Chissà cosa avrebbe detto il console storico dei camalli genovesi, Paride Batini, scomparso quasi tre anni fa, se si fosse trovato, in uno dei gelidi pomeriggi di questo inverno, nella sua Sala delle chiamate, il tempio dei portuali, nel cuore delle banchine dove all’alba arrivano gli ordini per salire sulle navi da caricare e scaricare? Cosa avrebbe detto, il console regnante per 19 anni sui suoi camalli, davanti allo spettacolo, ambientato in quella sala , della presentazione finale del candidato outsider alle Primarie del centro sinistra, che Genova celebrerà il 12 febbraio, in un incertezza totale e in una tensione neppure raggelata dalle tempeste di neve e vento e dalla buriana siberiana che sibila sui moli?
Sul palco della grande sala, sotto le foto di Lenin, Togliatti e di Guido Rossa il martire delle Br, di fronte ai banchi gremiti di una folla insolita, c’era, austero e sobrio ma politicamente vivacissimo, Marco Doria, figlio di Giorgio Doria, “il marchese rosso” degli anni Settanta, quindi erede seppur non in linea diretta del grande ammiraglio Andrea Doria, candidato a quelle Primarie come indipendente in tutta la sua caratura di uomo e professore universitario e ex patrizio con le radici piantate nella sinistra storica genovese. Quella sinistra del Pci egemone dal 1945, e con Doria non iscritto al Pd e a nulla, se non alla sua sfida un po’ antipolitica e molto progressista all’apparatčik dei successori del Pci stesso.
Eccola lì, nell’ambiente giusto, la sfida più potente delle Primarie genovesi dentro al centro sinistra, quella lanciata dall’outsider che si è infilato nello scontro tutto al femminile tra la sindaco uscente, la trasbordante Marta Vincenzi eletta nel 2007, alla ribalta dal 1985 con incessanti incarichi in Provincia, in Comune, nel partito ed anche nell’Europarlamento e la senatrice Roberta Pinotti, già deputata e segretaria dei Ds, assessore comunale e provinciale, “creatura” politica della sindaco uscente, che glielo rinfaccia di dritto e di rovescio, accusandola sdegnosamente di ingratitudine .
Alle Primarie corrono anche un’altra signora, Angela Burlando, ex consigliere comunale Pd, ex dirigente di Ps, schierata dal Partito Socialista e Andrea Sassano,, ex assessore comunale della Giunta di Pericu, l’ex sindaco che Marta Vincenzi ha avversato in ogni modo durante il suo quinquennio.
I sondaggi segreti dicono che con una bassa percentuale di votanti alle Primarie (nel 2007 furono 35 mila, ma oggi se ne aspettano non più di 20 mila) il favorito potrebbe essere proprio lui, il figlio del “marchese rosso”, l’erede di Andrea Doria ( con o senza apostrofo, secondo la strafottente polemica interna al “Foglio” di Giuliano Ferrara, tra due genovesi, Andrea Marcenaro e Carlo Pannella).
La bassa frequenza intercetterebbe il malessere che avvolge un clima elettorale nervoso, molto umorale, tipicamente femminile, perchè concentrato nell’antinomia tra le due “zarine”, che non si parlano, non si guardano, si tirano stilettate più o meno a tradimento e soprattutto non hanno avuto mai un confronto diretto. Non è la Pinotti che lo evita, ma la Vincenzi che lo snobba smaccatamente. In realtà la aumentata popolarità di Marco Doria nasce proprio perchè lui veleggia lontano da quella contrapposizione, che appare anche molto personalistica. La sindaco sessantacinquenne, al suo ventisettesimo anno di ruolo pubblico e la senatrice cinquantenne, che cerca un decollo cittadino dopo gli anni romani a Montecitorio e a palazzo Madama e il timore di perdere la corsa alla terza legislatura.
Accanto al candidato outsider sul palco austero della Sala delle chiamate c’era, nel gelido pomeriggio genovese, Niki Vendola, venuto a mettergli il cappello, dopo essersi speso un anno fa per la riconferma della Vincenzi. Anche questa una giravolta della sinistra radicale, che da anni balla un po’ il valzer intorno alla giunta comunale, perennemente nelle mani del Pd e prima dei Ds e prima ancora del Pds, del Pci, al massimo della sinistra Psi, con qualche spruzzo di Dc negli intervalli.
