Doria, Grillo, Musso: Genova laboratorio elettorale. Ma il 45% non vota

Marco Doria, candidato sindaco a Genova

GENOVA – Venghino, venghino a Genova e in Liguria a contemplare lo sconquasso dei partiti politici sotto schiaffo, attraverso la lente di ingrandimento della campagna elettorale che eleggerà tra il 6 maggio e forse il 20, in caso di ballottaggio, il sindaco di Genova e il consiglio comunale di 40 consiglieri e i rappresentanti di nove municipi, i cosidetti minisindaci. Il capoluogo di Regione più importante di una tornata elettorale amministrativa di capitale importanza, in piena bagarre anti partitica e nel cuore della recessione più pesante con i Comuni indicati come la vera frontiera del disastro. Venghino a vedere come questo patatrac dei partiti sotto i colpi degli scandali di ogni latitudine italiana qui produce un effetto devastante.

I sondaggi, prima di dire chi è in testa per la corsa al trono di palazzo Tursi sede del Comune e chi affonda, e prima di misurare le probabilità che il candidato della Sinistra, il marchese “rosso” Marco Doria, discendente di uno dei trentaquattro rami famigliari nati dalla quercia di Andrea Doria, l’ammiraglio, il doge, del sedicesimo secolo, ti sparano che il 45 per cento dei votanti non ci pensa nemmeno a preparare il certificato elettorale la mattina del 6 maggio.

Tutti a casa o al mare, come diceva Craxi nel 1992. E gli Osservatori, costruiti dai siti on line, come quella di Repubblica, per misurare la febbre elettorale ti annunciano che la temperatura è bassissima, il 72 per cento di chi si collega dichiara il proprio distacco dai partiti. E allora, prima di analizzare come si svolge la battaglia elettorale, se i tredici candidati sindaci e gli oltre mille candidati consiglieri stanno combattendo tra di loro con forza, contrapponendo idee e programmi, è meglio fermarsi e mettere in vitro questa debacle di “affetto elettorale”, questa probabile fuga dal voto.

Non è questa la città di Belsito Francesco, il tesoriere scomunicato della Lega, abitante in via Fiasella nel quadrilatero centrale della città, ex autista del ministro di Forza Italia Alfredo Biondi, passato alla Lega per uno stipendio fisso, diventato lo scagnozzo del precedente cassiere, Maurizio Balocchi, un chiavarese deceduto quattro anni fa? Non è Belsito, l’uomo della bomba che costa il trono a Bossi and family? E non è questa la città e la Regione che hanno mandato in Parlamento l’ineffabile Lusi, eletto proprio a Genova nel 2008, l’altro tesoriere dello scandalo che ai meschini dirigenti della Margherita genovese rispondeva per lettera che non aveva i mille euro mensili per tenere aperte la sede di partito, perchè in cassa non c’era un euro, mentre nelle sue tasche gli euro erano milioni di milioni e lui rispondeva così ai disperati dirigenti “margheriti” genovesi, prenotando, con l’altro telefono, i resort da cinquemila euro al giorno alle Maldive con gli stessi soldi. E non è questa la regione dove la provincia più piccola e politicamente più potente, quella di Imperia è sprofondata negli scioglimenti per connessioni mafiose dei comuni di Ventimiglia e Bordighera e nella pantomina della giunta tecnica al Comune di Imperia capoluogo, dove per resistere allo scandalo il sindaco Pdl Franco Strescino, ex scudiero di Scajola, ha nominato cinque esperti che dipanino la matassa del porto di Caltagirone-Scajola, costato chissà quanto?

Anche qua soldi di spese pubbliche gonfiate, ma non per metterseli in tasca fregandoli ai cittadini dalla cassaforte di partito, ma succhiandole dal capitolo opere pubbliche, che sempre i cittadini pagano.

