GENOVA – L’ultimo sorpasso lo ha fatto a sinistra, senza neppure mettere la freccia: ha scavalcato il sindaco, marchese-rosso, Marco Doria, ex Pci e Rifondazione, oggi “arancione” e gli ha strappato dalle mani la spinosa trattativa con gli autisti dell APT, la società metropolitana del trasporto pubblico, in sciopero duro da quattro giorni. Da sinistra il sindaco non li voleva neppure ricevere e gli sbarrava il portone del nobile Palazzo Tursi, sede del Comune. “Trattiamo solo quando avrete smesso di scioperare “ _ sparava Doria in una città esasperata. E lui, Giovanni Toti, il presidente della Regione, ex delfino di Berlusconi e forse oggi qualcosa di più, si è messo a trattare con i vertici sindacali, ha promesso 600 mila euro di un fondo che poteva andare a coprire il buco che si era aperto nella procedura fallimentare della società dei trasporti e ha sbloccato l’emergenza che stava diventando un vero caso tra la città, gli abitanti esasperati dai continui blocchi di traffico e dai cortei, i lavoratori in lotta e le istituzioni sbarrate.
Vabbè che oramai i termini destra, sinistra non hanno più il valore di un tempo, ma la mossa del cavallo del governatore su quella vertenza ha capovolto la geografia politica di una regione in mano al centro destra con una capitale, Genova, retta ancora da un centro sinistra-sinistra in cui si sta per votare alle Comunali in primavera, con i pronostici tutti sparati sui 5 Stelle, anche e malgrado Virginia Raggi a Roma.
In realtà la mossa di Toti, detto anche “Gas gas” per la somiglianza con il topino dei cartoni animati, non è altro che un altro passaggio della strategia, appunto “totalizzante”, del presidente ligure, il quale occupa tutti gli spazi possibili con una rapidità impressionante. In Liguria si può oramai veramente parlare di un “totismo”, nel senso di una politica che ruota completamente su questo personaggio, paracadutato diciotto mesi fa in Liguria da Berlusconi, tanto per fargli correre, da eurodeputato e speaker di Forza Italia quale era, una dignitosa battaglia elettorale contro il centro sinistra dato per sicuro vincente e diventato, in questo tempo, un asso piglia-tutto. Altro che dignitosa sconfitta! L’uomo del Cavaliere aveva vinto, sorprendendo pure se stesso e ora sta conquistando la Liguria intera.
Toti non domina solo la scena nazionale, con una visibilità quasi esponenziale nella sua frequenza crescente, essendo il referente principale per capire come si muove il post berlusconismo, fronte ex Pdl. E’ invocato e invitato a trasmissioni televisive, talk show e dibattiti su ogni rete, intervistato ogni due per tre dalle grandi testate nazionali.
Non sta in mezzo solo al grande circo mediatico, dalla sua posizione favorita di ex direttore Mediaset, giornalista con la lingua veloce, la battuta pronta, l’attivismo senza soste, i collegamenti giusti e le intuizioni furbe, come quella di fondare, insieme a Maroni e Zaia, governatori di Lombardia e Veneto, la cosidetta “Trilaterale”, nuova entità superegionale, costituita in sorta di superente che interviene sui grandi temi e si piazza quasi come un’alternativa nordista del Governo. Poco importa che la Liguria non ci azzecchi molto con il regno lombardo-veneto, con il quale non confina neppure geograficamente e non ha molte affinità socio culturali. Quello che conta è avere inventato una centralità regionale forte, una macroregione, tra l’altro molto forte sul versante lombardo-veneto, un po’ meno su quello ligure, su molti fronti dell’amministrazione pubblica, a incominciare dalla Sanità, ma continuando anche con le infrastrutture.
Toti è un interlocutore fisiologico e quotidiano nel baillamme della politica nazionale, perchè se non parla lui, chi parla dei postberluscones, in questa fase nella quale il capo centellina esibizioni e discorsi, tra convalescenze e scalate ostili a Mediaset, quando Parisi è stato scomunicato dopo aver fatto tremare un po’ la primogenitura di Toti, quando i Brunetta, i Lombardi non sono esaustivi e gli altri si perdono nel magma del centro destra “coriandolizzato”?
E chi è che tiene ancora il filo alla Lega, un po’ trucida nei temi e nei toni di Matteo Salvini, che a Berlusconi non piace, ma con la quale Toti governa pure in Liguria? E chi ha vinto tenendo insieme quel centro destra spezzettato ovunque, prima conquistando inopinatamente la Liguria e poi anche Savona ed ora si appresta alla battaglia più decisiva di tutte, quella di prendere la ex roccaforte rossa di Genova, contendendola non tanto a un Pd sofferente e esangue, dopo cinque anni di “separato in casa” con il sindaco arancione Doria, ma ai pentastellati, figli del zeneise Beppe Grillo?
