Scialfa, figlio di un minatore di Enna, è diventato l’ideologo Idv, amico personale di Beppe Grillo e di Leoluca Orlando, si equilibra tra le sue origini rifondarole e le tattiche mediatorie nei confronti di Doria, rispetto al quale ha indubbie reverenze storico-culturali. Il figlio del minatore e l’erede dei magnanimi lombi, che più magnanimi di così non si può.
Poi c’è, in questa funambolica compagnia di giro anche Alberto Gagliardi, ex democristiano fedelissimo della Dc di sinistra d’antan, poi scudiero di don Baget Bozzo, deputato e sottosegretario di Berlusconi, che lo deluse a morte, approdato sulla sponda dipietrista.
In questo guazzabuglio di ciurma che si raduna a poppa del galeone per ordire l’ammutinamento entro la data ultima di approvazione del bilancio, ci sono altre sorprese. Infatti, chi si sta arrampicando a bordo, scalando le murate del “barco” di Doria, quasi a sorpresa con cime e rampini appuntiti?
Ma sono, ovviamente gli Udc, i consiglieri che nella campagna elettorale avevano scelto di appoggiare, con la benedizione di Casini, il contendente di Doria, il professor Enrico Musso e che ora con una mossa molto viscida stanno facendo la loro scilipotata in salsa genovese e vanno a portare al sindaco i loro voti per salvare la baracca, meglio la barca da un clamoroso affondamento, a quaranta giorni dal voto e a trenta giorni dal varo della nuova giunta.
L’uomo forte di questa Udc, che in regione sta già a sinistra a sorreggere Burlando, è Rosario Monteleone, un altro ex di Rinnovamento Italiano, poi della Margherita, poi Pd, oggi leader Udc e presidente del Consiglio regionale, uomo molto forte elettoralmente e benedetto e protetto dal cardinale eccellentissimo, Angelo Bagnasco.
Ecco così che il galleggiamento del famoso galeone di Marco Doria nella prima tempesta della prima tappa della prima rotta del primo mandato di sindaco-doge-marchese, dipende da questi uomini forti, non a caso tutti corpulenti e con voci tonanti: il Paladini dipietrista, lo Scialfa spin doctor con possanza fisica imponente, il gigantesco Monteleone.
Doria li fronteggia impugnando il timone con un tocco che è subito diventato nobile, come le sue profondissime radici, affondate fino al 1303, non si fossero mai smarrite. Non si presenta più scravattato, ma soprio, elegante, parla forbito, appare gelido e appropriato in ogni apparizione. Ha già capito che la sua opposizione è l’ammutinamento a poppa e non quella che dovrebbe assaltarlo dall’altra parte dello schieramento politico. Il centro destra, a parte il professor Musso da lui sconfitto nel ballottaggio, si sta liquefacendo, come travolto dalla lava che fuoriesce dal cratere di Imperia, dove l’impero di Claudio Scajola, leader nazionale, ma sopratutto ligure, è finito con il commissariamento per mafia dei comuni di Ventimiglia e Bordighera e dal crollo di quello del capoluogo per la storia del megaporto degli scandali veri o montati. Lo Scajola può sicuramente non avere nulla a che fare con quelle torbide vicende, ma il suo ruolo sul territorio, un potere quasi assoluto dove era finito mentre i gangli della malavita calabrese, siciliana e internazionale impiombavano la ricca provincia di Imperia?
Di fatto nella roccaforte del potere azzurro, che l’ex ministro berlusconiano amministrava con sicurezza, ora non vi è più nulla di certo: tutto è subordinato alle inchieste della magistratura che crocifiggono le amministrazioni pubbliche e, dove non lo fanno, lasciano sospese spade di Damocle gravose come i pesi della bilancia di Brenno. Guai ai vinti. A Sanremo il mitico casinò sta spegnendosi come le candele all’alba nelle notti di gala sul Roof Garden, dove furoreggiavano le star fino agli anni Ottanta.
La cassaforte che ingoiava con le fiches miliardi all’anno, è sotto del 35 per cento negli incassi, svuotata dalla crisi e dal gioco d’azzardo polverizzato ovunque, perfino nei bar delle periferie più sperdute. Dov’è la Destra in questa regione sfilacciata nella distribuzione del potere? A Genova il sindaco impugna il suo timone guardando con più perplessità gli scogli che possono piazzare le ciurme in rivolta e, magari i grillini, i cinque consiglieri che si sono conquistati i seggi comunali. E che mentre volava la palombella di Doria, che incominciava la sua rivoluzione, il suo draconiano spoyl sistem, hanno fatto la prima gaffe.
Si sono presentati, i cinque consiglieri Cinque Stelle, agli uffici comunali chiedendo di avere accesso al più banale dei benefit per un pubblico amministratore: il telefonino a spese del Comune. Gliene hanno dato solo uno, per il capo, cioè Paolo Putti, il più votato, quello che rischiò di andare al ballottaggio. Gli altri non avevano diritto. Chissà cosa avrà detto, sulla collina di sant’Ilario, Beppe Grillo?