secoli del primo millennio, il concetto di peccato era diverso e il perdono connesso a alcuni dei peccati suscitava una capacità di rimessione diversa, più ampia forse, ma anche più profonda.
Quel prete che ha scritto quel libro, oggi subito ripubblicato perché i temi urgenti del Sinodo che la Chiesa sta celebrando in questo anno lo hanno richiesto, si chiama Giovanni Cereti, genovese, figlio di un grande Rettore dell’Università di questa città Carlo, dottore in legge anche lui, ma poi consacrato sacerdote in quella chiesa dove dominava il cardinale Giuseppe Siri, con cui collaborò e dal quale aveva non poche distanze in materia di teologia.
Da quella chiesa genovese molto ortodossa e conservatrice, ma fortissima, Cereti se ne andò non senza che quella partenza, che Blitzquotidiano ha già raccontato, fosse riassunta un po’ esageratamente come uno strappo, mentre era la scelta di un prete che studiava molto, ma che voleva anche conoscere il mondo del suo ministero. E infatti, erano gli anni Sessanta-Settanta, dopo essere stato anche nell Ufficio stampa di Siri, il giovane Cereti se ne andò in Africa, in missione.
Aveva in testa la sua idea e nella valigia i testi per interpretare meglio il “verbo”, la parola di Dio e della Chiesa nella materia delicata che tanto lo aveva colpito nei primi anni del suo sacerdozio da giovane curato in una chiesa della periferia genovese, e prima ancora in una missione nel profondo entroterra genovese, in una di quelle valli che il sole lo vedi poco e la chiesa è una sola e magari è nel cuore di un pugno di case abbarbicate su quelle colline che respirano un po’ l’aria del mare che viene da giù e quella dei monti freddi, che viene da su.
Di quella missione mi è rimasto sopratutto un episodio – scrive e racconta don Cereti, quasi sessanta anni dopo – la visita ad una coppia piuttosto anziana, composta da quelli che ci erano stati segnalati come pubblici peccatori della parrocchia, gli unici. Vivevano assieme da qualche decennio, ma la loro posizione non poteva essere regolarizzata……
Ricordo l’aria da cane bastonato di quella donna, al vedersi arrivare il missionario, ricordo lo stupore dell’uomo o il suo atteggiamento di benevolo compatimento ed accondiscendenza, allorché gli chiedevo, secondo i buoni insegnamenti ricevuti, se era disposto a vivere con quella donna “come fratello e sorella”, visto che alla loro età e malandati com’erano, non potevo certo chiedere loro di separarsi.
Cereti tornò felice da quella missione: era convinto di avere ottenuto qualcosa di importante, ma il parroco di quella chiesa sperduta lo gelò. “Il parroco rifiutò ugualmente che venisse data loro la comunione, se volevano andassero in un’altro paese, ma lì tutti sapevano che quei due «non erano in regola»…..”
Il giorno stesso di quella missione con delusione il giovane don Cereti, fece il suo ingresso in quella chiesa della periferia genovese, dove sarebbe rimasto sei anni. E cosa lo colpì di quel servizio nel quale tu diventi uno della famiglia, le gioie, i dolori di un numero incredibile di persone fanno irruzione nella tua vita, nel tuo cuore e restano installate per sempre?
Una famiglia di origine nordica – racconta Cereti – tanti ragazzoni, il più giovane avrà avuto venti anni. Vivevano appartati, ma circondati dalla stima di tutti. Solo pochi trattenevano il loro segreto dopo tanti anni…..esclusi dalla vita di comunità per una situazione irregolare, che non si poteva assolutamente sanare.
Il giovane prete che maturava le sue idee, impattando la realtà sociale di quel mondo italiano, genovese, cattolico romano, periferico se vogliamo, ma rispondente a un modello di famiglia che emergeva per le sue difficoltà, rimase colpito da tante altre storie simili.
