GENOVA – Si può proprio dire che è una palombella e per di più rossa quella che il nuovo sindaco-doge di Genova Marco Doria fa volare nel cielo di Genova a trentanove giorni dalla sua elezione, in uno scenario di sconquasso dei partiti politici e delle loro alleanze. La palombella si chiama Alessandro Ghibellini, notissimo avvocato e consulente di diritto del lavoro, il legale che ha seguito per decenni con il suo studio le vicende dei camalli del porto, di Paride Batini, il mitico console della CULMV. Doria lo ha nominato vicepresidente della holding Fsu (Finanziaria Sviluppo Utilityes) la società, 50% per Genova e 50% Torino, che con il suo 30% costituisce l’azionista di maggioranza di Iren la grande società di acqua, energia e gas che è l’ultima cassaforte piena di capitali dell’assetto municipale incrociato tra la Superba e l’ex regno sabaudo, con propaggini di partecipazioni sempre più solide in altre direzioni, Emilia Romagna compresa.
E la palombella c’entra eccome, perchè Ghibellini è stato in gioventù un popolarissimo campione nazionale, olimpico e mondiale dello sport che tutt’ora furoreggia in Liguria e non solo, la pallanuoto, che il celebre film di Nanni Moretti, appunto “Palombella Rossa”, ha reso noto al mondo. Ma la palombella può non essere necessariamente solo un tiro che sorvola il campo di gioco ( o di intrigate mosse politico-finanziarie) morbidamente. Può anche essere una saetta, un tiro forte che entra in rete, abbattendo gli avversari. In questo caso la palombella del campione Ghibellini ha decapitato il suo predecessore, un altro avvocato di grido a Genova, Ernesto Lavatelli, che era stato piazzato al vertice di quella società dalla signora sindaco, predecessora di Marco Doria, la scatenata Marta Vincenzi. Con una specie di editto folgorante Lavatelli è stato rimosso e sostituito in una posizione chiave del potere reale, quello che incrocia Genova con le altre città del Nord Ovest e misura il suo peso nella mappa delle società partecipate più ricche e dove si calcolano i business del futuro.
Che ci azzecca la palombella sullo sfondo sempre più cupo della Superba, dove il galeone di Marco Doria, erede dei grandi ammiragli e comandanti di un tempo glorioso che non torna proprio più, fila dritto con la prua contro le onde di libeccio e il gonfalone che sbatacchia a poppa, oltre il castello del timoniere, che è lui in persona, il sindaco-doge?
C’entra eccome, perchè la mossa del sindaco corrisponde alla tattica frontale, che il successore di Andrea e Giorgio Doria, 450 anni dopo in capo alla città con lo stesso cognome, sta mettendo sul suo campo di regata di fronte alle difficoltà sempre più esplosive della politica genovese. Si procede per editti e per decisioni rapide e quasi rivoluzionarie rispetto al passato, facendo saltare il grimaldello di vecchie e nuove possibili alleanze, come se il quadro si fosse oramai spappolato, perfino nei meccanismi più cristallizzati da decenni del potere magmatico, che la old Sinistra aveva steso come una cappa di piombo su una città dal 1975 governata dalla stessa catena di comando, Pci, Psi, Pds, Ds, poi PD con entrate e uscite della sinistra radicale ed ora dell’Idv di Di Pietro, che fa i capricci, alzando le onde di libeccio in faccia al nuovo sindaco.
Siccome la signora sindaco Vincenzi aveva lasciato sul tavolo Luigi XVI del nobile ufficio dentro al palazzo seicentesco del Municipio, sbattendo la porta, la polpetta avvelenata del bilancio di previsione ancora da approvare, oggi i nipotini di Di Pietro, che a Genova sono una formazione molto composita per estrazione, si sono messi di traverso, annunciando che voteranno contro, facendo mancare i propri voti al sindaco Doge, non condividendo i conti che Doria ha preparato di fretta e furia su quelli della precedente amministrazione, con la variazione Imu. “Non si può colpire solo il cittadino con l’Imu e mantenere stipendi d’oro ai 93 superdirigenti del Comune, beneficiati anche con succulenti premi di produzione”_ urlano gli Idv, che avevano “coperto” la Vincenzi fino alle elezioni pur con qualche capriccio.
La ciurma dipietrista, che si ammutina sul galeone di Doria, manco fossimo a bordo del Bounty in navigazione nei mari del Sud, cerca di equilibrarsi tra le spinte anti Monti del suo leader nazionale e la necessità di non mollare tutto il potere in Liguria. L’uomo forte è un ex sindacalista di Ps, Giovanni Paladini, diventato deputato Idv, passando per la Margherita e coniugato con Marilyn Fusco, una avvenente quarantenne, ex segretaria in Regione, diventata in rapida successione consigliere comunale, poi assessore regionale e, addirittura, vicepresidente della giunta regionale. Ma non c’è solo il blocco famigliare che spinge le ambizioni Idv: nella veste di suggeritore filosofo compare Nicola Scialfa, uno dei presidi più noti della Liguria, già alla testa delle scuole storiche di Genova come Il Cristoforo Colombo, il liceo classico più antico e “trasversale” della città e il Vittorio Emanuele, istituto tecnico più grande della intera Liguria.
