E il big one, la maledizione dell’acqua, non poteva non colpire l’ombelico della città di Genova, i quartieri asserragliati tra la collina cementificata e il centro, verso la Foce di un fiume che si chiama Bisagno e il cui alveo era fino a ieri una foresta amazzonica di piante non tagliate.
Quando il cielo è ancora gonfio e nero e quell’ombelico della città sotto già metri di acqua, fango e detriti, alle quattro di un pomeriggio infernale i morti sono sette, tra cui anche un fratellino e una sorellina. Bimbi annegati come topi in uno scantinato riempito d’acqua e fango, mentre intorno il bilancio della sciagura è ancora incalcolabile, bimbi e mamme uccisi da un rio inesistente 364 giorni all’anno, che si chiama Fereggiano, abituato a scorrere sotto le case, tra muri di cemento, palazzi di dieci piani costruiti uno addosso all’altro e che la bomba d’acqua, 450 millimetri in tre ore di pioggia selvaggia, la stessa micidiale misura di nove giorni fa nel Parco delle Cinque Terre sopra Vernazza e Monterosso, ha innescato, facendolo esondare.
E’ uscito dai suoi argini secchi da quasi quaranta anni, salvo rare e brevi eccezioni anche il Bisagno, la cui onda di piena è attesa per il tardo pomeriggio del venerdì da una folla sbigottita che non sa come abbandonare la zona. Non è il Tevere delle ultime paure, non è l’Arno di quella tragedia fiorentina del fatidico novembre 1967, proprio un altro 4 novembre indimenticabile, è un fiume “morto” ingabbiato negli ultimi chilometri del suo percorso fino alla Foce, che sta nel cuore del water front genovese.
E’ un fiume che dal 1970 si è svegliato sul serio solo una volta nel settembre del 1992. Innescato da quella bomba d’acqua molto più veloce a formarsi per via delle rivoluzioni climatiche, è uscito dagli argini insieme al killer Ferreggiano nelle strade e nelle piazze dei quartieri della Valbisagno che a Genova chiamano la valle dei rifiuti, perchè ospitava le centrali della nettezza Urbana, i macelli ed anche il monumentale cimitero di Staglieno e quell’ombelico genovese, si è trovato assediato da due onde violente e impreviste, quasi ritmiche nella loro sequenza.
Il Fereggiano ha ucciso quei bimbi e quelle donne nella stessa strada che porta il suo nome con un’ondata di tale forza da accartocciare centinaia di automobili posteggiate nelle strade che stanno ai piedi della collina cementificata, intorno allo stadio di Marassi, il famoso Galileo Ferraris che per l’altro lato è circondato dal Bisagno.
Il big one della acqua maledetta ha colpito come ci si aspettava nelle previsioni più nere da decenni, in una città costruita in spazi stretti, sopratutto sulle colline cementificate a oltranza, con cattedrali dell’urbanistica più selvaggia erette a mezza costa o addirittura sui crinali, dove i grandi della Repubblica Genovese dei secolo d’oro edificavano i forti della difesa dalle invasioni per proteggersi dagli austriaci e dai francesi, i nemici esterni, mentre gli amministratori del dopoguerra, invece, ci hanno sparso colate di cemento che hanno distrutto l’assetto idrogeologico e permesso ai fiumi e ai rii sconosciuti di gonfiarsi come belve feroci e scatenarsi a valle.
Genova è una città piegata e sommersa dal fango nel cuore di un autunno che segue un’estate rovente, con sbalzi climatici spaventosi,dove la distruzione dei suoi quartieri ombelicali impedisce, verso la sera della grande esplosione, agli abitanti di spostarsi, di tornare a casa. Migliaia di persone per strada, soccorse da vigili del fuoco, carabinieri, mezzi di soccorso che spediscono squadre speciali di sub, fornite di natanti in strade sommerse, dove i danni alla rete commerciale sono incalcolabili. Aspettando l’ondata di piena, la bomba d’acqua che ha colpito già si sta spostando dall’altra parte del Golfo di Genova verso i più popolosi quartieri di Sestri Ponente (colpita un anno fa in modo distruttivo, ma non mortale), verso l’aeroporto e il porto di Voltri e poi, secondo la linea delle previsioni meteo, tutte improntate al nero, verso il resto della Liguria, Savona, Imperia, Sanremo, dove le scuole per precauzione sono già state chiuse.
Un vento di libeccio potente e fragoroso batte la costa, ostacolando il deflusso dei fiumi e dei torrenti che hanno seminato la morte e la distruzione in un mix micidiale simile a quello prodotto il 25 ottobre la tragedia dei dieci morti di Vernazza, Monterosso, Borghetto Vara e che quaranta anni fa provocò la prima delle grandi alluvioni, quella dopo la quale Genova ha incominciato fatalisticamente ad aspettare questo big one.
Una attesa lunga e inquieta durante la quale il “sacco” delle colline, cementificate, non è quasi mai smesso nell’orgia del cemento a tutti i costi, nel mito della costruzione di una città policentrica, il cui centro storico doveva essere svuotato dalla sua vocazione residenziale e i cui quartieri periferici dovevano diventare le nuove aree di abitazione.
Una lunga attesa, intervallata da periodi di siccità, ma anche da alluvioni improvvise e qualche volta letali, come negli anni Ottanta e Novanta, quando morirono ancora bambini e anziani schiacciati nelle cantine o dentro a case impunemente costruite in mezzo agli alvei dei fiumi, come se fossero piste ciclabili e non letti di corsi d’acqua. Tragedia annunciata in una città coperta di cemento non solo sulle colline, ma anche in pianura sopra i fiumi, nascosti, come se sotto scorressero solo le fogne e i topi da fogna e non acqua capace di sfondare il cemento, il tetto stesso del fiume. Tragedia prevista da allarmi continui, da battaglie che una volta chiamavamo ecologiche, poi di equilibrio idrogeologico cercato e mai trovato, combattute anche da rari sindaci come Adriano Sansa, l’ex pretore d’assalto che poi la politica licenziò in quattro e quattr’otto.
La bomba d’acqua era stata prevista, oggi, nel novembre del 4 novembre al di là dello stato di Allerta 2, una specie di carta velina tra la coscienza del sindaco Marta Vincenzi e la vera emergenza? No, perchè altrimenti almeno le scuole sarebbero state chiuse, come è avvenuto in provincia di Imperia. “Non ce lo aspettavamo” _ piange la signora sindaco alle 16,30 al Tg2, mentre i suoi cittadini con l’acqua e il fango ai primi piani della case aspettano l’onda di piena del fiume Bisagno e mandano maledizioni al cielo nero che “balla” sopra la ex Superba, come se dovesse decidere dove far cadere la prossima bomba. Ieri le Cinque Terre, oggi Genova centro, fra poche ore dove? Scende una notte buia, sotto un cielo assassino, aspettando l’onda di piena, con l’annuncio tardivo delle scuole chiuse e il quasi annuncio del rinvio della partita di calcio Genoa-Inter, prevista a mezzo giorno di domenica a Marassi. Lo stadio, il quartiere sono circondati dal fango, dai detriti e il Bisagno ringhia da sotto la copertura del fiume.