Lo tsunami demografico è già passato nelle viscere della città avviata al suo deserto demografico, ha alzato le percentuali di anziani e soli: già 54 mila ultrasessantacinquenni vivono da soli e più si invecchia più la solitudine diventa una condizione primaria del default demografico. E non è solo un caso di solitudine, ma anche di abitazioni dove i soli vivono con pensioni che non consentono più di mantenerle. Ecco allora una tendenza esplosiva: vendere la casa e mantenere la nuda proprietà, un altro modo di aiutare figli e nipoti e le loro famiglie, quelle di chi ha scelto di restare a Genova, in Liguria e di non trasferirsi oltre Appennino per trovare case a miglior prezzo o in Piemonte e Lombardia, dove le case sono a miglior prezzo.
Le popolazioni di cittadini e paesi come Arquata Scrivia e Gavi nel primo entroterra già piemontese-alessandrino sono raddoppiate. Mica scherzi. E a Genova le case abitate da un solo anziano ultrassessantacinquenne sono già 55 mila. I geriatri tremano perché gli anziani invalidi, autosufficienti aumentano e sono oramai centinaia e centinaia da assistere e curare in ospedali, centri, ricoveri, conventi dove i confini della vita stessa cambiano, grazie alla medicina del terzo Millennio, che garantisce la sopravvivenza anche se non ci si può più alimentare autonomamente.
Macchine moderne e medicine dilatano questa sopravvivenza a dismisura in una società che non ce la fa più. E pongono enormi problemi etici: non solo se è giusto chiamare vita quella “persistenza”, ma anche se è giusto che su tutto quello si costruisca un colossale business di farmaci, medici, badanti, assistenti, strutture….E’ una visione apocalittica? Non a caso gli americani dell’Arkansas sono piombati a studiare la Liguria perché si tratta di un caso pilota nel mondo, paragonabile solo a qualche enclave giapponese. Insomma i genovesi e i liguri come quei giapponesi che resistevano negli atolli dopo la guerra finita da anni e anni, ma con la differenza che qui la guerra demografica è appena incominciata e gli atolli sono i confini di una terra bellissima, ma avara di vita, di lavoro, di capacità di rinforzarsi e che i figli orgogliosi del Sol Levante si arrendevano, se non si erano suicidati prima, i liguri strainvecchiati soccombono da soli e nessuno rende loro l’onore delle armi.
Il Foglio nel suo reportage intitolato perfidamente “Finale ligure”, come se questa fosse un vero de profundis, sostiene che il canto dell’estinzione sia stato intonato nel disinteresse generale. Succede ma nessuno reagisce, anche per colpa di quel pudico understatement genovese e ligure. Quei signori e quelle signore sorretti dalle badanti nei viali della ex Superba sono ancora vestiti come ai tempi dello splendore genovese, quando furoreggiavano negli scagni dorati dei grandi affari genovesi: foulard di seta, pellicce calde, e nel declino di questa estate calda eleganti cappelli di Panama.
Il governatore della Liguria, Claudio Burlando, pd ex pci, pds, ds, Ulivo, ex sindaco ed ex ministro, ha vinto le sue battaglie elettorali che lo hanno innalzato sul trono di questo regno bombardato demograficamente con uno slogan: “La Liguria dove è, come è”. Come dire: guai a chi la tocca, che già da sola è viva e preziosa. Ma i tempi delle profezie di Fernand Braudel, il grande storico francese, esperto del Mediterraneo e sostenitore della magica centralità genovese e ligure foriera di grande futuro, sono passati. Ora arriva lo tsunami. Demografico. E il rischio è l’estinzione.