Questo è lo scenario nel quale si va a votare e dove i sondaggi esplodono non come fuochi artificiali che illuminano e chiariscono quello che sta per capitare, ma come quei segnali che tanto per restare nel clima degli anniversari partono dalla tolda del Titanic e annunciano che la nave sta per affondare.

La nave dei partiti politici, in viaggio nel Golfo di Genova, sembra proprio in mezzo a una tempesta che non si placa. La battaglia al ribasso tra i tredici candidati sembra quasi la prova del nove di questo inesorabile inabissamento e puoi pure divertirti a circolare per i luoghi dove lo scontro politico si consuma per trovare conferme.

Provare per credere. Arriva a Genova il Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, che un anno fa ha scoperchiato la capitale lombarda, mandando a casa nell’ordine il candidato democrat Tito Boeri e poi la zarina Letizia Moratti e viene a suonare la grancassa per il suo possibile epigono, Marco Doria, candidato a copiare il suo exploit, trionfante nelle Primarie di coalizione e pronto a infilzare i concorrenti della Destra e del centro, per altro non supportati dalla trionfale tradizione meneghina.

Qui la Sinistra governa ininterrottamente da 22 anni e salvo una pausa tra il 1985 e il 1990, sempre dal 1974 in avanti. E cosa ti combina il Pisapia? Tira per il collo il Pd genovese, perchè alla maximanifestazione del’accoppiata con Doria sono assenti le leader del Pd e in particolari le sue sfidanti sconfitte clamorosamente a febbraio, Marta Vincenzi la sindaco uscente e Roberta Pinotti, la senatrice arrivata terza in quella tenzone.

Il sindaco milanese tira fuori dai denti quello che tutta la città di sinistra sta osservando, lo scarso calore e la intermittente partecipazione con la quale il Pd sta alle spalle del candidato scelto nella pre selezione. Un programma di coalizione vero e proprio, a venti giorni dal voto, non è ancora uscito e l’erede di Andrea Doria sembra più impegnato a trovare una sua strada che a mettere insieme i cocci della maggioranza di sinistra. La “continuità” con la giunta precedente e, quindi con il decennale governo di Giuseppe Pericu, il sindaco Pd che venne prima della Vincenzi e che da lei fu bacchettato ininterrottamente, è già andata a farsi benedire. Forse si è persa subito sui viadotti e nei tunnel della Gronda, la tangenziale che Autostrade dovrebbe costruire per sturare Genova, della quale si parla da venti anni, alla quale manca solo il Via ambientale e che Marco Doria non ha ancora detto se vuole o no, beccandosi l’epiteto più efficace di tutta la campagna elettorale: “grondivago”.

Insomma il Pd non spinge abbastanza il suo leader, che paradossalmente si trova meglio insieme all’Idv, alleato della Vincenzi, ma capace di sgambettarla fino all’ultimo giorno. E ogni giorno qualcuno del Pd o vicino al suo apparato annuncia di preferire a Doria, Enrico Musso, il candidato più trasversale dello schieramento, ex Pdl, oggi campione “civico” appoggiato dal terzo polo di Casini-Fini-Rutelli, ma sopratutto liberal e riformista. Nello stesso Pd consegne segrete raccomandano addirittura di disgiungere il voto, indicando Musso per il ruolo di sindaco e scegliendo i candidati Pd per il Consiglio.

Il partito sembra scollato, come una zattera che le Primarie hanno sbattuto sugli scogli, quelli che Bersani-Crozza, nella loro gag, non “sono venuti a smacchiare”, ma che sembrando sempre più appuntiti sotto la chiglia del galeone di Marco Doria.

