Ma fare impresa contro i colossi del trasporto, contro i big terminalisti, contro i potenti liners del mondo, che vedevano l’Eldorado sulle banchine genovesi, era impossibile per i camalli della Culmv. E così Batini aveva fatto i suoi passi indietro, dopo un discorso durissimo in genovese davanti ai camalli, schierati come una falange sui banchi della sala Chiamata. La Compagnia tornava a trattare con i “padroni”, come fornitrice di servizi, non era più una società che si cercava il traffico e scaricava il proprio e quello degli altri, ma metteva a disposizione degli altri la sua ancora inattaccabile competenza nel mettere a bordo e togliere la merce, nel manovrare le gru, nell’alzare e abbassare i container.
Ma chiedeva il prezzo giusto all’interlocutore giusto che ora era l’Autorità Portuale.
Qui si era scatenata l’inchiesta giudiziaria, sul presupposto che tutti quei lavori forniti nel grande porto, da Voltri dove arrivavano le grandi portacontainer cinesi ai moli di Sampierdarena , alle zone traghetti e Stazione marittima, erano stati superpagati. Accordo illecito tra il presidente, lo yacht men, molto english, molto signore, Giovanni Novi e lui, il Paride Batini e in cambio di cosa? L’accusa che ha crocifisso il console e il presidente per quasi tre anni è stata smontata dal giudice De Matteis nel verdetto e soprattutto nelle sue motivazioni, che spiegano come la contropartita di aiutare il presidente a farsi rieleggere sul trono di San Giorgio per altri quattro anni era assolutamente inesistente.
Batini aveva a cuore i suoi, il suo porto, il suo lavoro. Il presidente aveva commesso forse qualche errore nella corsa alla divisione dei moli, ma non aveva incassato la truffa sul lavoro proposta con i sovrapprezzi.
Peccato che mentre le accuse viaggiavano e il sospetto rodeva le banchine, Batini sia morto, senza sapere che giustizia sarebbe stata fatta per lui e per la Culmv.
I suoi funerali, nel cuore del porto, in una calda giornata di aprile del 2009, sono stati la scena più riassuntiva e paradigmatica del suo ruolo conteso, compresi gli inchini e le contrizioni dei nemici che avevano esultato alla sua messa in stato di accusa. Nella sala Chiamata la bara era stata posata in mezzo ai banconi dei soci, coperta da una bandiera rossa, circondata da una folla enorme, scortata da quattro giganteschi camalli con le braccia incrociate, baciata da una processione ininterrotta di amici fraterni, di vecchi compagni, ma anche di farisei e sepolcri imbiancati, i nemici di una vita. C’era anche un prete a pregare, in cotta bianca e con la stola intorno al collo, don Andrea Gallo, il sacerdote dei drogati, delle prostitute, amico di Paride che aveva officiato non sapendo se concludere il rito con l’acqua benedetta o con un pugno alzato. Poi Batini era stato calato sotto la nuda terra.
La verità sulle accuse a lui avrebbe atteso ancora più di un anno per emergere dalle spire del processo. Con un sigillo postumo che è una novità assoluta nella procedura. Batini ha cambiato anche il linguaggio delle sentenze. Ma da morto.