Le bandierine del primo turno Renzi le piazza soprattutto a Levante della città, nella bella addormentata Nervi, turistica e residenza protetta per emigranti di lusso dalla Padania e per calciatori sampdoriani, che hanno lì vicino il loro campo di allenamento, ad Albaro, il quartiere ultrabenestante della città, al bordo del mare e nell’ombelicale quartiere di Carignano, sopra la city genovese, lunghi viali e due grandi chiese tra le quali la basilica costruita dall’Alessi.
Nel resto della città la roccaforte rossa non segnala cedimenti, ma solo qualche spia diversa, come nel seggio di palazzo Ducale, il Beaubourg genovese, che un anno fa segnò l’inaspettato trionfo nelle Primarie di Marco Doria, indipendente del Sel contro lo zarine Marta Vincenzi, sindaco uscente e Roberta Pinotti, senatrice.
Qui sono andati a votare quei borghesi, anche di alto lignaggio che decisero di rompere, appunto, l’assedio della vecchia nomenklatura post Pci e scelsero il figlio del marchese rosso Giorgio Doria, il prode Marco che da sei mesi regna su una Genova dolorante e molto divisa anche nelle sue maggioranze di governo, tutte spostate a sinistra, ma tutte un po’ lacerate fino a queste Primarie della “chiamata alle armi” di Bersani.
Il segretario nazionale, infatti, stravince in una città e in una regione dove le barricate che si stanno alzando sui governi cittadini e regionali fronteggiano un panorama sempre più allarmante.
In Regione l’ultimo scandalo ha espulso dalla giunta la sua vicepresidente Marilyn Fusco, ex Idv che era anche l’assessore all’Urbanistica, costretta a dimettersi, ma non a ripiegare del tutto, perchè è rimasta nel ruolo di capogruppo del suo partito, sostituita nel delicatissimo ruolo di assessore da Cascini, compagno di un partito che si stava dissolvendo e rimpiazzata come vice presidente dal preside di scuola Nicola Scialfa, un corpulento consigliere regionale, atterrato in politica da poco e già traslocato da Rifondazione, poi all’Idv ed ora, insieme alla bella Marilyn, in un nuovo gruppo, dove si sono rifugiati i transfughi di Di Pietro, agli ordini del deputato Giovanni Paladini, anche lui con intenso passato politico: sindacalista del Sap, Dc, Popolari, Margherita, e poi Idv. Il trasloco nel cuore della maggioranza regionale, dominata da Claudio Burlando è seguito di pochi giorni alle dimissioni della signora Fusco, che è maritata Paladini.
Come se niente fosse si sono creati il loro gruppo, strappando da Di Pietro il quale è corso a Genova non per prendere per la giacca i transfughi, ma per garantire che non cambiava nulla rispetto al governo regionale e rispetto alla fedeltà a Bersani. Eravamo o no alla vigilia delle Primarie, dello scontro con Renzi?
Quindi tutti compatti e pronti a sostenere il segretario. E chi se ne frega dei tradimenti, di chi siede in consiglio regionale a 10 mila euro netti al mese, grazie ai voti presi con il marchio di Di Pietro e ora lo molla per “superiori” destini e dissensi insanabili.
Ecco come si spiega ancora meglio il risultato che blocca la nomenclatura del Pd e degli alleati, senza nessun tremore in un ampio cerchio di alleanze che governano la Liguria e Genova, partendo dell’Idv e dai suoi fuoriusciti, continuando con l’Udc del potente Rosario Monteleone, presidente del consiglio regionale, il leader che ha fatto pendere dalla parte della sinistra le elezioni regionali, scegliendo Burlando e non appoggiando nelle elezioni comunali il senatore Enrico Musso, pure sostenuto a Roma da Casini, e continuando ancora con Sel che in Comune scalpita ma che il regione stringe le vite dell’alleanza.
