Fosse così sarebbe una semplice capriola in una città che, per altro, ha sempre avuto nel suo Dna un certo aplomb nei comportamenti politici. In realtà la Vincenzi ha inquadrato la sua decisione in un suo nuovo modo di fare politica in Italia, dal quale l’Italia dovrebbe imparare: “Questo è il progetto Genova che non parte dai partiti, ma dai contenuti: l’obiettivo è costruire un’aggregazione ampia sulle cose da fare, oltre il recinto dei partiti”. Insomma, Vincenzi docet e non solo Genova, ma il mondo deve imparare. Lei è un po’ delusa dal ritmo del suo Pd, lui forse un po’ choccato dal bunga bunga….
Alla faccia della capriola, la sfida della signora sindaco e del suo neo assessore trasformista ha percorso la città come uno scossa. Al Pd si sono furiosanente incazzati come i cornuti che scoprono lo sms fedifrago sul cellulare dell’ amato o dell’amata: i due segretari, il trentatrenne Lorenzo Basso, regionale e il trentasettenne Victor Razeto, provinciale, hanno preso un altro schiaffone della sindaco, che recentemente li aveva definiti dei “quaquaraquà”, mentre la Pdl, praticamente si sta sbriciolando.
La fuga dell’uomo che istituzionalmente, in una città di sinistra aveva per l’opposizione il ruolo più importante, governandone una fetta, è l’ultima botta. Con Scajola ibernato dalla vicenda della sua casa al Colosseo e dalle tempeste giudiziarie che scuotono il feudo di Imperia dove è sotto inchiesta insieme al costruttore Francesco Bellavista Caltagirone per la costruzione del superporto nautico, con le spaccature secche dei finiani nel corpo molle di una alleanza che non ha più leader, né prospettive, il fronte destr genovese, a un anno dalle elezioni comunali, sembra proprio l’esercito di Franceschielo, oppure, più drammaticamente, quello che si ritirava nelle pianure ghiacciate della Beresina. Non sanno dove andare, non sanno con chi andare e, tanto per restare nella Storia, vivono un 8 settembre, nello stile del famoso film di Alberto Sordi e David Niven “I due nemici”, quando l’ufficiale italiano sperso con le sue truppe nel deserto urla disperato: “E ora con chi mi raggruppo?”
Con chi si raggruppano i post berlusconiani e i finiani separati? Con il Terzo Polo nascente e autointerrogantesi, che sta incamerando nuovi adepti in un frullatore di ex democristiani, ex socialisti, ex liberali, ex repubblicani, tra vecchi apparati in disuso politico trentennale, come i campi cimiteriali del Monumento di Staglieno, e nuovi rampantini con la puzza sotto il naso?
Con la nuova misteriosa aggregazione politica che uno dei colonnelli più solidi di Scajola, il numeraio di Cl Pierluigi Vinai, anche vicepresidente della potente Fondazione Carige, ex Dc, Forza Italia e ora Pdl, sta lanciando nello sbragamento generale? O nella braccia della Lega che a Genova non ha mai furoeggiato, ma che ora con un bel cavallo rampante come il giovane consigliere regionale Edoardo Rixi sta mangiando grandi porzioni di consenso sopratutto nelle ex zone operaie e piazza sulle sue magliette gadget color verde l’effigie del Che? Altro che trasformismo qua, ma vera mutazione genetica del tessuto politico e grande marketing per quella generazione alla quale di capriole, trasformismi, alleanze trasversali non frega un’acca!
Non è che a sinistra se la cavino meglio. La mossa di Marta è un’ipoteca durissima sulla sua candidatura a sindaco per il quinquennio che va dal 2012 al 2017, già praticamente varata ma alla quale ora si aggiunge la nuova ipotesi di una specie di “dittatura globale” con il coinvolgimento di parti politiche nuove. Non è un caso che si sta creando un movimento che assomiglia a quello di protezione a Berlusconi in Parlamento, i “Volenterosi per Marta”, consiglieri comunali border line, che non hanno ancora fatto come il neo assessore che ha piazzato le sue terga sulla poltrona, ma che incominciano a mettere un piedino nella porta di una ammucchiata che sembra vincente. A meno che……A meno che o il senatore Enrico Musso faccia quella che in gergo calcistico si chiama la diagonale e tagliando l’area in difesa, intercetti gli elettori che storditi da Marta vagavano a centro campo. O a meno che con la forza della disperazione il cento imprenditoriale, professionale, residuo di una città semispenta, non trovi un altro cavallo su cui puntare.
Certo oggi Genova appare come stordita dalla corsa imprevista dei trasformismi e in ginocchio come mai negli ultimi decenni. Oramai demograficamente sotto la soglia dei seicentomila abitanti, con un trend negativo anche nell’afflusso degli immigrati, sta per sfiorare l’indice di invecchiamento più alto dell’Europa e quindi del mondo. Si litiga per tutto, dalla collocazione di un superbacino per la riparazione delle grandi navi che sloggerebbe lo storico Yacht Club, circolo snob ma dalle solide tradizioni di stile e probità, alla costruzione di una moschea(che nel 1300 Genova aveva già), alla privatizzazione dell’Aeroporto che è il ventiduesimo per traffico nella classifica italiana, alla costruzione di un nuovo stadio, al degrado dei giardini comunali, affidati alla società Aster, quella sulla quale governava la assessora silurata dalla sindaco per far posta al trasformista Ottonello. Appunto, si riparte dalle aiuole e dai giardini che una volta erano il vanto dei genovesi capaci di inventare Euroflora, la supermostra che ogni cinque anni richiama pubblico da tutta l’Europa e che ora sono cessi a cielo aperto nel cuore della città, tra progetti di box da fare sotto le aiuole e le piante storiche e abbandoni totali, covi di drogati a due passi dalla statua di Mazzini e da quella di Vittorio Emanuele II, nell’ombelico genovese, nell’anno in cui si celebra l’Unità d’Italia. E forse qui, di quella storia unitaria, vogliono vivere tutti i capitoli, compreso quello del trasformismo.