Una famiglia napoletana, anche quella con parecchi figli, e la donna veniva sempre a piangere sul proprio caso e mi chiedeva se proprio non poteva essere mai più riammessa alla comunione: era rimasta sei mesi con il marito, poi era venuta via con quell’altro: erano passati venticinque anni, avevano allevato insieme tanti figli, non c’era proprio nessuna possibilità di remissione per gli errori della giovinezza?
E’ qua che si inchioda la battaglia di Giovanni Cereti, che nasce non solo il suo percorso nella storia e nella teologia per trovare una soluzione al tema che scopre così urgente, così diffuso nella base primaria della chiesa.
Restava la speranza del Tribunale Ecclesiastico dove lavorai per qualche anno e dove c’erano preti che incarnavano in maniera straordinaria la misericordia della chiesa. Ma l’approccio giuridico, l’indiscrezione e la freddezza quasi burocratica con cui si era costretti a entrare nella vita più intima e segreta di tante persone, gli abusi….l’ipocrisia di dichiarare nulli dei matrimoni per delle motivazioni che non avevano nulla a che fare con le vere ragioni del fallimento coniugale……mi convinsero che tutto quello aveva ben poco a che fare con il Vangelo…
Eccola qui la svolta, che porta il giovane prete genovese di quegli anni, in qualche modo pre-moderni, prima delle turbolenze sociali ed anche di quelle in seno alla Chiesa nella quale Siri era un campione di conservazione e partivano i primi fermenti dei “camillini”, dei cosiddetti cattolici del dissenso, dei preti anticonvenzionali come don Agostino Zerbinati nella parrocchia di Oregina o il futuro mitico don Andrea Gallo, allora rivoluzionario in erba, a imboccare la strada della ricostruzione storico-pastorale per riformare un pezzo del catechismo.
Ma ci vuole, appunto,sessanta anni dopo, Papa Francesco, che viene dal mondo alla fine del mondo per capire bene quella battaglia per dare la comunione ai divorziati, per fare di quella materia delicata uno dei temi del Sinodo in corso, un dibattito-scontro nel quale improvvisamente, ma non tanto, don Giovanni Cereti, divenuto nel frattempo con umiltà e silenzio e dopo non poche traversie e censure, Rettore dell’Abbazia dei Genovesi in Trastevere nella prestigiosa chiesa di San Giovanni Battista, può esercitare il suo ruolo.
E’ il cardinale Walter Jasper – spiega oggi Cereti – a spingere perché questo dibattito, nato nella prima tornata di ottobre del Sinodo, non si spenga perché si discuta molto, ci si confronti, se ne parli di come affrontare nei temi così delicati anche quello dei peccati, della penitenza, dei sacramenti ai divorziati….
Cereti non parla certo a caso, raccontando la sua lunga storia ed è il Papa stesso, proprio negli ultimi giorni, a dimostrare quanto urgente e importante sia il tema, con la sua intervista a Elisabetta Piquè, la corrispondente argentina de La Nacion di Buenos Aires a Roma.
L’intervista, pubblicata in Italia anche da Repubblica è proprio intitolata “Ai divorziati diciamo troppi no, ora la Chiesa deve aprire le porte” e Francesco spiega bene sui divorziati:
Che facciamo con loro, che porta si può aprire? C’è un’inquietudine pastorale: allora gli andiamo a dare la comunione? Non è una soluzione dargli la Comunione. Questo da solo non è la soluzione, la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco….