Accanto a Vendola, lo sponsor numero uno di Doria, don Andrea Gallo, il prete simbolo della città degli emarginati, il border line ai tempi del cardinale Siri, sempre schierato politicamente a sinistra, voce tuonante contro le ingiustizie soiali e civili, malgrado l’età di 83 anni, oggi superstar e non solo anima delle Comunità di san Benedetto al Porto e delle sue propaggini, il celebrante religioso ai funerali stralaici di Paride Batini, stessa Sala delle chiamate, stessa folla fitta dell’adunata pro Doria .
Che palco quel palco nell’ombelico operaio-portualistico, sulla collina di san Benigno, di faccia alla Lanterna: non solo la crema di una tradizione di sinistra, affondata nelle radici storiche della città di fabbriche e banchine, di post partiti e di sindacati, di cultura prima comunista poi postcomunista e ora quale cultura? Probabilmente quella di un potere locale gestito in secula seculorum, dagli anni Settanta in avanti quasi ininterrottamente, salvo qualche eccezione, fino al 43 per cento del Pci nelle elezioni comunali del 1975, che incoronarono a Genova la prima giunta rossa.
Forse che Marco Doria, espressione di questa lunga storia con due sindaci profondamente forgiati da quella politica, anche se stilisticamente agli antipodi, come Gelasio Adamoli, aristocratico del Pci e Fulvio Cerofolini del Psi lombardiano, sfida pure da sinistra quella cultura e quella classe dirigente irradiata e incistata in ogni ganglo del potere genovese, da quello sindacale a quello universale delle Coop in una città, in una regione dove l’Esselunga non è mai entrata, tanto per fare l’esempio più diretto e popolare?
Forse è proprio questo il succo della sfida delle primarie del centro sinistra che si coglie nei nervosismi della vigilia. Marco Doria che spara nei suoi sobri proclami l’avversione alla costruzione della “gronda”, gigantesca opera infrastrutturale, una supertangenziale, già finanziata dalle Autostrade e che la Vincenzi ha approvato, facendola passare attraverso uno sterminato “debat public” alla francese anche nella sua dicitura. Marco Doria che spergiura: “Nessun partito mi imporrà un solo nome per la giunta o per qualsiasi incarico pubblico, io resto indipendente fino in fondo” e fa tremare tutto l’apparitikit non solo dei partiti, ma della classe dirigente burocratica comunale. Marco Doria che marchia le sue concorrenti come “professioniste della politica mentre io vengo da fuori e fuori tornerò dopo aver fatto il sindaco”.
La sfida diretta tra le zarine è, invece, giocata su un altro terreno, lontana dalla messa in discussione di un sistema di potere cristallizzato e per molti versi anche molto familistico, sia per la signora sindaco che per la senatrice. Intendendo per famiglia anche lo sottostanti lobby di potere che la Vincenzi sorregge a raggiera e che la Pinotti prepara, disossando il terreno della sua rivale e le radici ben piantate anche con l’appoggio di una parte consistente dell’apparato Pd.
La sfida in rosa si gioca sul sistema Vincenzi, che è di un potere gestito molto personalmente, in prima persona, assessori abbastanza incolori, spesso chiamati da fuori Genova o neppure mai nominati, come quello all’Urbanistica, la cui delega è rimasta gelosamente nelle mani della signora sindaco, perfino la capa della burocrazia, una vera “leonessa” siciliana, Mariella Danzì, ingaggiata da Vincenzi a Sesto san Giovanni, la città del sistema Penati, e oggi autodimessa e quasi fuggita dalla città per le tensioni interne e esterne all’apparato comunale, forte di 6.500 dipendenti.
La Pinotti, invece, vuole fare squadra e garantisce un sistema collegiale, dietro il quale ci sono già le figure di molti personaggi influenti della città, non solo l’ex sindaco Beppe Pericu, ma l’ex presidente di Confindustria locale ed ex deputato della Margherita, Stefano Zara, l’eurodeputato Sergio Cofferati, diventato “genovese” per amore, ma molti leader storici grandi e piccoli del Pd, a incominciare dal più potente di tutti, il presidente della Regione Claudio Burlando, che si guarda bene dallo schierarsi, ma che è stato per cinque anni il rivale permanente della Vincenzi, altro che opposizione di destra o centro destra.
