Certo quella che sta percorrendo il timido e un po’ tremebondo monsignor Francesco Moraglia, tra il Golfo dei Poeti spezzino e la laguna di Venezia è una strada imprevedibile, lungo la quale egli ha battuto una delle concorrenze più agguerrite che si potessero immaginare. Il Patriarcato di Venezia non ha molte anime da amministrare, ma invece molto lustro con il quale spolverarsi la tonaca, e non sono casi rari che Roncalli, uno dei papi più importanti del Novecento e Luciani siano venuti anche molto improvvisamente da lì, tra l’altro Roncalli superando il favorito di quel complicatissimo conclave del 1960 nel quale – guarda caso – era pronosticato l’allora giovanissimo genovese, Giuseppe Siri, da tutti visto come il successore di Pio XII, Pacelli, papa della guerra, delle sue immani sofferenze, riassunte dalla sua tonaca insanguinata sotto i bombardamenti a san Lorenzo, ma anche dalle violente polemiche sul suo atteggiamento a proposito delle leggi razziali.
Moraglia ha “sorpassato” su quella via monsignori e vescovi del calibro di Gian Franco Ravasi, già considerato un candidato per la successione di Tettamanzi e Bruno Forte, vescovo di Chieti, considerato, invece, una delle teste più fini della Chiesa italiana e lo stesso monsignor Vincenzo Paglia, uno dei fondatori della Comunità di sant’Egidio, colui che è andato a celebrare i funerali recentissimi di Oscar Luigi Scalfaro.
Invece a Venezia ci va questo ex seminarista di Siri, consacrato da lui e da Bagnasco, quarto di quattro fratelli, tre dei quali avvocati, come il padre Enrico arrivato a Genova dal Ponente ligure del quale la madre dice: “I miei altri figli, Paolo, Rosy e Maria Vittoria sono avvocati, lui è diventato avvocato di Dio”.
Era salito presto al seminario del Righi, la collina genovese che sta dietro al quartiere borghese di Castelletto ed aveva avuto come professori don Baget Bozzo insegnate di teologia ed anche un giovanissimo Angelo Bagnasco, che insegnava Logica nello stesso Biennio di teologia. E’ un tradizionalista, Moraglia, cresciuto in questa culla genovese, vezzeggiato dall’allora assistente di Siri, don Mauro Piacenza, poi giovane curato nella Chiesa sotto casa, dove tuonavano, davanti ai propri parrocchiani delle più ferventi e ortodosse famiglie genovesi nella borghesia più cattolica, come i Costa delle navi e i Dufour delle caramelle, parroci dai toni severi e dove sarebbero serpeggiati, non a caso, negli anni Sessanta i primi dissensi dei futuri sessantottini, cullati a loro volta in quel crogiuolo di tensioni religiose e sociali, dai preti anti siriani, appunto il fiammeggiante don Gallo e il dolce don Giacomo Piana?
Moraglia ha sempre avuto un aplomb di conservazione, con il “colletto alto”, come si diceva allora e come ha raccontato con dovizia di particolari Bruno Viani su “Il Secolo XIX”. Allora nella chiesa genovese conservatori e progressisti si differenziavano un po’ come genoani e sampdoriani e le discussioni erano animate. Si racconta che Moraglia perfino mettesse in difficoltà i professori nelle discussioni teologiche più avanzate.
Oggi la Chiesa è molto diversa e sicuramente in Vaticano la partita la stanno vincendo i conservatori di allora, anche se un cardinale come Angelo Bagnasco, non si può ascrivere a quel partito e a nessun altro nel suo ruolo sempre più alto di mediatore. Oggi la Chiesa genovese e ligure, diventata inopinatamente così potente dentro a quella romana e vaticana, sforna personaggi a sorpresa che vanno a assumere ruoli così importanti dentro e fuori le mura leonine. Non solo nel nobile patriarcato di Venezia, ma anche molto più terra terra, tra i poteri più materiali che ci siano.
E così, accanto ma ben lontano per ruolo da Moraglia, ecco rispuntare quel Marco Simeon, trentatreenne, anche lui in arrivo dal Ponente, figlio di un benzinaio, protetto anche lui da monsignor Piacenza, diventato a 29 anni grande ispiratore di Cesare Geronzi a Capitalia e a Mediobanca, come ha ricordato Alberto Statera su “Affari e Finanza” di Repubblica, e oggi non solo direttore delle relazioni istituzionali della Rai, ma grande ispiratore della sua zarina protoleghista , la direttrice generale Lorenza Lei. Sotto la protezione, manco a dirlo, di Tarcisio Bertone, intorno al quale ruota tutto, le nomine vescovili e patriarcali, la “longa manus” sulla Rai e perfino quella oggi un po’ ritirata nell’operazione di salvataggio di Don Verzè e del suo san Raffaele. Non avevamo detto che le strade del Signore sono infinite?