GENOVA – Sarà stato perché Matteo Renzi era appena sbarcato nella “sua” Liguria a Savona, sarà perchè quella parte della Riviera di Ponente, in età matura, lui ha incominciato ad amarla più dello sprofondo decadente genovese, sarà perché la sua incessante azione politica vive da decenni di esplosioni e poi di eclissi, fatto sta che Burlando Claudio, 57 anni, presidente della Regione Liguria da sette anni, ex sindaco, ministro, segretario del Pci, ex dalemiano di ferro, è entrato a piedi uniti in un dibattito politico dal quale si assentava volentieri: e ha annunciato che lui è pronto a rottamarsi, che non vuole più candidarsi ad essere il presidente dei liguri nella prossima tornata, che, attenzione, è distante ancora tre anni.
Il grande annuncio, che rompe un silenzio sul partito Pd del suo maggiore azionista ligure e genovese da lustri interi, è avvenuto nientepopodimenoche alla Festa dell’Unità, meglio detta Festa Democratica, quel rimasuglio di grande kermesse post Pci, post Pds, post tutto, dove era assente da anni e anni.
Burlando, un ingegnere in aspettativa da decenni presso la Elsag, enfant prodige del Pci duro e puro della Genova operaia e portuale (suo padre Carlo era un camallo) e poi di seguito uomo potente dalle grandi salite e poi dalle vertiginose discese nell’agone politico, è di fatto il leader politico più potente della Liguria decadente di questi tempi.
Governa dal 2005 la Regione con uno slogan tutto un programma: “Difendiamo la Liguria dove è come è”, che poteva essere interpretato: non muoviamoci, lasciamo tutto come è, che questa terra ha in sé le carte per progredire da sola. Altro che il grande storico francese Fernand Braudel, appassionato di Genova e Liguria, il quale aveva indicato nel mare e nello sviluppo dei grandi traffici l’estensione della Liguria in ogni direzione.
Dopo la caduta di Claudio Scajola, al quale lo legava un asse molto pragmatico, è rimasto solo lui a rappresentare la Liguria fuori dai suoi confini, considerata la scarsa personalità dei parlamentari eletti nei diversi schieramenti e la difficoltà dei sindaci di Genova, Savona, Imperia e Spezia a farsi un’immagine decente a Roma.
Qualche chance in più in questo senso un tempo l’aveva il primo cittadino di Portofino, ma anche quella moda è passata…..
Genova resta quel posto lassù, verso la Francia e la Corsica, appunto near Portofino, come denunciava già negli anni Settanta il fiscalista genovese Victor Uckmar, per sottolineare l’inconoscibilità genovese nel mondo, “con il mare che si muove sempre e non sta mai fermo”, delle canzoni di Paolo Conte e delle delusioni di tanti.
Rientrato a casa dopo gli alterni anni romani, nei quali aveva toccato il suo apogeo a metà dei Novanta, diventando ministro dei Trasporti nel governo Prodi-Ciampi, e segnalandosi con l’operazione (digraziata) di Malpensa e con un’altra molto fortunata (il doppio registro navale), un po’ sbiffato dal suo talent scout D’Alema e uscito dal governo nel 1997, con la caduta di Prodi, l’ex ingegnere, sogna ora forse un secondo clamoroso accosto romano, o che altro ha in testa, se annuncia il suo addio alla Regione con una autorottamazione locale che lascia aperti molti dubbi.
Questa improvvisa estroversità di un leader politico, che tra i primi aveva capito la progressiva difficoltà del suo Pd e se ne era operativamente allontanato, occupandosi di battere il territorio palmo a palmo con tutte le insegne addosso del “Governatore” e non più dell’ex giovane leone postcomunista, il più giovane segretario di sezione Pci mai eletto, uno dei più giovani segretari di Federazione della monumentale storia comunista genovese, sindaco quasi imberbe per pochi mesi prima del clamoroso arresto del 1992, cancellato da un proscioglimento in istruttoria in una delle piccole tangentopoli genovesi, Burlando stava al suo partito come Francesco Giuseppe o il generale austriaco Radetzky alla Carboneria.
Negli ultimi anni contatti minimi e una certa schizzinosità, provocata anche dalla preesenza come sindaco genovese di Marta Vincenzi, che fu, a suo tempo creatura di Burlando, ma che era diventata la sua nemica numero uno, una specie di concorrente interna rispetto alla quale c’erano più motivi di scontri che sintonie, pur governando i due nella stessa città gli enti più importanti, sotto le stesse bandiere.
