GENOVA – Facile per gli storici del “secolo breve”, il Novecento, sostenere che la guerra contro i Perrone, padri fondatori dell’Ansaldo, la fabbrica delle fabbriche nella mitica industrializzazione italiana di fine Ottocento, inizio Novecento, gli Agnelli, rivali storici in quella corsa all’industria, l’avevano già ampiamente vinta quasi un secolo fa, quando era finita la “Grande Guerra”, quella del ’15-’18.
Facile perchè la contrapposizione frontale tra i due grandi gruppi borghesi imprenditoriali della fine dell’Ottocento e dell’inizio Novecento, sulla frontiera della industrializzazione italiana a Genova e Torino, capitali delle fabbriche grazie al piemontese Camillo Benso, conte di Cavour, aveva già indiscutibilmente visto uscire in testa la famiglia Agnelli.
La Fiat del senatore Giovanni Agnelli, una grande industria meccanica aveva già messo le mani sul mercato, che stava crescendo nella società postbellica e si apprestava a conquistarlo con l’automobile per decenni e decenni, quasi modellandolo tra le due guerre e poi dopo, molto dopo che i Perrone erano usciti dalla fabbrica e il loro impero si era arroccato sulle rotative di un altro impero, quello di carta, dei giornali, “Il Secolo XIX” a Genova e il “Messaggero” a Roma .
I Perrone, lanciati da quel genio di Ferdinando Maria, più fedeli a un progetto industriale verticale, con la loro Ansaldo battevano un’altra strada rispetto a quella di entrare a 360 gradi sul mercato: partiti dalle miniere volevano arrivare al prodotto siderurgico, alla meccanica leggera, perseguendo l’obiettivo di realizzare ciò che sarebbe stata la grande azienda con la A maiuscola, anche dopo, quando l’avrebbero perduta tra crack finanziari e avvento dello Stato e dell’IRI. La grande azienda, appunto verticale, capace di produrre tutto, con la parola d’ordine del “saper fare”, vero motto di Genova industrializzata: ecco quello che i Perrone avevano in testa.
Ferdinando Maria e i figli Mario e Pio avevano lanciato Ansaldo, creata dal giovane e brillante ingegnere Giovanni Ansaldo, (soci inziali i banchieri Bombrini e l’armatore Rubattino) con una produzione che dalle locomotive a vapore in monopolio degli albori era diventata una vera fucina. Dai treni, ai cannoni, ai cantieri navali, alla siderurgia: la firma Ansaldo aveva segnato l’imprinting industriale italiano.
E la Fiat era di coda, perfino alleata in alcune operazioni, come la costruzione dei primi carri armati e poi perfino di aerei da guerra.
Gli storici sono concordi nel ricostruire la sconfitta dei Perrone, già prevedibile agli albori bellici del secolo XIX e da ricordare oggi che un’altra presunta contesa di tutt’altra natura sembra essersi conclusa tra le due grandi famiglie della borghesia italiana con l’accordo di fine luglio 2014, tra John Elkann, erede Agnelli e Carlo Perrone, erede Perrone, che si sono alleati editorialmente nell’”Italiana Editrice”, la società che raggruppa le editrici de “La Stampa” e del “Il Secolo XIX”, i due gruppi editoriali fino a ieri alfieri nel Nord -Ovest italiano di una informazione solida e potente, largamente diffusa sul territorio e contrapposta sul piano della concorrenza tra testate.
La seconda partita Agnelli-Perrone, quasi esattamente cento anni dopo, si è conclusa con una larga cessione di sovranità di Perrone nei confronti di Agnelli, perchè il nuovo gruppo sarà partecipato dai piemontesi al 77 per cento e ai liguri ( se così possono essere considerati i Perrone) resterà il 23 per cento; ai primi la presidenza della nuova società e ai secondi la vicepresidenza e una evidente subordinazione.
Il piano industriale della nuova “Italiana Editrice” non è ancora noto, i vecchi consigli di amministrazione devono ancora approvare questa vera rivoluzione editoriale e ci sono molto incertezze, sopratutto a Genova sul destino di una grande testata, forte della sua purezza editoriale ( i Perrone da decenni e decenni sono stati tra gli unici editori senza altri interessi che quelli editoriali) e di un radicamento su tutto il territorio ligure, che solo la grande crisi del sistema mediatico ha ridimensionato nell’ultimo lustro e mezzo in modo quasi choccante. Si sa solo che l’identità delle due testate, “La Stampa” e “ Il Secolo XIX”, resterà intangibile in tutti i suoi segni: Massimo Gramellini, forse oggi la firma più popolare del quotidiano di Torino non scriverà mai su “Il Secolo XIX” e nessuna firma genovese comparirà a Torino.
Ma per ora l’unico segno forte della cosidetta “rivoluzione de “Il Secolo XIX” è l’uscita di scena del direttore Umberto Larocca, che si è molto dignitosamente dimesso di fronte a un nuovo assetto proprietario.
Si ricorda che Umberto Larocca ha diretto Il Secolo XIX dei Perrone per oltre cinque anni, dopo essere stato vice direttore vicario de “La Stampa”, a fianco del direttore Giulio Anselmi, genovese, anche lui con un importante passato a Il Secolo XIX, di cui fu negli anni Ottanta vice direttore e poi condirettore, prima di incominciare la sua carriera da direttore a “Il Mondo”, “Il Messaggero”, “Ansa”, “Espresso” e, infine, proprio a “La Stampa”.
