GENOVA – Si chiama Marco Doria e qualcuno lo ha già battezzato “Il Transatlantico”, alludendo al suo nome e al fatto che è entrato di forza nel mare in tempesta delle prossime elezioni politiche genovesi.
Marco Doria, nuovo concorrente della competizione che, soprattutto sul fronte dominante del centro sinistra, lacera la Superba, Genova per stare ai tempi attuali e non ai suoi, è un algido e duro professore di storia dell’Economia all’Università ed è un discendente di Andrea Doria ( o D’Oria con l’accento, secondo una disputa che lacera storiografia e ortografia genovesi da decenni), il grande mito di questa città, l’ammiraglio, il Principe per definizione dell’epoca d’oro nella quale la Superba dominava il mondo dal mare della sua Repubblica.
Che dominasse davvero è poi materia di opinione, di autoillusione tipicamente italiana e di orgoglio paesano, perché a dominare il mondo ci pensavano gli spagnoli, gli inglesi e i francesi al cui servizio serpeggiando Genova si era comunque aggiudicata la sua fetta di commerci che l’avevano fatta, questo sì, considerevolmente ricca. Ma tra Genova e Londra, a parte la pretesa dei genovesi di sentirsi inglesi, la distanza anche allora era siderale.
Il Doria di oggi, figlio di Giorgio Doria, passato alla storia come “il marchese rosso” per la sua appartenenza al Pci anni Sessanta, Settanta, Ottanta, ex vicesindaco della prima giunta rossa, scomparso nel 1998, dopo una vita tutta d’un pezzo con quel cognome mitologico e con le sue idee comuniste e la sua coerenza immutabile, Marco Doria, appunto, ha lanciato la sua sfida, candidandosi alle prossime primarie del centro sinistra contro le già registrate candidate del Pd, Marta Vincenzi, sindaco uscente e Roberta Pinotti, senatrice e cinquantenne molto rampante a Genova e a Roma, subito in sprint polemico tra di loro.
Il “transatlantico Doria” (che richiama quella splendida nave della flotta Italia, Andrea Doria, colata a picco il 26 luglio 1956 dopo essere stata speronata dal rompighiaccio svedeSe Stockholm, davanti all’isola di Nantuket, al largo della costa Americana) batte una bandiera indipendente, ma il professor bis bis bis bis nipote del Principe, ha un passato Fgci, quando frequentava (non a caso) il liceo Doria e un ruolo Pci da giovanissimo e giovane consigliere di circoscrizione e poi consigliere comunale pre era Tangentopoli.
Oggi non è iscritto a nulla, ma sono chiare le sue vicinanze al Sel e a una parte dura e pura del Pd, quella di sinistra che lotta contro la Casta e i privilegi anche a sinistra della politica, sopratutto in una città dove la cultura del potere si è ossificata proprio in quella parte per la lunga pratica di governo cittadino, comunale, provinciale, regionale, portuale, cooperativistico, con tutte le sue belle ramificazioni.
Il transatlantico è arrivato nel clima della contesa interna alla sinistra, dopo che clamorosamente la sindaco uscente Marta Vincenzi, Supermarta, non era stata riconfermata per la candidatura al secondo mandato, rispondendo a un appello i cui firmatari sono già molto significativi per sottolineare lo spirito dell’operazione.
Hanno firmato l’invito al Doria un sociologo statistico di grande prestigio e autorevolezza come Paolo Arvati, un grande prof di storia dell’Arte, ex Pci, assessore e oggi nel cda del teatro Carlo Felice, Silvio Ferrari, il segretario generale SPI-CGIL del sindacato dei pensionati Walter Fabiocchi, uno degli avvocati più noti della città dalle profonde tradizioni forensi e da uno splendente passato di grande atleta della pallanuoto olimpica e mondiale Alessandro Ghibellini, l’ex sovraintendente ai beni artistici, una sorta di zarina genovese, Giovanna Rotondi Terminiello e l’assessore che più fece a Genova per strutturare un sistema di assistenza sociale, Marco Calbi. Insomma, una base di lancio di grande autorevolezza che ha già suscitato un consenso anche nel Pd e una ondata, proprio di quelle che provocano i transatlantici, sulle concorrenti già schierate sul campo di regata.
Non è il caso di farla lunga, come ha scritto Marco Peschiera, su “Il Secolo XIX”, con le doti del bis bis bis bis trisavolo di Marco Doria, il Principe dalle grandi doti di condottiero e governante della Superba. Né serve molto risalire al 1708 quando nacque Giorgio Doria, futuro cardinale o ai tre senatori, un altro Giorgio e poi Giacomo e Ambrogio, che la famiglia diede nell’Ottocento al Regno d’Italia.
Basta solo arrivare a Giorgio, al padre di Marco, solo per un pelo mancato di sindaco nel 1971, quando dopo estenuanti voti in consiglio comunale, il marchese rosso fu superato da Giancarlo Piombino, democristiano, “figlio” di Paolo Emilio Taviani e una delle persone più oneste e per bene che la storia italiana abbia conosciuto.
Nella storia recente, i Doria nella politica fieramente di sinistra e comunista entrano qualche anno dopo a livello istituzionale, quando Giorgio diventa vicesindaco di Fulvio Cerofolini, il sindaco tranviere, socialista lombardiano, nella prima giunta rossa del 1975.
Una accoppiata impossibile, il sindaco-tranviere e il vice sindaco-marchese rosso. Tanto è vero che Doria lascia presto quel ruolo, dopo avere, tra l’altro, imposto la cancellazione delle auto blu dal parco comunale (e siamo nel 1976…), resta solidamente a sinistra e si dedica allo studio.
