GENOVA – La politica è sconquassata, ma per correre a fare il sindaco di una grande città, seppure in tempi di crisi e di tagli selvaggi alle finanze pubbliche ci possono essere anche delle grandi ammucchiate, delle corse e ricorse che trapassano gli schieramenti di destra e di sinistra e che, a nove mesi di distanza dalla data elettorale, schierano un vero boom di candidati.
Cosa succede a Genova, seicentomila abitanti scarsi, un grande porto, un passato industriale imponente e decaduto, un tasso di vecchiaia tra i più alti del mondo, un governo nelle mani della sinistra postcomunista da una trentina d’anni? Succede che è esplosa la febbre del sindaco, la guerra di successione alla attuale prima cittadina Marta Vincenzi, ex Pci, Pds, Ds, oggi Pd, supercritica con i suoi, al punto da annunciare coram populo che “non sono più comunista”, ma decisa a ricandidarsi anche contro i cattivi umori del proprio partito verso la sua replica del mandato.
L’ultimo a comparire ai nastri di partenza è niente meno che un Costa, della nobile dinastia imprenditoriale, resa celebre dalle Crociere sulle vecchie ammiraglie come la Eugenio C, la Federico C, l’Anna C e dal capostipite Angelo Costa, che tra gli anni Cinquanta e Settanta fu per due volte presidente di Confindustria, un personaggio cult non solo a Genova per le sue comparse tv con accento genovese alla Govi e l’intransigenza liberista. L’erede che tenta la carta da sindaco si chiama Beppe Costa, ha cinquantadue anni e non è solo un bel nome nel Ghota genovese d’antan.
E’ anche l’imprenditore che ha scommesso sull’Acquario di Genova, da lui governato e gestito attraverso la Costa Endutainement, società proprietaria anche del Bioparco di Roma, degli Acquari di Cattolica, Livorno, del progetto per farlo a Napoli e azionista in altre operazioni turistico terziarie a Firenze. L’Acquario genovese è una delle quattro attrazioni più “bigliettate” d’Italia. Hanno più visitatori paganti solo la Cappella Sistina, i Musei Vaticani, gli scavi di Pompei e gli Uffizi di Firenze.
Ma Costa, che in prime nozze si era anche maritato con una Bonomi Bolchini, tra l’altro padrona di casa a Portofino del premier Silvio Berlusconi, cui affitta tutt’ora il famoso castello, non è solo questo: ricopre da titolare della SAAR anche il ruolo di presidente dei terminalisti, cioè quegli imprenditori che hanno in concessione pezzi pregiati del porto di Genova ed è membro della Fondazione della Cultura che gestisce in città il famoso Palazzo Ducale, sorta di Beaubourg genovese, il luogo del famigerato G8 genovese del 2001 e, comunque, una location che attira ogni anno più di 350 mila persone con le sue attività culturali.
E poi Costa è anche figlio di Bianca Bozzo Costa, scomparsa qualche anno fa, una specie di grande benefattrice genovese, fondatrice del Centro di Solidarietà, una delle “stelle” più importanti nella galassie del volontariato cattolico, capace in trenta anni di organizzare decine di centri e comunità per il recupero dei drogati, dei disabili e oggi per l’assistenza agli immigrati. Una “concorrente” sul versante più borghese, ma non certo meno impegnato, del leggendario don Andrea Gallo.
L’entrata sulla ribalta politico amministrativa di un personaggio politico simile, che sembra muoversi mosso dall’idea di candidarsi a sindaco con una lista civica molto trasversale, che si mette sul mercato dei partiti puntando sia al centro, che a destra che a sinistra, esplode nel bel mezzo di una scena preelettorale già terremotata.
Costa jr viene lanciato il giorno dopo che nel Pd, partito di governo sia a Genova, che in provincia che in regione, era esploso il caso della autocandidatura a sindaco della senatrice Roberta Pinotti, una fresca cinquantenne, alta, bionda, molto presenzialista e molto esposta televisivamente sopratutto a “Porta a Porta”, che aveva annunciato di voler correre nelle probabili Primarie del centro sinistra contro il sindaco in carica Marta Vincenzi, furibonda per essere stata messa in discussione e per non avere avuto la classica riconferma per il secondo mandato, come avviene generalmente, salvo casi clamorosi. Pinotti aveva tenuto segreto il suo proposito anche ai giovani segretari provinciale e regionale del Pd, due trentenni Victor Razeto e Lorenzo Basso, sballottati come fuscelli dalle iniziative delle due virago, tra l’altro un tempo molto vicine e partecipi degli stessi governi cittadini e provinciali.
Il centro sinistra sembra essere percorso da scosse elettriche proprio da quando la Vincenzi è stata messa in discussione da un clamoroso sondaggio commissionato dallo stesso Bersani, che voleva misurare la popolarità e il consenso della signora sindaco. Era risultato che Marta Vincenzi era in flessione vistosa, sopratutto rispetto al centro sinistra e al Pd.