Se racconto questo, sarebbero scomunicati di fatto. Bisogna aprire di più le porte. Perchè non possono essere padrini? Che testimonianza darebbero al figlioccio? La testimonianza di un uomo e una donna che dicano: Guarda io mi sono sbagliato, sono scivolata su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti…ma che testimonianza è questa. Se arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta?E che testimonianza darà al figlioccio? Testimonianza di corruzione? (La Nation – La Repubblica)
Parole del Papa Francesco, chiare, anche dure, anche molto attuali nel riferimento ai corruttori di oggi, che possono fare i padrini, comunicarsi, mentre il divorziato sta ai margini, soffre, come racconta nel suo lungo vissuto don Cereti. Ma lei è sicuro don Cereti, che il Papa si è anche convito leggendo il suo libro, lei lo ha incontrato questo Papa che riconosce la sua battaglia e la fa sua? Cereti è umile, ma fermo e per nulla ambizioso:
So che lo ha letto, mi hanno raccontato che non ha dormito per finirlo…ma non l’ho incontrato, e questo non è importante….So che il Papa lo ha anche fatto sintetizzare e Kasper mi ha citato…..Dicono che Kasper rappresenta la chiesa tedesca, ma credo che lui faccia parte della Chiesa universale e se quindici sono i voti di Kasper e ottantacinque gli altri sul tema delicato della comunione ai divorziati, questo vuol dire che quel cardinale è impegnato nella Chiesa di tutti.
Cereti è sereno, sembra come uscito da quel cono di ombra in cui lo avevamo nascosto proprio per le posizioni coraggiose e allora controcorrente assunte in tanti studi in tanti libri su questa questione ora riemersa e più in generale su quelle della penitenza, dei peccati da assolvere. “Oggi ripubblicano i miei libri – spiega – e ieri non potevo scrivere su nessun giornale cattolico su Avvenire, sull’Osservatore Romano, sono stato tenuto lontano da trent’anni…”
Non solo: ci sono anche riconoscimenti che vengono da lontano, da teologi severi, profondi, assoluti nelle loro convinzioni come rocce nella dottrina cattolica, del peso di Henry Crouzel, un monumento della dottrina che avversò sempre la tesi “liberatoria” di Cereti nei suoi scritti, ma che prima di morire si rammaricò del fatto che quel suo giovane avversario non avesse continuato la sua ricerca storica nella chiesa detta la grande Chiesa o chiesa primitiva, quella dove le regole sui peccati, sul peso dei sacramenti avevano uno spessore originale, quello che, recuperato oggi, consente le aperture.
Il punto è la storia della Chiesa. Lì studiando, approfondendo, ricostruendo, collegando Cereti ha trovato la strada che, forse, ha contribuito a convincere Papa Francesco. Quella strada porta a assolvere da ogni peccato, a trovare nel sistema penitenziale il contrappeso, nella misericordia la chiave per perdonare.
Non c’è una legge indistruttibile nella Chiesa cattolica – spiega Cereti, usando l’esempio dell’ostia consacrata – Nella Chiesa l’ostia consacrata è per sempre. E’ una presenza reale del corpo di Cristo. Ma se con il tempo quell’ostia ammuffisce, si corrompe nella sua materia, allora perde quel suo valore e neppure il papa potrebbe farla rivivere.
Solo con la grazia dei sacramenti si può riconsacrare. Lo stesso vale per il matrimonio, la cui grazia è la volontà degli sposi. Finchè perdura quella grazia il matrimonio vive, ma se gli sposi si separano, formano una nuova famiglia, si distrugge quel sacramento, si rompe il vincolo. Come l’ostia che si è corrotta per il tempo che ne ha consumato la materia…
A questo punto interviene la penitenza le cui radici si sono trovate nella storia della Chiesa Primitiva o Grande Chiesa. I Tribunali Ecclesiastici non erano adeguati a trovare questa penitenza e il papa ora sta imboccando quella strada, seguendo il sacramento della penitenza, oggi chiamata riconciliazione. “Una volta i Tribunali ecclesiastici esistevano solo in 11 stati del mondo e quindi era difficile lavare quei peccati. Solo la Chiesa inglese ammetteva che si potesse intervenire…”
Ma prima di allora? La Chiesa, Grande o Primitiva, perdonava e come racconta Cereti, quella rimessione dei peccati gravi come la rottura del matrimonio risale al famoso Concilio di Nicea del 305, quando l’imperatore Costantino decide di recuperare gli eretici e tra questi i Novazionisti, seguaci di Novazio, scismatico, anti papa, per i quali i peccati che non si possono rimettere sono l’apostasia, l’adulterio e l’omicidio.
