La mattina predicava in chiesa, impartiva i sacramenti, confessava e la notte scendeva a caccia. Le carte giudiziarie urlano i suoi desideri che lasciano senza fiato: “Satana sia con te, oggi ho voglia di uno più piccolo di 14 anni e con il collo tenero”, confessava al suo partner, seminarista – croupier. E partiva. Il luogo della caccia preferita era intorno al grande centro commerciale della Fiumara, inventato per dare sfogo alle popolazione del Ponente ex operaio, melting pot, speaking sopratutto latino americano, percorso dalle bande dei latinos, ma anche da quella umanità disperata di ragazzini di colori meticci che per dieci euro da farsi un hamburgher e patate fritte o per comprarsi l’ultima maglietta di grido erano pronti a tutto. Anche a farsi mordere il collo da quel prete-satana che scendeva dalla collina, dalla sua chiesa in via Calda, affamato come il lupo cattivo delle favole, ma molto più infame, magari fatto dalla coca che era il suo primo vizio nascosto.
Lo sapevano, oh se lo sapevano le mamme dei bambini del suo catechismo che quel prete era strano, che il don era fuori di testa! Lo sussurravano, lo denunciavano di sottobanco, ma poi che potevano fare, che può fare una madre che ha mille guai da affrontare e quella canonica con la lezione di catechismo e i chierichetti da formare per servire la messa salva qualche ora di lavoro senza i piccoli da accudire. “Vai su in chiesa, ma non confessarti da lui”, raccomandavano ai bambini, per evitare il contatto diretto con il don sospetto. Cosa c’è di più pericoloso della confessione a tu per tu, magari in un angolo buio della sacrestia per il primo approccio con i più piccoli, per l’inizio della corruzione.
“E’ un po’ che non ti confessi: perché non vieni domani mattina”, telefonava mellifluo don Seppia ai suoi “bimbi”. “Ma domani mattina sono a scuola…”, tentennava il predestinato. “E che importa? Vieni da me, abbiamo tutta la mattina a disposizione”, ribatteva il parroco, calpestando ogni regola, corroso dalla sua fregola infame, sfrontato, impunito.
Lui insisteva: “Procurami un moretto di meno di quattordici anni, che a sedici anni sono troppo vecchi” chiedeva al suo partner E.A..
Nella sua canonica aveva tre computer, di cui uno dedicato ai file segreti per organizzare gli assalti con la coca: una specie di centrale di Satana. E che altro poteva esserci nella stanza di quel prete che nel 1994 aveva, da giovane viceparroco di un’altra chiesa del centro genovese, incominciato la sua “vita di sesso estremo”, come dicono le carte giudiziarie?
Ma tutto questo scandalo che fa correre Bagnasco con la sua croce in pugno nella Chiesa del peccato come ha potuto non essere fermato, prima che le vittime cadessero a decine in quella rete lercia, lanciata con Internet, sulle chat line e poi con i metodi più diretti, le opzioni del complice ex seminarista, gli agguati alla Fiumara, le insistenze nei confessionali dove ci si va a lavare l’anima nona farsi circuire e patteggiare scambi coca-sesso?