Nel buio e nella calma piatta della notte, la nave Messina stava facendo manovra davanti al grande molo e deve essere successo qualcosa di imprevisto, una avaria improvvisa, un errore che ha fatto sbandare quel grattacielo pieno di container, gli immensi scatoloni che stavano sui ponti del Jolly Nero. Al timone c’era un pilota del porto, come impone la convenzione, quindi la procedura di uscita era rispettata.
La Jolly, invece di staccarsi dall’ombelico del porto, da quei moli che sono l’approdo sicuro, l’ormeggio che in genere avviene dolcemente in modo fermo e sicuro, ha sbandato, si è appoggiata con la sua immensa mole sul molo e ha colpito quella palazzina che era un po’ il vanto delle banchine genovesi, un gioiello costruito anche come una risposta ai tanti ritardi e alle difficoltà di un porto che da anni lotta per tornare ad essere quello che fu, il primo del Mediterraneo, uno degli scali principe in Europa, in lotta contro i giganti del Nord Europa, Rotterdam, Amburgo, Anversa, e contro i rimontanti porti spagnoli, come Valencia e Algeciras.
È come se il porto si fosse suicidato con una nave che va a colpire il suo cervello motore, perché l’impatto schianta quella torre e le vittime, i morti e i feriti sono a terra nel suo cuore nevralgico.
Li chiamano gli “angeli del porto”, i piloti perché sono loro che fanno da custodi a queste navi immense che arrivano e partono e che oscurano l’orizzonte, alte decine e decine di metri, lunghe centinaia di metri, tanto grandi che il porto, oggi ferito al cuore, sta studiando di cambiare la sua pelle, costruire dighe e moli più grandi e con le acque più profonde per ospitare i colossi del mare, che non sono solo queste portacontainer che partono e arrivano nelle notti silenziose, ma anche le gigantesche navi da crociera della Costa Carnival o della Msc, o della Royal Caribbean.
E ora questa grandezza, questo gigantismo, si rivolta contro il porto stesso e demolisce un suo pezzo vitale.
Perché? Vengono in mente paragoni magari irrituali, sbagliati ma sotto gli occhi di tutti, come quello di quindici-sedici mesi fa della Costa Concordia, il gigante in crociera della Carnival, compagnia simbolo una volta di Genova e della famiglia Costa e oggi americana della flotta Carnival, che fa l’inchino all’isola del Giglio e si arena e uccide i suoi passeggeri ed è ancora lì, una nave incastrata, rovesciata su un’isola.
Oggi la tragedia di Genova è diversa e ancora più violenta, perché non sono gli scogli dell’isola a essere colpiti ma il cuore vivo di quel porto genovese.
Piange quasi il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, figlio di camalli, parente di camalli, conoscitore delle banchine, senza potersi spiegare come sia avvenuto. Si disperano gli armatori Messina, famiglia secolare del trasporto marittimo, che non si spiegano come possa essere successo, come quella nave possa essere “impazzita” sulle acque ferme, durante una manovra, ripetuta milioni di volte.