Genova (e la Liguria) si estingue: restano i vecchi e le badanti

Una veduta di Genova (Lapresse)

GENOVA – In certi viali alberati della nobiltà residenziale genovese, nel bostoniano quartiere di Castelletto, sulle alture morbide sopra i vecchi “caruggi” o nella più hollywoodiana Albaro, quasi in riva al mare, la scena si ripete ad ogni metro. Anziani curati e ben vestiti camminano aggrappati a badanti di tutte le razze o vengono sospinti su carrozzelle luccicanti. Strade quasi deserte di passanti, con il traffico automobilistico rarefatto, ma percorse da queste coppie diseguali per età, razza, censo che ritrovi ad ogni angolo, soprattutto nelle stagioni dolci o nelle ore assolate di questo settembre scintillante, quando tutti i parametri del mondo occidentale sembra stiano per saltare. Parametri ko, dalle banche dove le palanche dei genovesi rimpinzano le casseforti, dai listini di borsa che sono un orologio rotto, ancor prima che tutti lo immaginassero negli scagni o negli ex scagni della ex potenza finanziaria del secolo XVI, quando la Repubblica di Genova dominava il mondo, inventava il tasso di sconto e finanziava gli imperatori di allora, Carlo V prima di tutti, gli Obama senza default di oggi, quando i Dogi andavano a Parigi dal re Sole, magari a inchinarsi, ma da pari a pari.

Nel retroporto immenso e vuoto, i genovesi di oggi si azzuffano come quelli di ieri, solo che ieri erano potenti e frequentavano le Corti di Re e imperatori e oggi non riescono neppure a bussare ai portoni chiusi per loro della politica locale. E dove sono finiti i geni tramandati di quella potenza finanziaria e mediterranea, celebrata da storici e studiosi, da Fernand Braudel a Jacques Attalì, il futurologo alla moda, consigliere di Sarkozy? Signore eleganti con le sciarpe della migliore seta, acquistate in quei negozi ultra-understatement della riservatezza genovese, ma con lo sguardo perso nel vuoto, vacillano su quei viali al braccio di ragazze russe statuarie, bionde e di una bellezza fuori da quello spazio zeneise, nella passeggiata delle dieci di mattina e percorrono, insieme a anziani ex avvocati di grido, ex armatori, ex imprenditori magari dall’impero sbriciolato dalle tempeste della trasformazione post industriale, questo deserto demografico che è diventato Genova, che è diventata la Liguria dell’anno 2010, dell’ultimo censimento che un po’ tragicamente viene definito “annientamento demografico”.

Un milione e seicentodiciassettemila abitanti in Liguria hanno prodotto la miseria di 11.983 nascite e 21.714 morti, con un saldo a vantaggio dei defunti di 10 mila unità. Anche l’Italia è un paese che invecchia e muore, ma qua su questi viali genovesi e nel resto di questa regione, che ha deciso di estinguersi in silenzio, la velocità del processo è decuplicata. L’Italia nel 2010 ha perso 25 mila abitanti, se fosse andata nella velocità della Liguria e di Genova ne avrebbe persi 250 mila: un’apocalisse. Genova, capitale di questo deserto, cammina lenta e silenziosa come quegli anziani abbarbicati a un esercito di 45 mila badanti, un fenomeno tanto esplosivo che le teste d’uovo degli stati americani dell’Arkansas hanno spedito a Genova i loro esperti per studiare un fenomeno inedito per manifestazione e anche per definizione: l’usura delle badanti.

Gli Usa hanno capito che qua c’è il prototipo di sviluppo della società occidentale. Sviluppo o decadenza finale? In questa fase vale la pena di capire cosa faranno le badanti, quell’esercito di donne (e uomini) oramai impegnati su questa frontiera dell’assistenza ben pagata e sempre più diffusa da un ventennio. E che fine faranno quando invecchieranno e si ammaleranno? Torneranno a casa, nelle loro patrie lontane, il Sud America, del Perù, dell’Ecuador, della Bolivia, o nella vecchia Urss e dei suoi ex stati, o l’India, le Filippine, l’Albania dei primi sbarchi italiani di massa, quella nave-simbolo che vedemmo apparire come una visione biblica al largo della Puglia, brulicante dell’ umanità che sarebbe venuta a casa nostra, da allora sempre di più, sempre di più? L’avanguardia del nuovo mondo che si affacciava sul nostro pasciuto e ancora inconsapevole.

