Ma sono come scintille nel buio di una decadenza nella quale la vecchiaia e l’abbandono imprenditoriale non possono essere bilanciati dal settore terziario, il boom delle Crociere, con i grandi liners del mondo, Msc, Costa Carnival, che scelgono Genova (e anche Savona, nei secoli rivale), l’esplosione turistica con l’Acquario, terza o quarta attrazione per numero di biglietti staccati in Italia o con le luci da Luna Park nel porto antico, disegnato da Renzo Piano per il 1992 del Cinquecentenario Colombiano, e rimasto nel guado tra vera risorsa economico sociale e luogo da ridefinire, tra biosfere, Museo del mare, vecchi galeoni di pirati per far impazzire i bambini, sommergibili da visitare, restaurant a costo variabile, porticcioli turistici, darsene, Stazioni Marittime e per traghetti e zero alberghi abbordabili per le ciurme dei turisti con le tasche vuote, che arrivano ma non sanno neppure dove posteggiare. Altro che dormire e soggiornare.
La battaglia di Genova comincia da questo destino incerto, dalle scelte non fatte, dai tagli secchi a investimenti e programmi, che hanno impedito che in questo trentennio si costruisse un solo metro di nuova autostrada, di nuovo valico appenninico, per svuotare il porto dai container che arrivano sempre più difficoltosamente su rotte incerte, calpestate dalle crisi globali e da quelle recenti, come la tempesta del Nord Africa in fiamme, una tangenziale, una metropolitana, una busvia, un trenino, un tunnel sottomarino, un ponte che scavalchi gli strangolamenti permanenti dello scalo ma anche della città, quella striscia stretta tra mare e colline rosicchiate di speculazione edilizia, che se piove franano e se succede un incidente che chiude un’arteria, l’infarto stradale devasta tutte le comunicazioni da Ponente a Levante.
La povera SuperMarta ne ha tentate tante a parole, si è perfino inventata un “dibattito pubblico” (battezzandolo, perchè fa fino, alla francese un debat public) per scegliere democraticamente come vuole lei, il percorso di una supertangenziale autostradale detta “Gronda”, che sturasse il nodo delle comunicazioni genovesi. Assemblee in tutti i quartieri: volete che la gronda passi di qua o di là? Sei mesi di risse-dibattito e alla fine la prima trivella pronta a bucare una collina è stata circondata da verdi, ambientalisti, abitanti che le debat public aveva aizzato, altro che una vera discussione democratica!
E pensare che i soldi in cassaforte per costruire questa benedetta Gronda ci sono, ma i genovesi non riescono a decidere il suo percorso da una ventina di anni. Il predecessore della Vincenzi che bloccò la Gronda, allora più domesticamente chiamata Bretella, era stato proprio Claudio Burlando, allora sindaco Pds, timoroso di perdere consensi nei quartieri popolari che quella tangenziale toccava.
La roccaforte rossa negli ultimi anni ha di fatto eretto intorno a se stessa muri di parole, di progetti, di slogan, di dibattiti, confronti, costruendo una specie di ragnatela dentro alla quale è difficile districarsi. Basta pensare al porto, finalmente privatizzato e ai suoi rapporti con la città: porto lungo, porto corto, porto-città, perfino porto secco, cioè quello da creare OltreApennino, per scaricare in ampi spazi padani e basso piemontesi i container, oggi appilati ovunque…