Tutto il resto di un’operazione, che potrà avere grandi ricadute sulla struttura dei due giornali, sulla loro produzione, sulla occupazione e sulla organizzazione delle redazioni, è ancora top secret e affidata a gossip non confermati, che cavalcano in parte le rivoluzioni più generali di molti dei gruppi editoriali italiani, a partire da Rcs e dalllo straannunciato cambio di direzione al “Corriere della Sera”: Ferruccio De Bortoli in uscita per aprile e la sua ipotetica sostituzione con Mario Calabresi, oggi direttore de “La Stampa”. Tutto da confermare, tutto sempre sul filo del rasoio in uno “spetegulez” trionfante e intrecciato nelle complicate vicende politiche e azionarie.
L’unica certezza sul fronte Genova-Torino è, quindi, la reggenza della testata genovese, affidata a Alessandro Cassinis, vice direttore di Larocca, una lunga e fedele carriera a “Il Secolo XIX” e l’ipotesi di una transizione che forse si allunga nel tempo.
La indiscutibile cessione di sovranità dei Perrone arriva, comunque, a una distanza secolare da quel vecchio scontro ben più duro e universale tra le famiglie e le loro attività che aveva costituito, come ricordano appunto gli storici, la sfida vera dell’industrializzazione italiana a cavallo delle due guerre.
Quello scontro, ricorda ad esempio Luca Borzani, oggi presidente della Fondazione Cultura di Genova, storico esperto del Novecento, si era consumato ovviamente ben prima del passaggio dell’Ansaldo nella mano pubblica con l’ingresso nel 1933 nell’Iri.
Come ricorda Luca Borzani, all’uscita delle Grande Guerra, mentre Agnelli aveva già diversificato la sua produzione industriale a caccia di un mercato che aveva già messo nel mirino e che avrebbe conquistato per decenni e decenni, Perrone con Ansaldo aveva dovuto affrontare lo sconquasso della Banca Italiana di Sconto. Quella epocale vicenda finanziario-giudiziaria aveva messo fuori gioco dall’orizzonte industriale i Perrone, riducendo la loro azione a attività immobiliari anche in America del Sud e, ovviamente, alla attività editoriale con la proprietà de “Il Secolo XIX” e, fino alla metà degli anni Settanta, de “Il Messaggero”.
Anche Agnelli aveva avuto il suo calvario finanziario con il Credito italiano, ma ne era uscito bene. La crisi del ’29 aveva poi fatto da moltiplicatore allo scandalo finanziario.
Per gli osservatori più attenti gli opposti destini industriali, che avrebbero poi confermato anche ben diverse vocazioni imprenditoriali tra gli Agnelli e i Perrone, solo per una fase iniziale in forte competizione, marchiano in qualche modo anche il destino di Genova e di Torino, due città molto vicine, ma anche lontane.
Luca Borzani spiega come la scelta di produrre per il grande mercato che si stava aprendo e che poi si sarebbe clamorosamente riaperto nel secondo Dopoguerra, avrebbe favorito gli Agnelli ed anche una loro spregiudicatezza, dimostrata dalle diverse generazioni succedutisi al comando, orientando sulla città ex sabauda la grande produzione.
I Perrone, invece, nati con Ferdinando Maria da una costola imprenditoriale diversa (i banchieri Bombrini), erano sempre stati più lontani dal mercato con il loro progetto di produzione verticale e forse erano più influenti a Roma addirittura che a Genova, dove probabilmente temevano di apparire un po’ rinchiusi. Un destino a cui era difficile sfuggire negli anni di passaggio tra i due secoli e a cui pochi imprenditori sfuggirono.
Basta pensare a un personaggio del calibro del Duca di Galliera, il marchese De Ferrari, con le radici piantate a Genova ma con i business in tutto il mondo, una specie di Rotschild europeo di fine Ottocento, costretto poi a rientrare nella Superba per mancanza di un erede e a versare il suo immenso patrimonio in donazione alla città di Genova e al suo porto. Ma che ne fu degli altri, dei coevi di Perrone, in quella Genova prevalentemente armatoriale, chi riuscì a farsi un mercato, come avrebbero fatto gli Agnelli, partendo da Torino?
L’impero industriale genovese sarebbe rimasto di qua dell’Appennino, prevalentemente in mare, sulle navi, nei cantieri, nelle Riparazioni Navali, fino a quando quella fortuna ha resistito. Il resto si è dissolto e ancora si sta dissolvendo e non solo per colpa di Ansaldo Iri e prima di Ansaldo Perrone, con il declino rapidissimo e progressivo delle grandi aziende Iri, il cui germe era appunto e sopratutto anche dell’Ansaldo perroniana.
Tutto questo non toglie che la lunga storia di una nobile competizione imprenditoriale sia continuata, anche solo sul piano del prestigio ed editoriale nella dura concorrenza, sopratutto in Liguria e in Basso Piemonte tra “Stampa” e “Secolo XIX”, contrapposti in particolare in quella zona della Liguria di Ponente, tra Savona e Ventimiglia, densamente popolata da piemontesi.
Al boom automobilistico della Fiat, in fondo, Perrone aveva potuto all’inizio del Novecento contrapporre solo un unico modello Ansaldo, una specie di prototipo. Ma sul piano editoriale “Il Secolo”, aveva infilzato da vero corsaro la corazzata de “La Stampa” per decenni e decenni, fino ad oggi. Ora che il mondo dell’editoria è cambiato, molto di più di quelle delle automobili Fiat o delle turbine a gas o dei cannoni dell’Ansaldo, Secolo XIX e Stampa si mettono insieme.
Perrone e Agnelli oggi sono alleati. E quella storia si chiude non senza rimpianti e probabilmente anche con diverse interpretazioni su un destino che poteva essere diverso. Sicuramente per i Perrone.