Apriti cielo! Abituati al bello e al cattivo tempo, alla intangibilità dei leader istituzionali (il predecessore della Vincenzi, il professor Beppe Pericu, era stato eletto al secondo mandato con oltre il 70 per cento dei consensi), i democratici si sono sconvolti. Mentre la Vincenzi ha urlato il suo dissenso e minacciato di candidarsi, comunque, con una sua lista, ovviamente più spostata a sinistra ancora verso Vendola, il partito ha cercato di imboccare la strada delle Primarie, subito contestato dall’ alleato IDV di Di Pietro che a Genova e in Liguria è nelle mani di una spettacolare coppia, l’ex sindacalista della Ps, oggi onorevole Giovanni Palladini e la sua compagna, di vita non solo di fede politica, la avvenente Marilyn Fusco, assessore all’Urbanistica in Regione. L’Idv, che schiera in regione anche un’altra star come Marusca Piredda, la famosa hostess Alitalia leader della contestazione, paracadutata nel listino del presidente Burlando direttamente dal cielo e ovviamente da Di Pietro, si è schierata per Marta, sempre meno citata come Supermarta.
Ma il giochino delle Primarie si o no è stato schiantato dalla Pinotti che ha lanciato il suo guanto di sfida, attaccando direttamente la Vincenzi con l’accusa neppure troppo velata di arroganza e di conduzione verticistica del potere locale. E’ chiaro che in una situazione simile il Pd non solo si è spaccato, ma ha incominciato inconsciamente a far fiorire candidature di ogni genere, autentiche o inventate, per riempire il caos degli scontri diretti e le sfide personali. Sono comparsi i nomi di illustri professionisti come quello dell’avvocato Enzo Roppo, il legale che ha fatto vincere alla Cir la supersfida con Berlusconi per la Mondadori, il quale ha smentito. O come quello dell’altro avvocato, Paolo Momigliano, ex presidente dell’Amiu, la nettezza urbana, già socio dello studio De Andrè, il fratello scomparso del cantautore, che non ha ancora smentito.
O come quello dell’avvocatessa Barbara Balzani, eurodeputata allieva del celebre fiscalista Victor Uckmar, neppure quarantenne e già assessore comunale della Vincenzi.
Sembrava che di tutto questo intreccio soffocante a sinistra potesse approfittare solo il professor Enrico Musso, cattedratico di Economia dei trasporti e da tre anni senatore, oggi iscritto al Gruppo Misto con propensione verso il Terzo Polo, dopo avere clamorosamente strappato con il Pdl, che lo aveva lanciato nel 2007 come giovane candidato sindaco contro la Vincenzi e che poi lo aveva mandato a Palazzo Madama.
Musso, apparso ad alcuni un po’ avventato e anche un po’ ingrato nella sua presa di distanza dal Cavaliere e dal suo epigono ligure, l’ex ministro Claudio Scajola, si è mosso poi con decisione verso palazzo Tursi (la sede del Comune genovese) e la sua massima poltrona. Ha creato una Fondazione Oltremare per raccogliere idee, progetti e spinte di cambiamento in una città ingessata dalla cultura di sinistra, tenendo una certa distanza ma non troppa dai partiti, soprattutto da quelli del centro nascente del Terzo Polo.
E tre mesi fa ha annunciato, anche lui e prima di tutti, una lista civica che, proprio nelle ore in cui Beppe Costa appariva sul maxischermo elettorale, ha ricevuto una specie di investitura romana dal terzo Polo di Casini-Fini-Rutelli. Considerato che la Lega, non certo fortissima in Liguria, dove però conta gli unici due rappresentanti al governo dell’intero arco parlamentare ligure, la senatrice Sonia Viale e il deputato Antonio Belsito, non ha ancora deciso se correre per conto suo verso Tursi o se appoggiare altri candidati, la conclusione è che le elezioni saranno una specie di fuoco artificiale.
Se corrono in riva al Mar Ligure anche i padani, magari con il loro astro nascente, il consigliere regionale Edoardo Rixi, trentenne, tecnocratico e molto pimpante, la schiera dei concorrenti potrebbe essere foltissima con cavalli (e cavalle è il caso di dirlo) in competizione anche sugli stessi versanti di destra, di sinistra e di centro.
La battaglia o la sfida si svolge sia per far saltare la roccaforte rossa che regge il governo genovese praticamente dal 1975, sia per ridistribuire gli equilibri dentro agli schieramenti.