Torneranno dove hanno spedito i loro gruzzoli, i tesoretti messi insieme lavorando nella ex pancia piena di questo paese sempre più vecchio e da assistere? O resteranno qua, con quale assistenza a loro volta? Gli americani hanno bussato alla porta dei geriatri genovesi e liguri, la razza di medici che prospera alla luce di questo tramonto epocale. Chiedono a scienziati e studiosi degli Ospedali Galliera e San Martino, numeri, statistiche, tassi di vecchiaia dell’angolo di mondo che considerano il più interessante da calcolare. Le badanti, oramai soggetti di letteratura, protagoniste di una vita sociale capovolta, essenziali e organizzate, salgono e scendono per quei viali, con le trecce bionde da slave o gli occhi neri come la brace del Sud America, con la elegante dignità delle asiatiche e la sfrontatezza delle albanesi, si siedono morbide, silenziose, attente a quei vecchi tremolanti negli avari parchi genovesi, avari di verde, di panchine perfino. E il processo di invecchiamento va avanti, inesorabile.

Le famiglie liguri si assottigliano oramai con trend di riduzione epocali: da La Spezia, la provincia più vecchia, a Imperia-Sanremo: meno di 1,3 figli in media per donna, vale a dire quasi sei coppie su dieci senza figli. “Coppie con due figli rare come gli squali rispetto alle acciughe che guizzano nel mar Ligure”, ha scritto in un reportage sconvolgente e puntualissimo a firma di Roberto Volpi, nei giorni sorsi, il Foglio di Giuliano Ferrara. C’è da sconvolgersi a mettere il naso più profondamente dentro a quelle famiglie genovesi e liguri, i cui capostipiti ancora viventi hai visto camminare su quei viali vuoti dei quartieri residenziali dove il fenomeno è più plastico ed evidente perché c’è più spazio e dove il contrasto emerge in tutta la sua potenza anche iconografica del “nuovo mondo”, altro che quello colombiano, scoperto da Cristobal 119 anni fa.

Se prendi il famoso tasso di anzianità, che si misura rapportando gli ultraseessantacinquenni con i ragazzi di 14 anni, scopri che in Liguria ci sono 265 vecchi ogni 100 ragazzi. E allora dove andiamo a finire? Perfino papa Giovanni Paolo II aveva lanciato anatemi duri sulla sterilità dei liguri e dei genovesi. Rimase inascoltato. Che dovrebbe fare se non figli una popolazione che ha quel tasso di anzianità di 265 quando in Italia si naviga su un 144, 144 vecchi su 100 quattordicenni? Fare figli.

Ma come, se qua si battono anche i record di fine gravidanza, come se la corsa verso l’estinzione fosse diventata una questione di principio. In Italia ci sono 210 interruzioni volontarie di gravidanza ogni mille nati, una percentuale che fa rabbrividire il Vaticano e in Liguria le interruzioni salgono a 266 su mille. Il dato si può approfondire con una altro record negativo: se in Italia c’è un 4,4 per cento di interruzioni volontarie di gravidanza tra i ragazzi di 15-17 anni, in Liguria questo rapporto sale a 7,7, l’ottanta per cento in più del dato nazionale.

E’ un riflesso imbarazzante: come se in Liguria insegnassero fin da piccoli a stare lontano dai piccoli, se si può usare questa agghiacciante ripetizione. Chi vuole tutto questo, chi conduce la marcia verso il livello zero, il ground zero demografico? Ma i liguri ovviamente, che possono offrire in questo spicchio della loro storia (avviata al declino?) altri dati importanti: crollano i matrimoni, le separazioni sono in un anno 289 su mille in Italia e in Liguria salgono a 389 e i divorzi, nove su diecimila matrimoni in Italia, quattordici su mille in Liguria.