E a destra? Qui c’è da osservare un inabissamento ancora più deciso. Il candidato Pierluigi Vinai, tra l’altro non genovese, particolare che non va tanto giù, scelto dopo una raffica di “no” a una raffica di candidatura di imprenditori, liberi professionisti e manager, scelto per disperazione l’ultimo giorno utile, fa una campagna molto tranquilla, si sente protetto dalla sua affiliazione all’Opus Dei. Non passa giorno senza che indirettamente, strofinandosi le mani e gli anelli pretescamente, Vinai non dimostri, con prese di posizione più misurate sulla tonaca della Curia e sulle ispirazioni dei cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato e Angelo Bagnasco, arcivescovo genovese e presidente Cei che su un programma di amministrazione della città, il suo status di candidato clerico-politico. Povero Vinai, che potrebbe fare di diverso? Il suo aruspice, Claudio Scajola, il leader non solo di riferimento, ma il talent scout della sua carriera, è impallinato tutti i giorni dalle vicende imperiesi e non può certo fare un solo passo in direzione del suo candidato. Se lo facesse lo zavorrerebbe ancora di più, di quanto già non sia.

E, quindi, chi può supportare da Destra il candidato favorito dagli scollamenti democratici? La Liguria è terra bruciata per la Pdl. L’unico uomo forte, il senatore Luigi Grillo, nemico numero uno di Scajola, eletto fuori dalla Liguria, è stato il sostenitore di tutte le candidature precedenti a quella forzosa del Vinai.

Per beffa del vocabolario l’ultima di queste era stata per un Carneade, tal Gianfranco Vinacci, manager genovese trasferito a Milano, bocciato da Scajola&Co: tolte le due “C” dal cognome, Vinacci è diventato, appunto, Vinai.

Lo stesso Alfredo Biondi, ultima vecchia gloria della Pdl e di Forza Italia, parlamentare per nove legislature, ha pubblicamente annunciato il suo appoggio a Musso.

Anche la Lega ha i suoi guai, pur avendo schierato uno dei candidati più pimpanti, il giovane Edoardo Rixi, consigliere regionale. Belsito e i suoi affari pesano come un macigno anche sulla Lega genovese e ligure per la quale questo signore quarantaquattrenne, nato nel quartiere periferico di Quezzi, inspiegabilmente divenuto tesoriere ed anche sottosegretario al Governo Berlusconi, era una specie di sconosciuto, uno da andare a chiedere di cercarlo in tv nel programma “Chi l’ha visto?”, tanto era partecipe delle emergenze genovesi, compresa quella altamente drammatica della Fincantieri, della quale, per altro, il Belsito era stato anche vicepresidente.

Ci deve essere un destino segnato nel fatto che l’inizio della fine per Belsito parte proprio da Genova, dove il quotidiano Secolo XIX, con due suoi giornalisti, Claudio Mangini e Giovanni Mari, scopre l’operazione Tanzania, facendo deflagrare la Lega…..Genova periferica e baricentrica.

Sotto la cifra del 45 per cento di possibili “non voto”, gli ultimi sondaggi indicano un Doria che scende al 47 per cento e si allontana quindi da un possibile successo al primo turno e un Musso che sale al 24 per cento con Vinai al 13 per cento. I grillini con il leader Beppe Grillo, un po’ in smobilitazione, sarebbero capaci di portare via almeno un 6 per cento alla sinistra nel primo turno sono la raffigurazione dell’antipolitica sulla scena genovese.

Ma è tutto il quadro che è diventato violentemente antipolitico e antipartitico e allora chi può approfittare dello sconquasso è ancora il senatore Musso, il civic, ammesso che la sua vecchia appartenenza e il suo strappo da Berlusconi non lo facciano mettere nel mucchio. Intanto con lui si schierano non solo i silenziosi dissidenti Pd, ma anche alcuni dei nomi più altisonanti della città, come Gino Paoli, il grande cantautore che fu anche deputato Pci, notoriamente uomo di sinistra, la Jena Luca Bizzarri, star tv di prima grandezza, un grande totem della Rai, come Arnaldo Bagnasco, l’inventore di Mixer. Non solo, insomma, quattro amici al bar.

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Alberto Francavilla