Il Pd è certamente logorato da un esercizio del potere diventato una specie di incubo, senza soldi, senza imprenditori che si impegnano, con una burocrazia civica incartapecorita e sulla quale si schiantano quasi tutti i progetti di modernizzazione e di velocizzazione. E’ in crisi l’azienda dei trasporti Amt, dalla quale sono usciti i soci francesi di Transdev e per la quale è nei guai l’ex sindaco Beppe Pericu, condannato recentemente dalla Corte dei Conti a pagare personalmente 450 mila euro per avere creato danni pubblici scegliendo di salvare il deficit con la creazione di una bad company.
Il bello che è proprio la Vincenzi, successora “discontinua”, come si è sempre polemicamente definita di Pericu ad avere innescato il processo contabile che ora crocifigge l’ex sindaco, non solo un ottimo amministratore, ma anche un grande esperto di diritto amministrativo, la materia sulla quale sarebbe inciampato. Bersani, in visita pastorale a Genova con chi è andato a cena, dopo avere pronunciato la fatidica frase alla Crozza: “Non siamo mica venuti qua a asciugare gli scogli!”? Ma con Pericu, non certo con la Vincenzi.
Il dettaglio la dice lunga sul clima incandescente che brucia il partito di governo cittadino, sotto gli occhi del vero leader politico regionale, il presidente della Liguria Claudio Burlando, ex sindaco, ex ministro dei trasporti, al secondo mandato, chiaramente “nemico” della Vincenzi, ma non in grado di manifestare altro che il suo silenzio incupito.
Se a sinistra si odono questi squilli, a destra il silenzio più assoluto circondava le mosse della Pdl, vedova inconsolabile di Claudio Scajola, rinchiuso nella sua Imperia, prima per lo scandalo della casa “ a sua insaputa” in via del Fatugale a Roma, poi dalle sanguinose battaglie intorno a Berlusconi, al governo e al partito e impossibilitato a dettare una linea genovese. All’opposizione ovunque gli azzurri e gli ex An hanno perso anche i piccoli leader locali, che reggevano la coda dell’ex ministro, frantumandosi in piccole beghe personali, incapaci di esprimere un solo pensiero per la candidatura a sindaco, una battaglia nella quale quattro anni fa, grazie a Enrico Musso, avevano quasi sfiorato un colpo sensazionale, partendo da zero.
Pensavano ancora a Musso? Il professore-senatore non ha aspettato nulla da quel versante ed ha macinato il suo programma per il rilancio della città, cercando interlocuzioni trasversali e muovendosi sopratutto per primo anche tra le diffidenze dei poteri forti che nello scatafascio della politica restano a Genova la banca Carige, a capitale largamente genovese, rimasta indipendente e sesta nel panorama nazionale per livello di patrimonializzazione e la Curia, dove regna un personaggio in grande crescita come il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sempre più autonomo dal segretario di Stato cardinal Tarcisio Bertone, guarda caso suo predecessore. La banca e la sua Fondazione, azionista di maggioranza, nelle persone dei suoi leader, i presidenti Giovanni Berneschi e Flavio Repetto, l’industriale dolciario della Dufour, Elah, Novi e Baratti, esprimono grande preoccupazione anche per l’impasse politica, non solo per la grande crisi finanziaria ed economica e non si sono schierati ancora, ma la loro distanza dai governi locali appare sempre più ampia. Né con la Vincenzi, considerata inconcludente, né con Musso, probabilmente considerato troppo laico.
A questo punto è apparso su quel maxischermo Beppe Costa, cattolico, imprenditore, erede di una grande famiglia della storia cittadina, possibile candidato civico, se arriverà fino in fondo alla sua scommessa, che è anche quella di mettere nel congelatore le sue attività imprenditoriali e lasciarle ad altri per puro spirito civico.
Chi vuol capire, capisca. Ma Genova resta una città dolorante a sinistra, con le sue roccheforti rosse nella valli del Polcevera e del Bisagno, i suoi fiumi secchi, meno quando si incazzano e scatenano alluvioni, immerse in una faticosissima postindustrializzazione, che resistono sotto i colpi della crisi. Cala anche l’immigrazione, non più richiamata da una industria edile che perde quasi tremila addetti in un anno e dalle famiglie sempre meno alla ricerca di badanti troppo care in tempi di crisi. Tremano le ultime fabbriche, compresi i cantieri di Sestri Ponente, che “partorirono” navi come il Rex, fino alle Cattedrali del mare di oggi, costruite con la maestria impareggiabile dei vecchi mestieri tramandati, per Costa diventata Carnival, Msc del grande liners mondiale Pierluigi Aponte e Royal Carribean. I giovani scappano oltre Appennino e tra Milano e l’oltreconfine gli statistici contano almeno trentamila giovani genovesi tra i 25 e i 35 anni già fuggiti.
Una bella gatta da pelare. Eppure, per governare questa Genova, la febbre da sindaco è già salita di molti gradi.