GENOVA – Il paragone è irriverente, quasi blasfemo sopratutto se visto da sinistra. Pertini, u’Sandru, il “presidente” degli italiani per eccellenza: sei processi, due evasioni. Titolo di un famoso libro sulla sua biografia: Claudio Scajola, u’minustru di Imperia, tredici processi, dodici assoluzioni.
Manca al leader del Ponente ligure, sepolto, appunto, dai processi a partire dal lontano 1982 e sempre riemerso innocente, prosciolto, prescritto, assolto, come quel cartoon di “Ercolino sempre in piedi”, solo il verdetto finale dell’ultima storia, quella del suo presunto favoreggiamento a Antonello Matacena, ex deputato forzista, marito della bella Chiara, latitante questo deputato, tra Dubai e Beirut.
Manca quel finale che Scajola attende con una inellutabilità tra l’ironico e il passivo, arroccato nella sua villa anch’essa superindagata sulla dolce collina di Imperia Oneglia come l’ultimo, ma sarà veramente l’ultimo?, passaggio di una vicenda giudiziaria infinita, l’altra faccia della sua carriera politica, al momento interrotta, meglio parcheggiata tra gli ulivi, la piscina, il buen ritiro ponentino di quello che è stato uno dei fondatori di Forza Italia, quattro volte ministro berlusconiano, cinque volte deputato, da quando aveva i calzoni corti attivista politico della Dc, presidente di ospedali, sindaco di Imperia, stratega di un territorio le cui fortune sono legate a lui, questo “ercolino” di 67 anni, una moglie fedele fino al più fastidioso martirio mediatico, due figli Piercarlo e Lucia, sempre al suo fianco, scudi umani per “u minustru”, lei giornalista acuta e pentita del suo mestiere per quel che ha visto intorno al padre, lui più in ombra, ma sempre un passo di fianco al padre mentre arrivano le freccie.
Gli Scajola, una dinastia del potere rivierasco diventato potere italiano con lui e ora, durante la sua eclisse, giunta alla quarta generazione con il nipote Marco appena nominato assessore all’Urbanistica della Regione Liguria, appena deburlandizzata, passata fianco destr sotto il segno di Giovanni Toti, uno Scajola 2,0 come organizzatore di partito, venti anni dopo.
“A settembre tornerò in politica” – ha confessato lo Scajola numero uno al “Il Secolo XIX” dopo l’ultima assoluzione che spazza via una vicenda ridicola rispetto al resto: la ricettazione di un’anfora romana trovata nel suo giardino durante un blitz di ben 14 finanzieri piovuti a casa sua subito dopo l’ennesino scandalo e alla ricerca di scottanti dossier che secondo l’accusa il ministro aveva nascosto dai suoi tempi al Viminale per teneredi sotto scacco gli avversari politici. Non trovarono nulla di rilevante .
Come potrebbe non tornare Scajola in questa sua lunga storia di eterni ritorni proprio ora che la sua Liguria è stata conquistata dal centro destra di Giovanni Toti, appunto, in qualche modo un suo successore al soglio berlusconiano, ora che le accuse cadono e che il tempo allontana o meglio attutisce le accuse non certo giudiziarie, formali e processuali che gli sono rimaste appiccicate addosso per quella frase-emblema “ a mia insaputa”, pronunciata all’esplosione dello scandalo della casa al Colosseo e per quelle intercettazioni che lo legano all’acquisto, da parte della sua scorta, delle calze della bella Chiara Matacena e che provavano un legame molto stretto con la lady che faceva impazzire Montecarlo.
Oggi Claudio Scajola appare come una specie di bersaglio fisso di tante inchieste giudiziarie, dalle quali è uscito indenne e che coprono uno specchio di accuse impressionante: dal controllo degli appalti per affidare la gestione dell’allora tentacolare Casinò di Sanremo, alla mancata scorta per il giuslavorista, poi ucciso dalle Br, Marco Biagi, alla frode fiscale, alla truffa, al finanziamento illecito dei partiti e via andare. Da sindaco di Imperia a ministro del Governo berlusconiano con dietro sempre le Procure all’inseguimento di ipotetici reati….
Ma tutte queste accuse sono alla fine andate a vuoto dopo anni di crocifissioni mediatiche, di processi, di Procure mobilitate a Milano, Roma, Perugia, Imperia ovviamente e quel che resta, mentre il protagonista si affaccia dal cancello del suo giardino di Villa Ninina, sono appunto le frasi storiche come quel “ a sua insaputa” che resterà un tormentone. Scajola appare anche come un resistente giudiziario, che, stando aggrappato alle carte dei suoi processi, con testardaggine quasi ossessiva, è riuscito a uscirne sempre, attraversando i cerchi di fuoco.
I cronisti lo ricordano dopo il clamoroso arresto del 1982, quando i carabinieri andarono a prenderlo in Comune e lo portarono in una caserma di Milano, quella storica di via della Moscova, dove stette tre settimane senza sapere neppure di cosa lo accusavano. “Per non impazzire mi piantavo le unghie delle mani nei polsi, mi davo dolore per restare cosciente e vigile.” _ avrebbe raccontato, quando quell’ avventura si concluse con il proscioglimento in istruttoria e lui tornò a Imperia per la prima della sue risalite. Da zero a sindaco di nuovo con una lista civica che intanto la “sua Dc” stava sparendo.