Scialfa, figlio di un minatore di Enna, è diventato l’ideologo Idv, amico personale di Beppe Grillo e di Leoluca Orlando, si equilibra tra le sue origini rifondarole e le tattiche mediatorie nei confronti di Doria, rispetto al quale ha indubbie reverenze storico-culturali. Il figlio del minatore e l’erede dei magnanimi lombi, che più magnanimi di così non si può.
Poi c’è, in questa funambolica compagnia di giro anche Alberto Gagliardi, ex democristiano fedelissimo della Dc di sinistra d’antan, poi scudiero di don Baget Bozzo, deputato e sottosegretario di Berlusconi, che lo deluse a morte, approdato sulla sponda dipietrista.
In questo guazzabuglio di ciurma che si raduna a poppa del galeone per ordire l’ammutinamento entro la data ultima di approvazione del bilancio, ci sono altre sorprese. Infatti, chi si sta arrampicando a bordo, scalando le murate del “barco” di Doria, quasi a sorpresa con cime e rampini appuntiti?
Ma sono, ovviamente gli Udc, i consiglieri che nella campagna elettorale avevano scelto di appoggiare, con la benedizione di Casini, il contendente di Doria, il professor Enrico Musso e che ora con una mossa molto viscida stanno facendo la loro scilipotata in salsa genovese e vanno a portare al sindaco i loro voti per salvare la baracca, meglio la barca da un clamoroso affondamento, a quaranta giorni dal voto e a trenta giorni dal varo della nuova giunta.
L’uomo forte di questa Udc, che in regione sta già a sinistra a sorreggere Burlando, è Rosario Monteleone, un altro ex di Rinnovamento Italiano, poi della Margherita, poi Pd, oggi leader Udc e presidente del Consiglio regionale, uomo molto forte elettoralmente e benedetto e protetto dal cardinale eccellentissimo, Angelo Bagnasco.
Ecco così che il galleggiamento del famoso galeone di Marco Doria nella prima tempesta della prima tappa della prima rotta del primo mandato di sindaco-doge-marchese, dipende da questi uomini forti, non a caso tutti corpulenti e con voci tonanti: il Paladini dipietrista, lo Scialfa spin doctor con possanza fisica imponente, il gigantesco Monteleone.
Doria li fronteggia impugnando il timone con un tocco che è subito diventato nobile, come le sue profondissime radici, affondate fino al 1303, non si fossero mai smarrite. Non si presenta più scravattato, ma soprio, elegante, parla forbito, appare gelido e appropriato in ogni apparizione. Ha già capito che la sua opposizione è l’ammutinamento a poppa e non quella che dovrebbe assaltarlo dall’altra parte dello schieramento politico. Il centro destra, a parte il professor Musso da lui sconfitto nel ballottaggio, si sta liquefacendo, come travolto dalla lava che fuoriesce dal cratere di Imperia, dove l’impero di Claudio Scajola, leader nazionale, ma sopratutto ligure, è finito con il commissariamento per mafia dei comuni di Ventimiglia e Bordighera e dal crollo di quello del capoluogo per la storia del megaporto degli scandali veri o montati. Lo Scajola può sicuramente non avere nulla a che fare con quelle torbide vicende, ma il suo ruolo sul territorio, un potere quasi assoluto dove era finito mentre i gangli della malavita calabrese, siciliana e internazionale impiombavano la ricca provincia di Imperia?
Di fatto nella roccaforte del potere azzurro, che l’ex ministro berlusconiano amministrava con sicurezza, ora non vi è più nulla di certo: tutto è subordinato alle inchieste della magistratura che crocifiggono le amministrazioni pubbliche e, dove non lo fanno, lasciano sospese spade di Damocle gravose come i pesi della bilancia di Brenno. Guai ai vinti. A Sanremo il mitico casinò sta spegnendosi come le candele all’alba nelle notti di gala sul Roof Garden, dove furoreggiavano le star fino agli anni Ottanta.
La cassaforte che ingoiava con le fiches miliardi all’anno, è sotto del 35 per cento negli incassi, svuotata dalla crisi e dal gioco d’azzardo polverizzato ovunque, perfino nei bar delle periferie più sperdute. Dov’è la Destra in questa regione sfilacciata nella distribuzione del potere? A Genova il sindaco impugna il suo timone guardando con più perplessità gli scogli che possono piazzare le ciurme in rivolta e, magari i grillini, i cinque consiglieri che si sono conquistati i seggi comunali. E che mentre volava la palombella di Doria, che incominciava la sua rivoluzione, il suo draconiano spoyl sistem, hanno fatto la prima gaffe.
Si sono presentati, i cinque consiglieri Cinque Stelle, agli uffici comunali chiedendo di avere accesso al più banale dei benefit per un pubblico amministratore: il telefonino a spese del Comune. Gliene hanno dato solo uno, per il capo, cioè Paolo Putti, il più votato, quello che rischiò di andare al ballottaggio. Gli altri non avevano diritto. Chissà cosa avrà detto, sulla collina di sant’Ilario, Beppe Grillo?