Che terra è, dunque, questa Liguria che marcia inesorabile, ad ogni livello generazionale, verso la propria cancellazione e dove l’unico ossigeno viene demograficamente rappresentato dalla immigrazione, che però, incomincia a cedere vistosamente anche perché il traino delle occasioni di lavoro per gli extracomunitari si sta assottigliando. Meno popolazione vuole dire anche meno badanti e meno muratori, idraulici, elettricisti, manovalanza in generale perché le occasioni di impiego sono rase al suolo. Il settore edilizio taglia migliaia di posti di lavoro, i grandi cantieri navali, a partire da quelli colossali della Fincantieri in crisi, che assorbivano centinaia di operai e tecnici sudamericani, minacciano perfino la chiusura.

In qualche modo, su quei viali del tramonto dei quartieri residenziali dove i genovesi vacillano nelle malattie e nella vecchiaia gli immigrati possono porsi qualche domanda: che facciamo? Aspettiamo che i liguri si estinguano del tutto e ci sistemiamo in questa terra baciata dal sole, dal mare, da un antico vento di sviluppo considerato una chance, approfittando della situazione? O ce ne andiamo per non essere contaminati anche da questa demografia cinica? Non è un caso che le statistiche ci ripetono che anche fra gli immigrati il tasso di natalità si sta abbassando sensibilmente.

Qualche vecchio saggio un po più lucido, magari a passeggio per quei viali, intorno a grandi palazzi, simboli di una ex potenza anche economica e dove ora gli ultimi eredi di quei tempi fanno fatica a pagare le spese di amministrazione di appartamenti con troppi metri quadrati per famiglia di una o due persone, potrebbe sostenere che in fondo è da decenni e decenni che questa è la musica, il requiem senza dubbio che si ascolta sotto la Lanterna. L’accelerazione del calo demografico c’è stata nel 1970, ma già nel 1960 la percentuale sulla popolazione degli utrasessantacinquenni era al 12,5 per cento ed ora supera il 30 per cento, dopo essere salita esponenzialmente. Genova già nel 1961 aveva un indice di vecchiaia il 61,7 tra i più alti d’Italia, dietro soltanto a Firenze, Trieste e Torino. Piano piano Genova è andata in testa a questa classifica misurata sul famoso rapporto sessantacinquenni contro quattordicenni.

Inesorabilmente, malgrado le fiammate dell’immigrazione, sopratutto fino alla metà della prima decade del terzo millennio, il 2005, che hanno un po’ rinfocolato la natalità globale, la società genovese ha visto invecchiare le sue generazioni, spolparsi statisticamente i ventenni, i trentenni e i quarantenni e rimpinguarsi i settantenni, gli ottantenni, i novantenni e sopratutto i centenari che sono aumentati di percentuali pazzesche, oltre il 100 per cento. Ed ha incominciato a crollare l’indice di “dipendenza strutturale”, quello che mette in rapporto gli anziani con le persone in età attiva. Sempre più pensionati, disoccupati, perfino una nuova categoria, figlia di questi tempi “estremi”, i cosiddetti (dal sindacato) “rassegnati”, che neppure cercano lavoro e sempre meno i cittadini attivi.

Ma ora gli statistici e sopratutto i gerontologi e i sociologi tremano davvero perché sta per arrivare una vera ondata da tsunami, quella delle generazioni postbelliche particolarmente folte e quelle del babyboom alla soglia dei sessantacinque anni. E allora cosa succederà nella già fragile composizione sociale genovese e ligure quando la stragrande maggioranza della popolazione sarà vecchia e stravecchia? Che succede, per esempio a Genova, dove nel 2009 i cittadini tra 0 -9 anni erano 46 mila, tra 20-29 51 mila (-13 mila rispetto a dieci anni prima), i 30-39 80 mila (meno 10700), i 40-49 96 mila, i 60-69 81 mila…fino ai centenari poco sotto i trecento, il doppio di dieci anni prima?