Toti è diventato centrale in Liguria e a Genova, dove c’era stata solo una parentesi di destra tra il 2000 e il 2005, con il presidente Sandro Biasotti, un potente autostrasportatore, che vinse le regionali, ma poi non riusci mai a far capitalizzare quel successo su un territorio saldamente in mano al centro sinistra, dove il sistema di potere era tanto radicato che l’allora leader Pd, Claudio Burlando, poi succeduto al Biasotti, poteva fare patti palesi e sotterranei con l’allora fortissimo ministro berlusconiano, Claudio Scajola.
Oggi Burlando e Scajola sono fuori dalla contesa, mezzi desaparecidos dalla politica visibile e il gioco lo mena Toti da solo. Ecco la grande novità.
In Regione la opposizione al suo regno è flebile, malgrado il risicato vantaggio numerico del centro destra nell’aula verde del Consiglio, perchè non c’è un leader o un gruppo in grado di ergersi contro lo strapotere mediatico del governatore. Il Pd si contorce nei suoi tormenti globali e il capo dell’opposizione è Raffaella Paita, proprio la contendente sconfitta nelle regionali del 2015 da Toti. La vittoria a Savona, conquistata da una bella signora scelta da Toti, Ilaria Caprioglio, ex concorrente a Miss Universo, vincente in un’altra roccaforte rossa ligure, ha solidificato la supremazia del governatore.
Che poi la Liguria sia governata bene, questo è un altro discorso che andrebbe approfondito. Ma lo strapotere della comunicazione, la sequenza ininterrotta di comparsate, la fantasia del governatore che sfrutta ogni palla, sia la prima dell’Opera “ Traviata” al Carlo Felice, cui invita perfino la icona Santanchè, sia un allerta alluvionale da gestire nella terra dell’incubo idrogeologico, sia un accordo sanitario con la potentissima Lombardia, riescono a impedire per ora di guardare bene dentro alla gestione ligure. Qui i passi avanti, come quello di inaugurare finalmente un raddoppio ferroviario a Ponente, atteso da trent’anni, è arrivato con chi, se non con Toti e i passi indietro di gestire i dolorosi tagli alla Sanità sono gestiti a tutto gas, dal presidente, che “copre” bene, anche grazie a un apparato di trasmissione che si esalta per la prima volta sui social e nel web più in generale.
Tutto quello che appare è “totiano”, agli altri, compresi gli alleati della Lega e dei Fratelli d’Italia, restano gli avanzi che sono evidentemente sufficienti.
Un po’ si spiega con la diversa caratura di personalità tra l’ex catapultato del Cavaliere e i leader locali, non così appariscenti. Così se non ci sono assessori molto in palla o magari anche un po’ deludenti o confusi questo non emerge troppo: gli attacchi dell’opposizione sono flebili, le proprie carenze mascherate da quella trasmissione continua, da una narrazione che ha solo un verso: in pochi mesi abbiamo fatto quello che Burlando e i suoi non hanno fatto in dieci anni.
La versione trionfante del “totismo” prevede anche l’occupazione dell’industria numero uno della Liguria che è il porto di Genova, unificato dalla recente riforma a quello di Savona in un unico comparto molto strategico non solo in Italia.
Chi è diventato il nuovo presidente di questa super Autorità portuale? Niente meno che il direttore generale della Regione Liguria, Paolo Emilio Signorini, un manager pubblico che Toti si era portato nella reggia regionale di Piazza De Ferrari e che ora si è spostato a palazzo san Giorgio, da dove si governano le banchine genovesi e ora quelle savonesi fino alla grande piattaforma in costruzione di Vado Ligure, ultima propaggine di un vero impero portuale.
Certo: Signorini è stato scelto dal ministro delle Infrastrutture Delrio, renziano doc, ma “di concerto” con il presidente regionale, come vuole la nuova legge che sta ridisegnando il potere portuale.
Dominio senza apparenti contrasti in Regione, influenza inevitabile in porto, fino a Savona. Restava il capoluogo genovese, dove Toti aveva sempre abilmente giocato di sponda, senza tanti scontri diretti con il governo di Marco Doria, anzi gestendo insieme l’ultimo cadeau renziano, quello elargito pochi giorni prima del rerefendum, un pacco di milioni per assestare le opere anti alluvione e per supportare i grandi progetti di sviluppo genovese, la città satellite dell’ hig tech a Erzelli e il Blue Print, grande disegno di Renzo Piano per collegare al centro del Porto Antico, con canali d’acqua, il quartiere della Fiera del Mare. E Toti ha tirato la sua zampata nella trattativa dell’Atp, approfittando anche delle difficoltà di Doria, in bilico sul crinale di una sua ricandidatura da sindaco, che il Pd in maggioranza non vorrebbe più, ma alla quale mancava una alternativa.
E così, tra un’intervista al “Il Corriere della Sera” sulla legge elettorale, una ospitata a Porta a Porta da Bruno Vespa, un vertice a Treviso con Maroni e Zaia per avanzare proposte di riforma fiscale a vantaggio delle Regione, il governatore si è seduto al tavolo con i tramvieri genovesi. E ha sbloccato la vertenza. Sempre a tutto gas.