E quando scoppiò il caso Biagi, nel luglio del 2002, dopo quella fatidica gita a Cipro con i giornalisti a seguire il vertice del ministro dell’Interno, gli stessi cronisti lo ricordano ammutolito o quasi nel suo storico giardino di quella villa imperiese, con la moglie che accoglieva gli amici al cancello e confessava, con un filo di dramma: “E’ morto dentro…..”. Lo scandalo di quella frase sul martire delle Br, a suo dire l’equivoco di averla riferita ma non pronunciata direttamente. Glielo aveva detto un altro ministro del suo governo, Roberto Maroni che Biagi, la vittima caduta sotto il fuoco vigliacco delle br era un rompic…” e lui ora pagava…
E lo sconcerto più grande dopo avere detto “ a mia insaputa” su quell’acquisto della casa di via Fatugale, vista Colosseo per quei 900 mila euro pagati dalla cricca al ministro e di cui il ministro appunto non sapeva. La croce che porterà, comunque, per sempre perchè lì non c’è assoluzione che tenga nell’immaginario collettivo il leader di Imperia resta “ a sua insaputa” e lo schema di chi non sa o finge di non sapere quanto gli è capitato di bene o di male nei business ma anche nel resto della vita richiamerà inesorabilmente il suo nome, Scajola Claudio, la casa con vista Colosseo…Comici, battutisti, politici, amici, nemici, tutti a usare a proposito o no “a mia insaputa”.
E poi l’equivoco più pruriginoso con la bella bionda Chiara Rizzo di mezzo, il giallaccio del marito latitante da trasferire da Dubai a Beirut con lo snudamento di quelle intercettazioni che facevano cadere il velo dei rapporti tra il sessantenne ex ministro e la bella signora in crisi coniugale e giudiziaria. Rapporto di protezione o che altro. sul filo che corre tra Imperia e il Principato con le scorte che vanno avanti e indietro e le segretarie del ministro che confessano il loro imbarazzo e i piccoli favori come le calze da comprare per lei, intanto che si devono incontrare…..
Tutto fotografato, descritto, raccontato mentre i flutti delle altre inchieste continuamo a abbattersi su Scajola, che resiste impavido nel giardino della sua villa fortezza. “Se mi attaccano sempre, se cercano di processarmi in continuazione qualcosa vorrà dire _ ha sempre spiegato da lassù mai reticente nel concedere interviste, spiegazioni _ Si attacca chi fa qualcosa, chi cerca di lavorare, di cambiare le cose…..”
Come per esempio di realizzare il suo sogno: il porto di Imperia, opera kolossal, che lui sognava da bambino e che alla fine nell’età matura riesce a far partire, coinvolgendo Francesco Bellavista Caltagirone, il grande imprenditore romano e convicendo le amministrazioni imperiesi che su questa vicenda si avviteranno in un caso clamoroso: il più grande porto nautico del Mediterraneo mezzo costruito, quasi concluso, trafitto da un numero di processi senza fine, penali, amministrativi, politici, dalla Procura alla Corte dei conti, con Caltagirone Bellavista settantenne arrestato e detenuto per mesi. Detenuto sttantenne, messo in ginocchio con le sue aziende che saltano come la celebre “Acqua Marcia” e che alla fine viene assolto completamente, prosciolto, come Scajola che nella vicenda che consuma un paio di giunte imperiesi, era entrato più marginalmente, ma che alla fine esce del tutto, mentre il porto non è finito, è la più grande incompiuta ligure.
Sulle ceneri di questa vicenda si sono bruciate carriere, società, maggioranze politiche, accordi trasversali tra leader diversi in un guazzabuglio tanto grande che un magistrato come Giancarlo Caselli, in quel caso Procuratore capo a Torino è venuto a Inperia a interrogare imputati e indagati in un processo laterale a quello del porto, dove spuntavano i tentacoli della piovra mafiosa e nadranghetosa, la stessa che stava portando allo scioglimento dei comuni della Riviera, Ventimiglia, Bordighera e allo scandalo di Ospedaletti, che faceva cadere la vice presidente di centro sinistra della giunta regionale, la dipietrina Marilyn Fusco, la vice del presidente Burlando…..
Insomma un inferno che sembrava sepellire tutta la provincia di Imperia in un sospetto inestricabile. Tutto questo lui, u’minustru, osservava dalla sua collina accerchiata e violata anche dalle perquisizioni dei finanzieri che volevano scoprire, appunto, quei dossier che si era portato via dal ministero e che gli sarebbero serviti – secondo altre accuse delle tante sparategli addosso – a tenere sotto scacco i “nemici”, tra i quali anche deputati e onorevoli della sua maggioranza, il sanremese Eugenio Minasso, ex Msi e Gigi Grillo, il suo rivale di sempre dentro Forza Italia e in Liguria. Scajola e Grillo le due parabole berlusconiane schiantate per un destino incredibile nello stesso giorno, l’8 maggio del 2014, quando Scajola venne arrestato a Roma e Grillo a Milano per due vicende lontane e vicine: l’imperiese per lo scandalo Matacena, Grillo per gli appalti dell’Expò milanese.
Quel giorno di quindici mesi fa sembrava che tutte le storie piovutegli addosso, una dopo l’altra, per trenta anni, avessero finito con il sepellirlo definitivamente, Claudio Scajola, altro che tre volte nella polvere, tre volte sull’altar………U ‘minustru stava ruzzolando per la dodicesima volta giudiziariamente e quello era il secondo arresto dopo il precedente lontanissimo degli Anni Ottanta.
Cinquanta giorni di detenzione, con i domiciliari lassù a studiare le carte come un certosino, tra il fuoco nemico delle intercettazioni e quello amico dei processi che si risolvevano uno a uno nelle Procure di Imperia, Roma, Perugia.
Resta questo processo finale, attestato al Tribunale di Reggio Calabria per favoreggiamento alla latitanza di Antonello Matacena. Ma Scajola ha già annunciato che torna. Farà politica ancora, chissà come, ma sicuramente partendo da là sopra, Diano Calderina, collina di Imperia. Intano il nipote governa la Liguria, sta nel cerchio magico di Toti.