L’ex ingegnere se ne stava alla larga dalla sua città, dove era nato nel rione sulle rosicchiate colline genovesi di Pedegoli, a monte del tragico rio Fereggiano, quello che undici mesi fa ha seminato morte e distruzione nel cuore della città con l’ultima alluvione, provocando la fine della sua concorrente Marta Vincenzi, SuperMarta così come Claudio era stato “nominato” SuperClaudio da giornalisti un po’ tanto ruffiani, prima della sua caduta dal trono nel 1992.
Da allora, in qualche modo Burlando si è liberato, incominciando a tessere una trama genovese diversa da quella gettata sull’intero territorio ligure con le stigmate del presidente ecumenico che a Ponente va a fare accordi con Scajola e a Levante mette in cappello sulla eccezionale operazione delle Cinque Terre, diventato il must turistico numero uno nel Nord Italia, fino al momento che il presidente del Parco, Franco Bonamini cade nella ennesimo scandalo giudiziario.
Burlando sguscia via da ogni vicinanza scomoda. Ma che colpa ha lui, riuscito nel 2007 ha venir fuori dall episodio grottesco del “contro mano “, imboccato in uno svincolo autostradale, preso a rovescio in una domenica invernale che poteva segnificare un grave incidente di immagine e che invece diventò una utile eclissi per il presidente, poi autorigeneratosi nel prosieguo della legislatura?
Che colpa aveva lui, se Scajola inciampava nella operazione “a sua insaputa” e poi nelle sabbie mobili del maxiporto di Imperia che anche Burlando aveva inaugurato, impettito come un soldatino nella cerimonia a fianco dell’allora potente ministro berlusconiano, del blaggeur Francesco Bellavista Caltagirone, il costruttore romano che la magistratura di Imperia sta trattandso come il Conte di Montecristo, sepolto nelle carceri a 75 anni anche quando l’operazione porto sta oramai trovando altri padroni e una soluzione finanziaria che salvi baracca e burattini di una catastrofe edilizio-urbanistica-morale?
Via Scajola, via la Vincenzi, arrivato al trono di Tursi un marchese postdiseredato come Marco Doria, la cui invenzione come candidato alternativo alla Vincenzi e all’altra zarina in corsa per Genova, la senatrice Roberta Pinotti, qualcuno fa perfidamente risalire a lui, al Governatore, stufo di intrerlocuzioni sbagliate nel suo regno, ha colto la palla al balzo e ha sciorinato la sua nuova tattica politica.
Oggi il Pd genovese e ligure vede l’avanzata di un gruppo di giovani turchi (una volta li avrebbero chiamati così), un segretario regionale Lorenzo Basso, di 35 anni, nella manica di Bersani, cattolico, consigliere regionale, uno di quelli che la Vincenzi definiva quaquaraquà del Pd, un commissario provinciale Giovanni Lunardon, coetaneo, sposato con la pimpantissima avvocatessa Sara Armella, presidente della Fiera di Genova, fiscalista, e poi altri volenterosi trentenni, quarantenni, già esperti di assessorati e partiti, come Simone Mazzucca, Simone Farello, Victor Razzetto, Massimo Morettini, insomma una nuova guardia pronta a scavalcare la generazione Vincenzi-Burlando. A questi l’ingegnere-presidente della Regione si rivolge, chiedendo che gli trovino un successore in Regione e che rilancino il partito. E quando mai negli ultimi sei sette anni Burlando aveva rivolto le sue attenzioni al partito? Del Pd nuovo di zecca non aveva mai frequentato riunioni e vertici e neppure corridoi segreti, osservando tutto dal quarto piano del palazzo regionale, in quel luogo che una volta era nella piazza De Ferrari di mezza storia genovese e ligure, l’ombelico del mondo dei trasporti: c’era la sede della Compagnia di Navigazione Italia che faceva viaggiare la flotta di Stato verso le America e l’Asia.
Era, quel palazzo, un po’ come è stato negli anni Novanta l’aereoporto di New York. Di lì si partiva per viaggiare il mondo. Oggi invece ci sono gli uffici regionali e il trono di Burlando, che si affaccia al suo balcone, davanti alla fontana dei caroselli anni Sessanta, 30 giugno, della polizia celere di Scelba contro i camalli della Culmv, e immagina il suo futuro, unico leader politico genovese ad avere attraversato come una salamandra il fuoco della Prima Repubblica, lo sconquasso della Seconda, le stanze del potere romano, i troni della Repubblica genovese e ad affacciarsi nella terza, quella della rottamazione alla quale, ovviamente, lui si è iscritto per primo.