Si alzano i ponti levatoi e si getta l’olio bollente dai bastioni della roccaforte rossa di Genova sui renziani e su chiunque alimenti un dissenso pericoloso per la solidità della roccaforte stessa, quella che nessun esercito è riuscito a conquistare, se non nel 2000, quando Sandro Biasotti, un imprenditore brillante del trasporto, candidato da Berlusconi, riuscì a conquistare per cinque anni la Regione.
Eccola lì la eccezione che conferma la regola della nomenclatura oramai cristalizzata da decenni, intorno a un politbureau nel quale siedono ancora sempre più in un silenzio operoso ed efficace i vecchi del Pci, come l’ex deputato ed ex vicesindaco, oggi ottantenne, Pietro Gambolato, e la generazione degli ultracinquantenni-sessantenni, come lo stesso Claudio Burlando, Graziano Mazzarello, Ubaldo Benvenuti, Mario Margini, una vita da assessore, ex uomo di fiducia del sindaco pre Vincenzi, Beppe Pericu e la oggi caduta in disgrazia, Marta Vincenzi, già presidente della Provincia, eurodeputata e sindaco per un solo quinquennio, interrotto un po’ bruscamente e “fucilata” alle Primarie.
I giovani, che qui non sono né visigoti né turchi come a Roma nel cuore del Pd, si sono perfettamente innestati in quella nomenclatura, dopo che gli strappi con la Vincenzi si erano consumati. Oggi il segretario regionale è un trentacinquenne, Lorenzo Basso, cattolico e consigliere regionale, molto ben visto da Bersani, spalleggiato dal commissario provinciale Giovanni Lunardon, chiamato a sostituire l’unica vittima del caso Vincenzi, il segretario Victor Razetto, il solo di quella nomenclatura identitaria a essere passato con Renzi.
Gli altri “giovani” sono compattamente sulla linea bersaniana, dalla senatrice Pinotti, che, assorbito lo smacco delle Primarie perse, al deputato Mario Tullo, quarantacinquenne, dinamico e trasversale nella città. Nel grande alveo del segretario confluiscono tutti, pronti a difenderlo nel gioco delle regole per il ballottaggio con metodi bulgari, qualcuno sostiene anche polemicamente con “sistemi da ex DDR”( la Repubblica democratica tedesca).
Ma il panorama che si contempla dalle mura del bastione della roccaforte diventa sempre più cupo. Il giorno del risultato al primo turno “primario” Genova era paralizzata dai simultanei cortei degli 1765 operai Ilva, scesi a difendere lo stabilimento numero uno dell’acciaio in Italia, quello che occupava 15 mila operai negli anni Cinquanta e Sessanta, che ha chiuso la lavorazione a caldo nel 2005, risolvendo il rebus lavoro-salute e dei 2500 di Ansaldo Energia che Finmeccanica vuole vendere per sanare i suoi conti alla faccia dei risultati aziendali.
Più in là Fincantieri, l’altra fabbrica originale della storia industriale genovese, aspetta che si determini il suo futuro, settanta anni dopo il varo della Rex e quaranta dopo quelli della Michelangelo e della Raffaello.
La città è aggrovigliata nell’intrigo delle infrastrutture che non decollano, la famosa tangenziale chiamata Gronda, in parte finanziata, che non parte e che il sindaco-marchese non vorrebbe e il Terzo Valico, la direttissima finanziaria con la Padania, che ha già due lotti finanziati, ma l’irremovibile opposizione dei no Tav e delle popolazioni che dovrebbero essere attraversate da questa linea di trentacinque chilometri nella pancia dell’Appennino.
I traffici del porto si stanno lentamente alzando, ma il presidente dell’Autorità portuale genovese ha già annunciato che se ci saranno nuove infrastrutture nel 2015 lo scalo sarà strangolato dai container. Il porto che venti anni fa era decimo nella classifica mondiale, oggi è al settantreesimo posto……Riuscirà la nomenklatura vincente con Bersani ad essere tanto forte da ottenere politiche più favorevoli all’industria, al porto, al futuro genovese. O la sua vittoria avrà il suono sinistro del rantolo che segue il vecchio Gemito, alleanza perduta nel Nord Ovest?