Succede che quei viali alberati, quelle creuze di mattoni rossi della Superba, città verticale, le erte salite, saranno sempre più deserte perchè lì i badanti e le badanti non possono spingere i loro assistiti, in salita. E soprattutto esploderanno enormi problemi di assistenza pubblica e privata, che le recenti misure di taglio sociale stanno già rendendo problematici. Trentamila ammalati di Alzheimer contati dal sindacato Spi CGIL, il più presente sul territorio non certo solo nei quartieri alti dai viali silenziosi e rarefatti perfino di carrozelle, ma anche nelle periferie sempre più cadenti, sulle alture nei quartieri Ghetto, come il Diamante di Begato dove gli anziani vivono asserragliati per timore degli attacchi delle bande dei latinos, i giovani latino americani, con berrettino e visiera e mazze in mano per fronteggiare i “rivali”, come le Lavatrici altro ghetto sulle alture, celebre per il suo assetto urbanistico simile all’elettrodomestico.

Lo tsunami demografico è già passato nelle viscere della città avviata al suo deserto demografico, ha alzato le percentuali di anziani e soli: già 54 mila ultrasessantacinquenni vivono da soli e più si invecchia più la solitudine diventa una condizione primaria del default demografico. E non è solo un caso di solitudine, ma anche di abitazioni dove i soli vivono con pensioni che non consentono più di mantenerle. Ecco allora una tendenza esplosiva: vendere la casa e mantenere la nuda proprietà, un altro modo di aiutare figli e nipoti e le loro famiglie, quelle di chi ha scelto di restare a Genova, in Liguria e di non trasferirsi oltre Appennino per trovare case a miglior prezzo o in Piemonte e Lombardia, dove le case sono a miglior prezzo.

Le popolazioni di cittadini e paesi come Arquata Scrivia e Gavi nel primo entroterra già piemontese-alessandrino sono raddoppiate. Mica scherzi. E a Genova le case abitate da un solo anziano ultrassessantacinquenne sono già 55 mila. I geriatri tremano perché gli anziani invalidi, autosufficienti aumentano e sono oramai centinaia e centinaia da assistere e curare in ospedali, centri, ricoveri, conventi dove i confini della vita stessa cambiano, grazie alla medicina del terzo Millennio, che garantisce la sopravvivenza anche se non ci si può più alimentare autonomamente.

Macchine moderne e medicine dilatano questa sopravvivenza a dismisura in una società che non ce la fa più. E pongono enormi problemi etici: non solo se è giusto chiamare vita quella “persistenza”, ma anche se è giusto che su tutto quello si costruisca un colossale business di farmaci, medici, badanti, assistenti, strutture….E’ una visione apocalittica? Non a caso gli americani dell’Arkansas sono piombati a studiare la Liguria perché si tratta di un caso pilota nel mondo, paragonabile solo a qualche enclave giapponese. Insomma i genovesi e i liguri come quei giapponesi che resistevano negli atolli dopo la guerra finita da anni e anni, ma con la differenza che qui la guerra demografica è appena incominciata e gli atolli sono i confini di una terra bellissima, ma avara di vita, di lavoro, di capacità di rinforzarsi e che i figli orgogliosi del Sol Levante si arrendevano, se non si erano suicidati prima, i liguri strainvecchiati soccombono da soli e nessuno rende loro l’onore delle armi.

Il Foglio nel suo reportage intitolato perfidamente “Finale ligure”, come se questa fosse un vero de profundis, sostiene che il canto dell’estinzione sia stato intonato nel disinteresse generale. Succede ma nessuno reagisce, anche per colpa di quel pudico understatement genovese e ligure. Quei signori e quelle signore sorretti dalle badanti nei viali della ex Superba sono ancora vestiti come ai tempi dello splendore genovese, quando furoreggiavano negli scagni dorati dei grandi affari genovesi: foulard di seta, pellicce calde, e nel declino di questa estate calda eleganti cappelli di Panama.

Il governatore della Liguria, Claudio Burlando, pd ex pci, pds, ds, Ulivo, ex sindaco ed ex ministro, ha vinto le sue battaglie elettorali che lo hanno innalzato sul trono di questo regno bombardato demograficamente con uno slogan: “La Liguria dove è, come è”. Come dire: guai a chi la tocca, che già da sola è viva e preziosa. Ma i tempi delle profezie di Fernand Braudel, il grande storico francese, esperto del Mediterraneo e sostenitore della magica centralità genovese e ligure foriera di grande futuro, sono passati. Ora arriva lo tsunami. Demografico. E il rischio è l’estinzione.

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fmanzitti