Musso correrà contro la Roccaforte, anzi è il primo che ha salpato, promettendo una lista civica trasversale, capace di pescare voti ovunque, anche tra i border line della Sinistra, magari nei quartieri un po’ snob e bostoniani, come quello di Castelletto, dove il Pd ha sempre catturato consensi, ma pure tra i berluscones delusi e tra i finiani, in verità non molto forti nella Superba e in Liguria in generale. Qui lo sfarinamento Pdl è proprio il sintomo del ribasso delle candidature.
Tutti guardano a Imperia, in attesa che l’ex ministro Claudio Scajola parli di Genova, ma lui tra ultimatum lanciati a Berlusconi in nome della sua Fondazione Cristoforo Colombo e sconquassi in quella che due penne del calibro di Francesco Merlo e Alberto Statera sul Venerdì di Repubblica hanno battezzato, appunto, Scajolaland, in un reportage di sette pagine al veleno, tace e sembra aspettare che la navigazione di Musso e la sua, trovino una rotta convergente.
Scajola parla solo per scomunicare uno dei suoi fedelissimi, Pierluigi Vinai, ex impiegato della Dc, oggi vicepresidente della potente Fondazione Carige, fedelissimo del leader di Imperia, che aveva osato sussurrare una sua aspirazione per la conquista della Roccaforte. “Sei in gamba ma non sai fare il candidato”, lo ha bruciato, denunciando le candidature, appunto al ribasso, compresa quella del deputato più ligio alla linea di Imperia, l’avvocato Roberto Cassinelli, gran signore, ma non certo uno con il coltello tra i denti, in grado di assaltare la muraglia rossa e di infilzare SuperMarta. E così il centro destra assiste al lancio della candidatura leghista del giovane Edoardo Rixi, un vero rampante padano sotto la Lanterna, terra ostica per il partito lumbard che, però, mette un’ipoteca sulla corsa, pensando che non si sa mai……Guarda cosa è successo a Torino. Nell’incertezza generale ci sono trame segretissime, come quelle che vengono mosse dalla preoccupazione per il declino della città, che fa tremare anche i portafogli e le anime dei genovesi. E così non si guarda, da Destra, solo a Imperia, ma anche alla Curia genovese, dove il cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sempre più vicino al papa Ratzinger e sempre più affrancato dal segretario di Stato Tarcisio Bertone, suo predecessore nella cattedra genovese, mostra spesso i segni della sua angoscia di pastore, nel solco della memoria di Giuseppe Siri, il cardinale principe genovese, per due volte papa mancato, cui si ispira nel tratto ed anche nella presenza terrena, esercitata sulla città.
Che farà la Chiesa, con un calibro del cardinale Bagnasco, tanto sensibile alle oscillazioni delle sue pecorelle smarrite nella Roccaforte? E che farà la banca-mamma, la Carige rimasta autonoma, diventata la sesta per patrimonializzazione nel panorama italiano, con il suo timoniere il presidente Giovanni Berneschi, che l’ha portata dai settanta sportelli di quindici anni fa ai settecento di oggi, sparsi su tutto il territorio nazionale?
Berneschi è considerato l’uomo più influente della città e dal quattordicesimo piano del suo grattacielo, nell’ombelico di Genova, da dove si fronteggia il torracchione del teatro Lirico Carlo Felice, sull’orlo del patatrac dopo essere stato riedificato nel 1990, lancia spesso veri anatemi sull’immobilismo che riduce Genova a una lago secco senza più affluenti. Senza più occasioni di lavoro, di risparmio, di credito da concedere. Le urla rimbalzano dal lago secco dei depositi bancari, tanto cari al presidente, alle mura della Roccaforte che potrebbe crollare. O no?