La Vincenzi corre contro due handicap pesanti: il fatto di essere il primo sindaco di una grande città che la sua coalizione, il suo partito non confermano per il mandato successivo e deve rigiocarsi la partita; la tragedia dell’alluvione del 4 novembre 2011, con le sue distruzioni e i suoi morti. E’ stata trasformata nel capro espiatorio di quella sciagura che ha marchiato da ultima l’immagine della città, vedendosi scaricare addosso le responsabilità di intere generazioni di pubblici amministratori che hanno lasciato tombare i rii e i fiumi di Genova e cementificare le colline, senza risolvere i problemi di uno squilibro idrogeologico, che mette la città in condizione di aspettare ad ogni pioggia violenta una specie di big one alluvionale, la botta finale, più dei venti morti del 1970, più dello stillicidio di una alluvione all’anno. Ma è chiaro che recuperare voti “primari” nei quartieri toccati dalle alluvioni più recenti non sarà facile. La Pinotti corre contro l’handicap di una leggerezza politico-culturale, forse esasperata dai media per la la sua visibilità nazionale in Tv, da Porta a Porta a Ballarò, non gradita dall’ understatement genovese e non controbilanciata da “azioni sul territorio”.
Insomma, mentre la Vincenzi soccombeva sotto l’alluvione mortifera, la Pinotti stava volando a New York per correre la maratona, “il sogno della sua vita”. Chiaro che poi la senatrice non ha corso, è precipitosamente tornata indietro e si è silenziosamente prodigata tra “gli angeli del fango”, ma la sintesi perfida ha piazzato le due zarine contrapposte in queste due diverse situazioni nel momento topico del crak genovese: l’una in lacrime “colpevole”, l’altra in tuta da corsa.
E poi sullo sfondo di questa sfida che Marco Doria guata dalla sala Chiamata del Porto ci sono gli ultimi dolori del Pd, dove stanno volando gli stracci del caso Lusi, che nel 2008 proprio la Liguria mandò alla Camera. Era uno dei tanti “paracadutati” a Genova dai vertici veltroniani del partito nascente e ha tolto posti ai candidati locali, andando a rappresentare la Regione insieme a desaparecidos totali come Giovanna Melandri, anch’essa eletta a Genova, dove non è mai più tornata.
Così l’ex senatore ed ex deputato, ex consigliere regionale Graziano Mazzarello, uno dei politici simbolo del potere della sinistra ininterrotto a Genova, cancellato allora dal famigerato Lusi, attacca il deputato Mario Tullo, allora segretario regionale dell’epoca reo di avere inghiottito con il Porcellum tutti quei paracadutati.
Non sono certo rose e fiori nel cuore di una campagna elettorale per le Primarie. E tutto questo appare sempre più stridente dall’ombelico di una città che la crisi piega di più di molte altre: la popolazione in calo quasi sotto i 600 mila abitanti ( centomila persi in venti anni), perfino l’immigrazione in calo, il tasso di vecchiaia (rapporto tra i cittadini di oltre 65 anni con quelli di 14 più alto d’Italia e d’Europa), un allarme rosso per le poche industrie che sono rimaste, a partire dalla Fincantieri, che suona campane a morto per 800 posti di lavoro più altri 1500 di un indotto storico, lo schiaffo della Costa Concordia, che non riguarda Genova, ma scuote la direzione centrale della Compagnia americanizzata Carnival, che impiega in città 600 dipendenti nel cuore della city, l’Amt, Azienda del trasporto pubblico sull’orlo del patatrac……
Questo è oggi il clima di sfondo per una campagna elettorale che incomincia con le sfide a sinistra nelle Primarie e che continuerà “dopo” con scenari complicatissimi anche al centro e a destra dove qualcuno potrebbe illudersi di tentare a Genova esperimenti da laboratorio politico con candidati a cavallo tra il Terzo polo e i resti del Popolo della Libertà. Ma questo è un altro discorso.