Il dettaglio la dice lunga sul clima incandescente che brucia il partito di governo cittadino, sotto gli occhi del vero leader politico regionale, il presidente della Liguria Claudio Burlando, ex sindaco, ex ministro dei trasporti, al secondo mandato, chiaramente “nemico” della Vincenzi, ma non in grado di manifestare altro che il suo silenzio incupito.
Se a sinistra si odono questi squilli, a destra il silenzio più assoluto circondava le mosse della Pdl, vedova inconsolabile di Claudio Scajola, rinchiuso nella sua Imperia, prima per lo scandalo della casa “ a sua insaputa” in via del Fatugale a Roma, poi dalle sanguinose battaglie intorno a Berlusconi, al governo e al partito e impossibilitato a dettare una linea genovese. All’opposizione ovunque gli azzurri e gli ex An hanno perso anche i piccoli leader locali, che reggevano la coda dell’ex ministro, frantumandosi in piccole beghe personali, incapaci di esprimere un solo pensiero per la candidatura a sindaco, una battaglia nella quale quattro anni fa, grazie a Enrico Musso, avevano quasi sfiorato un colpo sensazionale, partendo da zero.
Pensavano ancora a Musso? Il professore-senatore non ha aspettato nulla da quel versante ed ha macinato il suo programma per il rilancio della città, cercando interlocuzioni trasversali e muovendosi sopratutto per primo anche tra le diffidenze dei poteri forti che nello scatafascio della politica restano a Genova la banca Carige, a capitale largamente genovese, rimasta indipendente e sesta nel panorama nazionale per livello di patrimonializzazione e la Curia, dove regna un personaggio in grande crescita come il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sempre più autonomo dal segretario di Stato cardinal Tarcisio Bertone, guarda caso suo predecessore. La banca e la sua Fondazione, azionista di maggioranza, nelle persone dei suoi leader, i presidenti Giovanni Berneschi e Flavio Repetto, l’industriale dolciario della Dufour, Elah, Novi e Baratti, esprimono grande preoccupazione anche per l’impasse politica, non solo per la grande crisi finanziaria ed economica e non si sono schierati ancora, ma la loro distanza dai governi locali appare sempre più ampia. Né con la Vincenzi, considerata inconcludente, né con Musso, probabilmente considerato troppo laico.
A questo punto è apparso su quel maxischermo Beppe Costa, cattolico, imprenditore, erede di una grande famiglia della storia cittadina, possibile candidato civico, se arriverà fino in fondo alla sua scommessa, che è anche quella di mettere nel congelatore le sue attività imprenditoriali e lasciarle ad altri per puro spirito civico.
Chi vuol capire, capisca. Ma Genova resta una città dolorante a sinistra, con le sue roccheforti rosse nella valli del Polcevera e del Bisagno, i suoi fiumi secchi, meno quando si incazzano e scatenano alluvioni, immerse in una faticosissima postindustrializzazione, che resistono sotto i colpi della crisi. Cala anche l’immigrazione, non più richiamata da una industria edile che perde quasi tremila addetti in un anno e dalle famiglie sempre meno alla ricerca di badanti troppo care in tempi di crisi. Tremano le ultime fabbriche, compresi i cantieri di Sestri Ponente, che “partorirono” navi come il Rex, fino alle Cattedrali del mare di oggi, costruite con la maestria impareggiabile dei vecchi mestieri tramandati, per Costa diventata Carnival, Msc del grande liners mondiale Pierluigi Aponte e Royal Carribean. I giovani scappano oltre Appennino e tra Milano e l’oltreconfine gli statistici contano almeno trentamila giovani genovesi tra i 25 e i 35 anni già fuggiti.
Una bella gatta da pelare. Eppure, per governare questa Genova, la febbre da sindaco è già salita di molti gradi.