Per rientrare nella Chiesa il clero novaziano dichiara per iscritto e accetta anche le seconde nozze. Quel documento prova che nel profondo della storia patristica c’era un’altra strada davanti al matrimonio che si rompe: una strada di penitenza o di perdono. Ma perchè poi quell’impostazione fu misconosciuta e dobbiamo arrivare al terzo Millennio e a Papa Francesco per riporre il problema e ripescare quella storia tanto antica e ombelicale?
Bisogna ricordare che nel secondo millennio, per esempio, il matrimonio civile non esisteva. Ci si sposava solo in Chiesa. Fu Napoleone a introdurlo e in Italia arrivò solo nel 1965. In quel quadro il vincolo e le sue conseguenze per chi lo stringeva erano intoccabili, per sempre.
E ora cosa succede? Il Sinodo ha riportato al centro la questione? Il sinodo dura un anno e un anno durerà la discussione anche su questo. Francesco ha riaperto la discussione e la Chiesa finalmente discute, contrapponendo chi vuol cambiare a chi vuol conservare: Jasper da una parte e gli altri, Scola, Cafarra, Burke, dall’altra parte. Cereti sorride e incita a alimentare la discussione.
Chiarisce anche che la penitenza che potrebbe lavare quel peccato e riammettere ai sacramenti i divorziati può essere qualcosa che viene deciso dal vescovo e non sarà semplicemente la recita di qualche preghiera, ma magari l’impegno a leggere ogni sera per i coniugi un pezzo delle sacre scritture.
La strada per arrivare a questo è stata lunga, gli studi approfonditi, un libro dopo l’altro, un cammino difficile dentro alla Chiesa, l’approdo in questa splendida Abbazia nel cuore di Trastevere mica tanto facile, l’incarico formale di rettore arrivato vincendo qualche resistenza molto altolocata a questo sacerdote schivo, a lungo considerato un dissidente, ma mai rassegnato a non andare avanti nel suo ministero più aperto. “Ora chiedo solo che si discuta, che il grande dibattito non si spenga, che i mass media se ne occupino – chiude Cereti dietro la sua scrivania – lo chiede il cardinale Jasper e non solo lui.”
In realtà lo chiede anche il Papa, sulle cui idee le intrerpretazioni giustamente si contrappongono. Il cardinale Angelo Scola, suo concorrente al sommo soglio due anni fa, oggi arcivescovo di Milano, saggio tradizionalista dichiara in una forte intervista al Tg1 dei giorni scorsi che “sono sicuro che il Papa non cambierà”.
Ma il papa quasi gli risponde con quella intervista a Elisabetta Piquè sulla Nacion, di una semplicità e chiarezza disarmante. Intanto i dati della Chiesa Cattolica, sfornati proprio nei giorni scorsi, denunciano proprio in Italia il crollo verticale dei matrimoni religiosi e fanno scrivere a Roberto Volpi su Il Foglio che la crisi della famiglia sta portando alla distruzione del matrimonio in Chiesa.
Nel 1963 i matrimoni con rito religioso celebrati in Italia erano 414 mila il 98 per cento della perceentuale assluta. Nel 2013 sono stati 111 mila, il 55 per cento. Ci sarà la crisi economica, lo spappolamento dei valori nella società moderna, ma c’è anche una Chiesa che non si adegua.
Il fulcro del problema è la famiglia, che stenta a trovare anche una nuova definizione. Non sono caduti anche i matrimoni religiosi, ma anche quelli civili: nove per cento negli ultimi cinque anni in Italia. La Chiesa di Francesco combatte grandi e piccole battaglie per resistere, ma lo scontro è durissimo. Cereti lo sa, ma continua, sorridendo, la sua crociata.