Marco Doria assomiglia non solo fisicamente a suo padre, Giorgio, che era serio, sobrio, freddo, cosciente di avere fatto salire uno dei nomi e dei quarti di nobiltà più mitici nella storia genovese sul carro di san Francesco, rinunciando a diventare un grande possidente, l’amministratore di beni e proprietà secolari, mantenendo solo quello splendido palazzo in via Garibaldi 6, la strada dei re.
Ma oggi il mondo è diverso, la politica è un’altra cosa e il transatlantico dei Doria è uscito di nuovo in mare aperto, anche molto inatteso. Si può dire che la sfida lanciata, e anche spiegata in una lunga intervista sempre a “Il Secolo XIX”, è frontale e rispettosa.
Frontale perchè attacca la tradizione continua e un po’ piatta della sinistra genovese, incarnata dalla Vincenzi e dalla Pinotti, figlie di diverse generazioni della stessa matrice politica, ma cresciute nello stesso brodo politico del Ponente genovese, da Sampierdarena a Voltri con dentro la valle ex operaia del Polcevera, l’enclave dove il Pci -Pds – Ds e oggi in parte anche il Pd, ha conquistato il suo consenso permanente vittorioso: le fabbriche, il porto, o meglio i porti.
Non che Marco Doria sia espresso politicamente da un altro mondo, se no dietro di lui non ci sarebbero non solo quelle teste fini dei suoi promotori, ma anche il popolo della sinistra più radicale, il Sel, Sinistra e Libertà, le frange dure dei camalli e del mondo operaio che non molla e non è felice quando Marta Vincenzi, in uno dei suoi slanci “moderni”, annuncia: “Io non mi sento più comunista”.
Ma questo cinquantaquattrenne, già stagista all’Archivio Storico dell’Ansaldo (la Fiat di Genova degli anni millenovecento dieci, venti, trenta, quaranta), poi insegnante in un istituto tecnico professionale, infine professore associato alla facoltà di Economia e Commercio di Genova e oggi professore ordinario di Economia politica, ha sicuramente una storia e anche una geografia diversa.
Nato e cresciuto in altri quartieri della città, tra la borghesissima Albaro, il centro dell’Università e della mitica via Garibaldi, border line di Castelletto, l’area della città alta così cara politicamente ai Pd “lib-lab” e a una borghesia illuminata, spesso anche un po’ snob, il nuovo candidato gioca un po’ come un derby con le sue concorrenti, anche se il suo cognome lo avvicina alla fede sportiva più propria di chi vive nei quartieri di Ponente, la Sampdoria per l’appunto, nata dall’incestuoso connubio, come anche Juventus, Inter e Lazio, di una squadra di fuori porta (la Sampierdarenese) e una società sportiva di nobili, l’Andrea Doria, si dà il caso nello specifico genovese.
Un derby tra un fronte di Levante e uno di Ponente della città, storicamente avvitata nelle sue diverse enclave, nei suoi muri contrapposti che il crollo delle ideologie non ha affatto del tutto spianato, anzi?
Forse questo tipo di contrapposizione Levante-centro-Ponente piacerebbe al condottiero-avo Andrea, che sapeva muovere la sua flotta e le sue decisioni su uno scacchiere in cui il mare e i venti dettavano spesso le scelte di spostamento per una città che aveva nemici interni ed esterni.
Sicuramente Marco Doria ha fiutato bene il vento, se scendendo in campo ha subito chiarito che la sua sfida è alla Casta, alla politica politicante e alla non politica dei grillini, figli anch’essi di un genovese, Beppe Grillo, che fiuta il suo vento dalle alture di sant’Ilario, collina paradisiaca sopra la residenziale Nervi, in faccia a Portofino, con il Ponente sfumeggiante all’orizzonte estremo.
Confini ben tracciati, insieme a un programma iniziale secco e preciso quasi quanto il profilo dei suoi promotori. Ha spiegato: “Sono pronto a affrontare le cattiverie della politica e a chi osserva che non sono allenato ad affrontare la complessità di una grande amministrazione pubblica rispondo che il metodo ce l’ho: studiare, studiare e studiare, ascoltare e approfondire.”
Uno stile un po’ da professore?
Doria non lo dice, ma il suo stile politico e di candidato appare già l’antitesi di quello delle sue concorrenti – donne: sobrio, severo, quasi silenzioso, impastato di buon senso, con l’azzeramento della demagogia anche oggi che le finanze locali grondano sangue e alibi perfetti per la Sinistra di governo e di lotta, perfettamente incarnata dalla sindaco uscente Marta Vincenzi, che non si perde la testa di un corteo di protesta…
Ora che il transatlantico ha preso il largo il mare di Genova incomincia a incresparsi veramente. Se la sinistra prepara primarie nelle quali qualcuno vede una fotocopia di quelle milanesi, con un nuovo Pisapia zeneise in campo, a Destra o al centro non si è alzata ancora una vela se non quella corsara di Enrico Musso, il professore anche lui di Economia, ex Pdl oggi gruppo misto, che corre da solo trasversale con una bandiera, quella della sua Fondazione, non a caso intitolata Oltremare, ex sfidante della Vincenzi cinque anni fa, con una parola d’ordine civica.
Il quasi candidato che poteva sconvolgere Destra e Sinistra, Beppe Costa, imprenditore, leader dei terminalisti portuali, concessionario del grande Acquario genovese, anche lui erede, ma di una dinastia più recente come i Costa, ha rinunciato, spiazzando il suo fronte che abbracciava anch’esso trasversalmente la città e non osava appiciccargli etichette di partiti o coalizioni.
Ma qualcuno spunterà non si sa da quale porto o isola lontana e vicina, sparando bordate da Destra. I genovesi, ancora malati di mare, comunque possono pure già usare la loro interiezione preferita: Belin che regata!